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Ferrara film corto festival

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Volontariato: un chiarore nelle tenebre del mondo

In un momento molto difficile del panorama internazionale, dove le guerre ai confini dell’Europa fanno tremare la Terra, è difficile trovare la voglia di guardare con occhi benevoli il mondo e pensare che c’è ancora speranza per chi vive su questo pianeta martoriato. Se lo sforzo è più impegnativo, la motivazione è pressante e può essere aiutata dalla consapevolezza che senza la valorizzazione di ciò che è ancora buono, questo mondo ricco di tendenze consumiste, individualiste, capitaliste e post-moderne è destinato a distruggere sé stesso implodendo come un soufflè bruciato dall’aria bollente di un forno che nessuno è più in grado di spegnere.

Gli occhi che ci permettono di vedere il bene devono essere aiutati da buone lenti dotate di un duplice fuoco che ci assicura di vedere sia verso l’interno di ciascuno di noi (i nostri buoni pensieri, le nostre tendenze altruiste, la nostra voglia di vedere gli altri felici) sia e verso l’esterno (il mondo che sta fuori, la socialità, la voglia di comunità, la fratellanza).
Verso l’interno si può andare alla caccia dei buoni sentimenti e delle buone intenzioni che animano i nostri pensieri e i nostri cuori.
Verso l’esterno si può cercare una socialità pacifica e includente. In ciascuno di noi c’è la consapevolezza che il bene può esistere e che verso di esso si può tendere, così come esiste il risucchio verso il nichilismo e la conseguente negazione della capacità dei buoni sentimenti di colonizzare il mondo e albergare in esso a pieno titolo. È necessario adottare un approccio autoriflessivo che massimizza senza indugio la tendenza all’altruismo e la convinzione che grazie ad esso si possano fare grandi passi avanti, gli unici che sono davvero “avanti”. Solo dopo questa consapevolezza interiore si può guardare all’esterno di noi stessi verso le persone più prossime e verso gli altri più lontani. Si possono guardare con i giusti occhiali coloro che sono vivi contemporaneamente a noi, vicine e lontani, piccoli e grandi, come noi, poco diversi da noi, molto diversi da noi, divertenti solo a volte, gentili raramente.

Al cuore della questione c’è l’idea che il benessere sociale sia in grado di trascendere quello individuale per tornare alle persone come un boomerang di buone cose. Ritrovare la consapevolezza che aiutare gli altri sia l’unica strada possibile per la socialità, è la premessa per ricostruire un tessuto di buone relazioni che sappiano scavalcare la parentela e il clan per diventare un pilastro universale e fondante dell’essere umano. Un homo sapiens che riesce a vivere con i suoi simili in maniera pacifica e costruttiva.
Una tendenza verso i valori universali del rispetto dell’altro, della tutela del debole, dell’aiuto disinteressato. Principi che fanno a pugni con alcune leggi ascritte ma imperanti, dove chi ha più soldi decide le sorti degli altri, privilegiando parenti e amici. Amici che sono tali in quanto possibili vettori di privilegi. Questo non è di certo un bel mondo nel quale vivere, nessuno vorrebbe lasciare ai suoi figli una terra così.

 

Per fortuna il mondo nel quale viviamo non è sempre nichilista e corrotto e i tanti esempi virtuosi che ciascuno di noi conosce allentano la preoccupazione di una imminente catastrofe, per riportare un po’ di speranza. Credo ci sia un’ulteriore distinzione da fare quando ci si addentra nelle considerazioni sul “benessere collettivo”. Esiste una notevole differenza tra la tendenza alla socialità costruttiva insita in alcuni individui e l’appartenenza ad un gruppo che si occupa di persone bisognose. Mentre la prima pervade tutti gli ambiti della vita e accompagna tutte le scelte che una persona può fare, la seconda può avere un valore strumentale ed essere anch’essa fonte di privilegi. Quando entrambe le tensioni, l’indole altruista e l’appartenenza a un gruppo “socially oriented” convivono, si sviluppa il meglio possibile in termini di propensione individuale al bene collettivo.

Detto che l’appartenenza opportunista ad organizzazioni che si dichiarano altruiste è una contraddizione identitaria e che chi la vive si trova più o meno consapevolmente in situazione di forte stress (causato dal dover perseguire l’egoismo travestendolo continuamente con un atteggiamento altruista), va distinto il buono dal gramo e riconosciuto così che ci sono persone che provano sempre, con il tempo e gli strumenti posseduti, a fare del bene. Questa considerazione è la prima che può risollevare la nostra visione del mondo e aprirla a un panorama più ricco di proposte ed esperienze orientate al progresso, panorama positivo che può migliorare la vita, che ripudia l’egoismo smodato e ancora di più la sua legittimità settoriale.
Incanalare l’egoismo solo in alcuni aspetti della vita (ad es. il lavoro) è tanto brutto quanto lo è essere egoisti sempre.
È la stessa cosa, o sei egoista o non lo sei. Questa è la visione e questa è la strada. Ma il bene esiste e si manifesta spesso in maniera tangibile. Basta pulire le lenti dei nostri occhiali e un nuovo mondo pieno di luce si affaccia ai nostri occhi. Ad esempio, l’Italia è costellata da migliaia di associazioni di volontariato che, grazie alla dedizione di milioni di persone, lavorano ogni giorno per un mondo migliore. Tali associazioni svolgono un ruolo fondamentale nel tessuto sociale. Nei diversi ambiti in cui operano, colmano carenze strutturali e intervengono per portare conforto e un aiuto a chi ha bisogno. Dai diritti delle persone alla tutela degli animali, dalla povertà all’ambiente, i volontari mettono a disposizione tempo e risorse per il benessere della collettività.

Esistono tantissime associazioni di volontariato. Dalle più note e importanti, attive a livello nazionale e internazionale, alle più piccole che operano su scala locale. Le associazioni di volontariato sono enti non profit previsti dal Codice civile italiano. Un’associazione di volontariato unisce cittadini accomunati dallo stesso ideale o dagli stessi interessi. Nasce per iniziativa di un gruppo di soci (persone fisiche o giuridiche) che si occupano direttamente dello svolgimento delle attività dell’associazione stessa. Le finalità che un’associazione può scegliere di perseguire sono molteplici: sociale, culturale, ricreativa, religiosa, sportiva, ambientale ma ciò che la distingue da altri soggetti che operano nel Terzo settore è la presenza, necessaria, dei volontari, cioè persone che scelgono di dedicare parte del proprio tempo per realizzare, a titolo completamente gratuito, le attività dell’ente.
Per fare alcuni esempi molto conosciuti: Unicef , che è il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. Oggi conta sul supporto di oltre 5.000 volontari in tutta Italia e di 276 mila donatori; L’ Associazione di volontariato Croce Rossa Italiana. Il suo scopo è, da sempre, l’assistenza sanitaria e sociale in tempo di pace e di guerra; Il Rotary International che è una rete mondiale formata da 1,2 milioni di persone. E poi: CESVI – Cooperazione e Sviluppo; Mani Tese; Amnesty International; Emergency; CARITAS; Cuore Amico; Gruppo Abele … e così via fino ad elencarne tantissime.
Il numero di volontari coinvolti in queste organizzazioni è impressionante: circa 6,63 milioni di persone in Italia dedicano il proprio tempo e le proprie energie a attività di volontariato. Questa disponibilità riguarda oltre il 12% della popolazione italiana sopra i 14 anni (dati ISTAT 2024), con una punta di massima disponibilità intorno ai 55. Tali numeri evidenziano l’ampiezza e la profondità dell’impegno volontario che si esprime in una vastissima gamma di settori.

A volte mi chiedo come un impegno così massivo non si traduca in un mondo migliore per tutti, altre volte vengo colpita negativamente dallo “squallore possibile” di un mondo senza la profusione di queste forze. Credo che l’apporto del volontariato sia ammirevole e lo sia ancora di più in quei casi in cui l’adesione all’associazionismo è accompagnata ad un atteggiamento che ripudia l’egoismo in ogni aspetto della vita.

Infine, mi sembra bello fare riferimento ad alcune associazioni piccole piccole che conosco bene e che mi sembrano degli esempi virtuosi e ammirevoli. Abitando in un paese bresciano di 1.500 abitanti conosco tutti e loro conoscono me. In questo paese esiste una sezione AVIS (associazione italiana donatori sangue) che vanta tantissimi iscritti. Oltre alle donazioni di sangue e a tutte le azioni che accompagnano questa attività di vitale importanza, questo gruppo di persone organizza feste all’aperto, giochi e vendite di fiori, piante grasse, cioccolato, mele per varie associazioni benefiche che hanno una natura simile alla loro (associazioni che si occupano di malati di leucemia, di sclerosi multipla, di disagio sociale e psichico, etc). Tutto fatto gratuitamente, a tempo perso, con un’organizzazione molto efficiente.
Il secondo gruppo e quello dei “Volontari del verde”. Tante persone che curano gli spazi pubblici rendendoli belli e vivi. Il parco dove giocano i bambini, il cortile delle scuole, il parco della casa di riposo, la piazza principale del paese. Il paese è diventato molto più bello grazie a loro e sempre grazie a loro il Comune è stato sollevato da una spesa che di fatto, nei modi e nella vastità in cui viene gestita attualmente l’area verde pubblica, non poteva sostenere. Sono due esempi micro ma sono la prova che il mondo si può migliorare, che non è l’apparenza che cambia le cose, che non servono i soldi per trovare ciò che è bello, che la socialità è il tessuto necessario per permeare le relazioni giornaliere di un gruppo di persone che vuole riconoscersi come comunità. Alla fine, la differenza la fa l’altruismo che vive dentro ciascuno di noi e questa non è una risorsa depositabile in una banca del tempo ma un orientamento che accompagna la vita. Allora il futuro sarà migliore, anzi lo è già il presente.

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Catina Balotta

Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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