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Ferrara film corto festival

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Vite di carta. Scherzetto

Incomincio dallo scherzetto senza maiuscola: abbiamo i nipoti in queste settimane estive senza la scuola e trascorriamo con loro, qui a casa nostra, le giornate più calde e più movimentate.

Mettete una coppia di bambini, otto anni lei e sei anni lui, e una di nonni (mio marito e io) con sessant’anni di più e regolate la temperatura esterna tra i 33 e i 38 gradi. Ora chiudeteli in casa al riparo dalla canicola e organizzate per loro delle attività per circa otto ore al giorno. Di questo si è trattato fino a qui.

Con la bellezza di vedere consolidata una empatia a quattro, di essere complici nei giochi e nelle piccole trasgressioni rispetto alle regole stabilite dai loro genitori. Un po’ di sfrenatezza ci ha caricati di adrenalina nei lunghi bagni nella piccola piscina che abbiamo dietro casa.

Si è accumulata anche tanta stanchezza: le risorse psico-fisiche sembrano non bastare mai. Nonna di qua, nonno di là in ogni momento. E quando se ne vanno il silenzio non è comunque quello di sempre: resta frastornato anche lui (lo scrivo e sorrido).

In tutto ciò ecco verificarsi lo scherzetto: l’altro giorno usciamo in giardino uno alla volta per accogliere il papà, che è venuto a prenderli ed ecco che Chloe si chiude la porta di casa alle spalle. Tunf e la porta senza le chiavi attaccate sigilla il confine tra noi rimasti fuori e la nostra casa.

Quella in cui rientrare tra un minuto, in cui mettere un po’ di ordine e poi goderci la nostra parte di distensione. Vi sarà apparso davanti l’abisso. Capite da quale violenza del caso mi sono sentita investire. In momenti così si annaspa nel vuoto mentale prima di capire quale faccia della nostra identità tirare fuori, quale straccio di reazione.

Mentre papà e nonno spiegano ai bambini ignari cosa è successo e vagliano le soluzioni da adottare, io mi prendo a braccetto una lettura di qualche mese fa e mi ci confronto.

Scherzetto con la maiuscola – di Domenico Starnone  è stato pubblicato da Einaudi nel 2016 e subito dopo devo averlo avuto come dono da un club di lettura a cui facevo ordinazioni ogni mese. Fatto sta che una sera di qualche tempo fa lo trovo ancora avvolto nel cellophane e lo porto su con me per la lettura serale prima di dormire.

Di fatto ho letto molto e dormito meno. Dentro ci ho trovato la storia di un nonno che corre in soccorso alla figlia che vive lontano, a Napoli, per accudire il nipotino di quattro anni durante una assenza di lei e del marito.

Si tratta di pochi giorni. Bastano però perché questo nonno di oltre settant’anni veda lacerate le proprie abitudini e si senta scaraventato in un altrove che lo sconcerta.

Un altrove in cui vigono le leggi della quotidianità fatta a misura di bambino, come accade a me neppure lui riesce più a lavorare: nel suo caso niente disegni né rapporti con l’editore, il tempo risucchiato dai giochi e dalle richieste del nipotino.

In una sera di nubi minacciose anche la porta finestra che dà sul balcone del vecchio appartamento di famiglia fa tunfperché il bambino dicendo “Nonno, ti faccio uno scherzetto” l’ha spinta con tutte le sue forze e l’ha chiuso fuori, al freddo della sera e più tardi alla pioggia.

È il momento più difficile nel romanzo di formazione di questo anziano signore, che sta vivendo da giorni i sentimenti più inusuali accanto al bambino e che ha provato perfino “avversione” per lui. Ora deve parlargli al di là del vetro e deve rassicurarlo, in una sorta di piccola epifania lo vede per quello che è: “piccolo, esposto a tutto”.

E mentre la pioggia si fa sottile, il nonno ormai “zuppo dai capelli alle ciabatte” sa leggersi dentro: “Dovevo aver attraversato un confine senza rendermene conto e ora non riuscivo più a preoccuparmi per me. La vita, tutta la mia vita, era scivolata di lato, alle spalle, senza rammarico”.

Trova le parole giuste, il tono giusto per convincere il bambino a fare un ultimo tentativo…e la porta scatta e si riapre. Nonno e nipote preparano la cena e, mentre mangia, il primo dice all’altro che non lavorerà più. Alla madre che rientra il giorno dopo dice anche che loro due, in definitiva,  se la sono spassata “moltissimo”.

Il senso del libro non è tutto qui: per l’anziano e ancora famoso disegnatore i giorni col nipote sono un lungo viaggio a ritroso dentro se stesso, una rilettura delle scelte fatte e della centralità del suo successo professionale nelle dinamiche familiari.

Ma a me basta prendere a braccetto la storia, accelerare verso il finale del mio romanzo di formazione e preoccuparmi di questi due bambini che hanno un’aria così mortificata. Propongo a entrambi un tranquillo giretto con la bici, mentre aspettiamo che il papà vada a prendere a casa loro, a 12 chilometri da qui, le chiavi di riserva.

Nota bibliografica:

  • Domenico Starnone, Scherzetto, Einaudi, 2016

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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