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“Quando eravamo orfani” di Kazuo Ishiguro, ovvero della incertezza.
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Quando eravamo orfani di Kazuo Ishiguro, ovvero della incertezza.
Ancora non so a quale tra i criteri di giudizio appellarmi e per quale parere definitivo propendere dopo avere letto il romanzo di Ishiguro uscito in Inghilterra nel 2000 e nello stesso anno in Italia presso Einaudi, con la traduzione di Susanna Basso. Il titolo, Quando eravamo orfani.
Faccio il processo alle intenzioni: volevo conoscere un autore che ha vinto il Nobel nel 2017, che è quasi mio coetaneo ed è nato in Oriente, anche se si è trasferito in Inghilterra quando era bambino. Mi piaceva approfittare del fatto che fosse il libro del mese per il gruppo di lettura della Biblioteca al mio paese e che ne potessi parlare con gli altri lettori, di solito appassionati nel confronto a lettura avvenuta.
Ho letto con buona volontà, spingendomi a continuare anche se il ritmo della prima parte, tutta giocata sull’esercizio meticoloso della memoria del narratore-protagonista, mi pareva molto lento, appesantito da frequenti digressioni e dal recupero di ricordi personali ricostruiti fino nel più riposto dettaglio.
La narrazione parte dagli anni Trenta: da Londra Christopher Banks ricostruisce gli anni in cui ha frequentato prestigiose scuole inglesi grazie alla adozione di una zia e la brillante carriera di detective che gli sta dando onore e fama. Andando ancora più indietro nel tempo racconta la sua infanzia a Shangai e il successivo trasferimento in Inghilterra dopo essere rimasto solo in seguito al misterioso rapimento dei genitori.
Come ho continuato la lettura: a piccole dosi, con un intenso coinvolgimento nella parte centrale, dove il protagonista torna a Shangai alla ricerca della propria infanzia. Siamo nell’autunno del 1937, nel pieno della guerra sino-giapponese: Christopher è qui, anche dopo tanti anni resta tenacemente attaccato all’idea di ritrovare il nascondiglio in cui sono tenuti prigionieri i genitori. Il padre che lavorava nel commercio dell’oppio e la madre che si batteva per i diritti civili.
Il racconto si snoda tra i ricevimenti e le cene nella parte della città occupata dagli inglesi, la Concessione Internazionale, e le macerie della zona di guerra che si trova esposta all’attacco delle truppe giapponesi. Tra le case distrutte e i corpi dilaniati si avventura il protagonista, armato soltanto della sua curiosità di figlio e di detective.
L’atmosfera risulta tuttavia surreale e incongrua e stride con l’esercizio della razionalità che ci si aspetta da un investigatore. Si aggiunge all’insieme anche l’altro grande tema che caratterizza l’epica classica, l’amore. A Shangai infatti Christopher ha ritrovato Sarah, la donna che ama da tempo anche se non lo ha rivelato con chiarezza al lettore (e a se stesso). Ritrova Akira, il grande amico dell’infanzia. Non si tratta, però, di incontri veri. Tanto attesi e ora non consumati, non portano alcuna modifica sensibile al progetto di ritrovare i genitori.
Nella terza e ultima parte lo ritroviamo nel 1958 a Londra mentre ricorda di avere ritrovato solo la madre a Hong Kong, grazie a un successivo viaggio in Oriente avvenuto tempo prima. Ha accanto la figlia adottiva Jennifer che gli offre il suo affetto. Sa di avere portato a termine la propria missione, quando si sentiva orfano. Missione individuale, che di epico ha poco.
Per motivare il mio giudizio, che sul libro resta sospeso, devo fare ricorso a un paio di categorie narratologiche. La prima riguarda l’organizzazione dei materiali narrativi nell’intreccio: mi sembra troppo espansa la prima parte dedicata all’infanzia e giovinezza vissute in Inghilterra.
Non solo, il cursore del tempo fatica a muoversi in avanti e viene continuamente interrotto e riportato all’indietro dal narratore per rovistare nella sua memoria. Al lettore spetta il lavoro paziente di ricucitura della parti, che solo una volta messe in ordine cronologico dànno chiarezza sul vissuto di Christopher, ma non mi hanno provocano empatia.
Quando nella seconda parte lo si ritrova a Shangai è un sollievo capire che la storia è andata avanti, che ha trovato uno sbocco. Dove, però, si guadagna in ritmo e pregnanza narrativa si perde in plausibilità, in verosimiglianza. L’investigatore inglese che attraversa le macerie della città, trascinandosi appresso l’amico Akira pressoché moribondo e lo incalza come se fosse un arzillo Sancho Panza, fa pensare alla cecità furiosa di Orlando che trascina il suo cavallo morto per le contrade d’Europa.
Tra guerra e amore, lì a Shangai, Chistopher vede sbiadirsi la propria personalità: declina la scelta amorosa lasciando sola Sarah e, in alternativa, non ha i mezzi per muoversi nel labirinto delle macerie alla ricerca dei genitori perduti.
Fin dall’inizio del libro il narratore ha assunto il punto di vista del personaggio protagonista e si è messo alla pari con lui quanto a conoscenza degli eventi che succedono: per tutta la durata del racconto anche il lettore apprende le cose, a mano a mano che accadono, insieme al protagonista che le vive.
La lettrice che sono stata, tuttavia, non si è sentita di condividerle, non ne è stata complice. Le emozioni e i sentimenti di Christopher non vengono infatti esplicitati. Scopre la verità su chi ha manipolato la storia dei suoi genitori e la sua? Ama una donna e adotta una figlia? Si cimenta dunque con i grandi amori della vita, dopo quello smarrito dei genitori? Non li tratteggia e invece si rifugia dietro la fenomenologia della sua vita interiore per quello che si può vedere dall’esterno, disperde nei gesti esteriori la carica emotiva che li origina.
Concludo che a rendermi incerta è la mancanza di complicità nel patto che il narratore ha impostato nel momento in cui si è posto come fonte del racconto.
Qualcuno del gruppo lettura, una minoranza, ha apprezzato la storia per la sua drammaticità e ha avvertito la profonda sensibilità del protagonista. La materia narrativa ha fatto scattare un senso di adesione alle parole del libro e alla sua storia.
Quanto a me, prendo atto che sono i modi della narrazione ad avermi tenuta lontana.
Cover: Shanghai negli anni 30 su licenza di Wikimedia Commons
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Roberta Barbieri
Commenti (1)
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Molto bello. Grazie Roberta