Vite di carta. La vita intima di un’occidentale
L’ho visto a Che tempo che fa intervistato da Fazio e ho pensato ‘compero e leggo subito il suo ultimo libro’. Lui è Niccolò Ammaniti e il libro è uscito il 17 gennaio scorso col titolo La vita intima. Eccolo lì esposto alle domande del conduttore, a disagio come sempre, ma sempre reattivo e profondo nelle risposte.
Dice di essere tornato alla scrittura dopo otto anni di silenzio, in cui ha curato la regia di due serie televisive. Poi ha sentito di voler riempire il vuoto del lockdown scrivendo un romanzo come questo, psicologico, per andare oltre nello scandaglio del personaggio, come la letteratura può fare, meglio di altre arti come il cinema.
Dell’intervista che è corsa via veloce ricordo più che altro lui e la sua barba brizzolata, i capelli pure, e l’aria da adulto complesso che ha messo su. Sicché ho cominciato a leggere il libro senza ricordare nulla o quasi della trama.
Maria Cristina Palma, che ne è la assoluta protagonista, compare al centro fin dalla prima pagina e trionfa immediatamente per l’opulenza della sua casa, un grande attico nel cuore di Roma, e la cura della sua bellezza, che le occupa questo inizio di giornata, il 21 febbraio di un anno non precisato, uno di questi che viviamo.
‘Ecco un’altra bellissima che occupa la scena, speriamo che anche il resto del libro non sia banale’: con questo pensiero vado cercando un altro romanzo che ho letto di recente, Nel guscio di Ian McEwan, il cui narratore è un bambino in procinto di nascere.
Uno che aspetta di uscire dalla pancia della sua mamma bellissima e intanto indaga sul mondo che lo accoglierà, raccogliendo ogni possibile indizio. Uno che la sa lunga, come si apprende leggendone le riflessioni, e che verso la fine del libro deve constatare la colpevolezza della madre in un reato gravissimo. Perciò, per l’amore che le porta, tenta fino allo stremo di difenderla pensando così: “Non riesco a scacciare il pensiero assurdo che i bellissimi dovrebbero vivere in base a codici particolari”.
Mi pare il primo banco di prova per Maria Cristina, che vengo a sapere è moglie del Presidente del Consiglio e madre di Irene che ha dieci anni. A che scopo Ammaniti può avere scelto un personaggio che ha ricchezza, bellezza e potere? Certo, ha attraversato gravi dolori e lutti familiari dolorosissimi e prematuri. Ma che donna è? Cosa può avere da raccontare dall’alto del suo codice particolare di vita?
Il narratore in terza persona racconta per lei e ne adotta il punto di vista con tanta adesione da far sbiadire ogni filtro linguistico e restituircene intatti i pensieri, per esempio quando Maria Cristina riceve delle vecchie foto da un ex fidanzato che ha rincontrato per caso il giorno prima. Sono foto di un’estate passata insieme da ragazzi quando Alessio, il fratello di lei, era ancora vivo: “Una fitta d’emozione le serra la gola mentre si rivede lì con suo fratello, i due orfani felici. Liberi dai nonni, con tutta la vita davanti”.
La lingua che usa Ammaniti fotografa del resto, con lucidità a tratti spietata, le costrizioni a cui è legata nella vita quotidiana come moglie del premier, una assistente personale la monitora continuamente, la sicurezza la segue in ogni movimento. Il marito le chiede di sostenerlo con la sua decorativa presenza a ogni occasione ufficiale, anche se Maria Cristina si tiene lontana dalla politica.
Ammaniti fotografa alle spalle della protagonista anche gli intrighi del palazzo, il cannibalismo della politica e finisce per ritrarre “la strepitosa autobiografia di una nazione che passa dal ritratto di questa donna che a tutti un poco somiglia”, come sostiene Concita De Gregorio dalle pagina di La Repubblica. Somiglia a una icona della contemporaneità e per buona parte del libro la vediamo attaccata tenacemente al mito della esteriorità, alla bellezza tutto glamour.
Otto capitoli del libro ci raccontano quel che le accade in una settimana. Di mercoledì ritrova, come dicevo, una vecchia fiamma, si incontrano anche il giorno seguente e lei elude il programma fissato per la giornata e gli sta vicino.
Insieme ricordano il passato e Alessio, il fratello che non c’è più.Quando lui le manda oltre ad alcune vecchie foto un video compromettente su di loro, la vita interiore di Maria Cristina ne resta sconvolta. Sei giorni per sconvolgere il suo mondo: il terrore che il video possa andare in rete e rovinare se stessa e la carriera politica del marito la costringe a rivedere ogni lato della propria persona.
Si leggono d’un fiato i capitoli dal secondo all’ottavo, in un susseguirsi di svelamenti su chi sia davvero l’ex fidanzato, su chi siano i collaboratori del marito e le persone che ha intorno, chi il marito stesso. Su cosa possa dare senso alla vita, visto che così come l’ha vissuta fino a ieri sembra non averne uno autentico.
Unici punti fermi l’amore luminoso che prova per la figlia Irene e la antica amicizia con il compagno dell’infanzia che le vive accanto come prezioso tuttofare. Tutti gli altri volti le vorticano intorno avendo perduto i vecchi ancoraggi, dal passato come da una fucina dei sentimenti vengono i legami più forti. I valori e le convinzioni, le propensioni che l’hanno formata ora paiono non rinunciabili. Sente di voler aderire a se stessa.
“La paura finisce dove comincia la verità” si legge verso la fine del libro. In questa storia la verità di Maria Cristina si fa avanti a strappi, le si ribalta davanti più di una volta. E lei decide un po’ alla volta cosa vuole fare di se stessa. Quale dei due uomini, il marito o l’ex, sono la persona con cui condividere la vita. Cosa farsene del potere che hanno i social di alzare o abbassare il pollice per la vita o per la morte.
Maria Cristina fa la sua scelta, “lancia il cuore oltre l’ostacolo” come Ammaniti dice rivolto a Fazio. Due anni dopo (e siamo giunti al nono e ultimo capitolo) riappare in mezzo a una bella natura marina e ha accanto le due persone più care, la figlia Irene e il suo uomo, quale dei due non va detto.
Il libro finisce, ma le mie reazioni di lettura non si fermano. In fondo non mi pare che lei, che pure è stata definita la donna più bella del mondo, abbia vissuto in base a una codice particolare. Ha seguito una delle parabole di vita possibili a tutti ed è passata dalla inautenticità di una esistenza fatta di lustrini, successo e finzione a scelte più autentiche.
Rileggo anche il giudizio di Marilù Oliva che ho trovato in internet: ”Un romanzo che ci fa riflettere sulle più insidiose deviazioni dei giorni nostri: l’individualismo, l’apparenza, la mistificazione della esteriorità, la superficialità, la tendenza a cannibalizzare, fagocitare, appiattire. Sono i mostri contemporanei che Ammaniti ci consegna per ricordarci che aleggiano tra di noi, ma, forse, non tutto è perduto”.
Questo che dice Oliva è vero, la fotografia scattata dal libro sul nostro mondo funziona e dal canto suo il lieto fine è in grado di lasciare aperta la speranza. A chi, però mi domando e resto perplessa.
Il messaggio positivo che Ammaniti ci ha lasciato nel suo insuperato Io non ho paura mi è sembrato, quello sì, rivolto a tutti: anche lì ha avuto la meglio il coraggio, il coraggio di un bambino di nove anni che ha fatto la sua scelta. Ha salvato la vita a un altro bambino suo coetaneo sull’onda del senso di giustizia naturale che ha trovato dentro di sé.
Nella vicenda di Maria Cristina, pur raccontata benissimo, aleggia (l’ho sentito in ogni pagina) un messaggio elitario, che potrei definire il senso del privilegio. Vi troneggia la compagine valoriale dell’occidente del mondo, declinata per di più in un paese come il nostro che fatica a scrollarsi di dosso il suo provincialismo.
Mi pare che in questo romanzo abbia avuto più coraggio Maria Cristina, nella sua vita di carta, che non lo scrittore che l’ha creata.
Note bibliografiche:
- Niccolò Ammaniti, La vita intima, Einaudi Stile libero, 2023
- Ian Mc Ewan, Nel guscio, Einaudi, 2016 (traduzione di Susanna Basso)
- Niccolò Ammaniti, Io non ho paura, Einaudi, 2001
Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di carta, clicca [Qui]
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Roberta Barbieri
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Articolo bellissimo