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Ferrara film corto festival

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Vite di carta. Custode di un giorno

Ho letto a lungo durante la notte: strana conclusione dopo una giornata dedicata alle parole di altri due libri, diversissimi tra loro. Potevano bastare, e invece ecco queste altre pagine da Caffè amaro di Simonetta Agnello Hornby.

Nel silenzio leggo di Maria, la protagonista che vive a soli trent’anni il momento del disincanto e della consapevolezza amara: capisce di avere sposato un  uomo ricco che è il ritratto del prestigio, ma è infantile e fatuo. Prende su di sé, allora, i carichi familiari e si occupa di amministrare i beni che con fiducia il suocero le sta affidando perché li protegga.

Si cura di allevare i figli, e intanto cresce culturalmente, studia e apporta innovazioni nelle dimore che abita. Siamo in Sicilia nei primissimi anni del Novecento e la novità di insegnare a leggere e a scrivere alle domestiche non passa inosservata presso i parenti nobili e nell’opinione comune.

Nel silenzio mi pare che la storia raccontata da Caffè amaro esca dalla brossura del libro e per vie impensate vada a raggiungere il volumetto prezioso di cui si è parlato in gruppo stamattina (ormai ieri mattina) in carcere.

La mente non vuole credere che i due libri possano parlare tra di loro. Men che meno con  il terzo, quello che è stato presentato nel pomeriggio alla Biblioteca Ariostea di Ferrara: una raccolta di ritratti di donne forti e coraggiose di cui in un altro momento scriverò.

Nel silenzio, tuttavia, la stanchezza è la compagna più saggia: riesce a guardare al fondo della giornata e trova quello che unisce la storia di Maria, le storie delle altre donne forti e le storie che si raccontano come attitudine a stare nel mondo. A custodirne le forme che il vento modella, intere dune create dall’esistenza delle correnti o anche solo un granello di sabbia.

Siamo nella sala polivalente del carcere di Ferrara e le due ore del mattino di norma riservate alle attività culturali volano letteralmente. Al centro di questo incontro è Custode di dune, che Lucia Boni ha pubblicato nel 2018 e che ha voluto presentare qui, oggi.

L’ho letto nei giorni precedenti all’evento lottandoci contro. Non afferrandolo se non verso la metà e poi lasciandomi andare alla sua musica.

Una voce narrante resta a lungo sulla spiaggia a fine estate, contempla il mare e intanto le arrivano le storie narrate dai pescatori che sono rientrati con le barche e a turno raccontano.

Si insinua nel paesaggio già così diafano una figura senza forma, quasi una luminescenza: il nome è Esblanco, la sua attitudine è quella di sentire con intensità e in formule mutevoli il tutto che circonda le cose. Il tutto che ci riguarda.

Esblanco è custode della vitalità di voler nascere, esprime i momenti della vita che ci illuminano e ci fanno vibrare. Può passare da un corpo a un altro, rivelare la vitalità dentro le piante e perfino nelle pietre. Proprio perché gli oggetti non ci appartengono meritano rispetto e condivisione.

Ecco, ho pian piano smesso di cercare di capire e ha accompagnato la musica delle parole, veri e propri veli lessicali sollevati dalle note suonate dalla natura. Tutti gli altri elementi del testo, la nonna e il bambino, le altre figure apparse e poi andate, gli oggetti come relitti rimasti impigliati nella sabbia, sono entrati in sintonia tra loro.

Hanno testimoniato la loro appartenenza. La lettura si è fatta sensazione, convinta dispersione nel mare delle cose.

Negli interventi seguiti alla bella presentazione di Francesca Mellone ognuno di noi ha suonato una nota di dialogo con Lucia e con il suo piccolo grande libro. Chi ha letto una pagina, chi ha ragionato sul valore delle parole, così evocative e rispettose delle cose da rischiare l’animismo.

Francesco, che in carcere legge e ascolta musica assiduamente, suggerisce di ascoltare Oceano di silenzio di Franco Battiato, inebriato dalle parole di questo libro che, dice, sono un mezzo per evocare molto altro. Non sono come le parole che si usano “qui dentro”, le parole finalizzate e aride dei regolamenti e della legge.

Capisco che ogni altra storia che ho letto può stare qui, dentro Custode di dune. In una delle sue tre scene, può stare dentro la voce narrante o dentro gli interventi di Esblanco, che ci invita a prenderci cura del mondo e ci avverte che lo stiamo perdendo. Può stare nelle storie dei pescatori che vengono da lontano nello spazio e nel tempo.

Il tempo di un giorno: accetto la chiamata e scrivo e custodisco quello appena passato, con i suoi spazi e con le parole che gli hanno dato forma. Un giorno pieno di imprevista armonia.

Nota bibliografica:

  • Lucia Boni, Custode di dune, Campanotto Editore, 2018
  • Simonetta Agnello Hornby, Caffè amaro, Feltrinelli, 2016

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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