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Vite di carta. Beppino Levi: chi era costui?

Vatti a fidare dei lettori. Lo dico alla cara amica Dalia Bighinati, autrice di un libro prezioso che raccoglie i ritratti di ventisei donne “geniali, libere, coraggiose” come le definisce il sottotitolo. Donne che hanno avuto la forza di andare alla ricerca della propria vocazione, oltre gli stereotipi e i condizionamenti culturali e sociali, e che come dice il titolo hanno agito Senza paura.

Di me come lettrice Dalia conosce l’impegno e la passione, ora però deve vedermi mentre mi intrufolo nel capitolo dedicato a Rita Levi Montalcini e rileggo la pagina in cui viene sottolineato il ruolo fondamentale che il professor Giuseppe Levi ha rivestito nella carriera universitaria della ricercatrice, futura premio Nobel per la Medicina nel 1986.

In calce al capitolo trovo la ricca nota che dà rilievo a Giuseppe Levi (Trieste, 1872 – Torino, 1965) in quanto “ha tenuto a battesimo tre premi Nobel” nel campo della Medicina: oltre a Rita Levi Montalcini, anche Renato Dulbecco premiato nel 1975 e Salvatore Luria nel 1969.

La nota mi dice soprattutto che è il padre di Natalia Ginzburg, e come tale mi stava arrivando con la voce di altre letture. È proprio lui, che “tuona” passando per i corridoi di casa e lancia rimbrotti a moglie e figli quando la scrittrice è bambina, è quel padre burbero dalle abitudini stravaganti che troneggia in alcune della pagine più belle di Lessico famigliare, con cui la Ginzburg vinse il Premio Strega nel 1963.

Un libro che è stato una pietra miliare per me anche nelle vesti di insegnante, che mi faceva ridere durante la lettura di alcune parti in classe. Mai tralasciata la pagina in cui di Beppino Levi la figlia Natalia ricorda che usciva nelle fredde mattine invernali a Torino per andare in Università “con le mani dietro la schiena, la pipa, quel suo passo storto, una spalla più alta dell’altra; per le strade non c’era ancora quasi nessuno, ma le poche persone che c’erano lui riusciva a urtarle nel passare, camminando aggrondato, a testa bassa”.

Dalla pagina di Senza paura in cui viene ripresa la “splendida autobiografia”  di Montalcini, Elogio dell’imperfezione, traggo qual è la destinazione a cui ogni mattina il professore è diretto: il Laboratorio di Anatomia dell’Università di Torino, dove ha lavorato per lunghi anni, fino alla interruzione forzata della guerra e ancor prima delle leggi fasciste contro gli ebrei del 1938.

Apro l’Enciclopedia Biografica Universale della Treccani e alla voce Lèvi Giuseppe trovo che dal 1916 il professore ha tenuto l’insegnamento di anatomia umana nelle Università di Sassari, Palermo, Torino.

Ora capisco perché la moglie Lidia, che è così freddolosa, nel Lessico rimpiange il clima caldo di Palermo mentre ora vive col marito e i figli in Via Pastrengo a Torino. E comprendo come mai nel 1940 il professore si trovi in Belgio e i suoi famigliari, Lidia e i cinque figli, ascoltino angosciati la radio francese per avere notizie dell’avanzata tedesca in quel paese.

Vedi che entro nel tuo libro andando contro corrente, Dalia cara, e in punta di piedi ti sottraggo tra tante figure femminili proprio questa, che è di uomo e di padre, di studioso e di insegnante, in un collage letterario a cui aggiungo parti importanti a così tanti anni di distanza. Ho portato Lessico famigliare e altri romanzi di Natalia Ginzburg all’esame di maturità nel 1975, preparando per bene il discorso su trame e valore narrativo di ogni opera.

Del padre, che apre e conclude con i suoi modi di dire il Lessico, ho conservato nella memoria per anni solo il ritratto privato. Ho anche messo in circolo nelle classi alcune sue battute, del tipo “non fate malagrazie” oppure “non fate sbrodeghezzi”, con lo scopo duplice di frenare l’esuberanza dei ragazzi e di far sentire vicini i personaggi dei libri che si leggono. Di comunicare con i libri.

Un ultimo richiamo tra le voci dei libri. Di suo padre Natalia ricorda i romanzi che leggeva: finché non conobbe i libri di Simenon il commento si mantenne sempre identico. “È bello quel romanzo, Beppino? – chiedeva mia madre, – Macché! una noia! un sempiezzo!”

Ricorda soprattutto quello che faceva più spesso la sera, nel suo studio, quando lavorava alla correzione delle bozze dei suoi libri e vi incollava le illustrazioni. Leggo sulla Treccani almeno uno dei titoli, il Trattato d’Istologia del 1927, “ispirato all’orientamento fisiologico e biologico che, secondo L., dev’essere dato allo studio delle scienze morfologiche”.

Di Beppino Levi intellettuale e padre rumoroso ma profondamente attaccato alla famiglia, del suo essere ebreo e antifascista e amico di grandi nomi della storia e della cultura della prima metà del Novecento ho davanti un collage meno lacunoso, fatto di immagini in bianco e nero con sprazzi di color ruggine come un suo vecchio maglione, qua e là nuvolette da fumetto riportano le sue frasi lanciate come un personalissimo stigma sul mondo.

Mi fermo qui, la smetto prima che dal Lessico esca la sua voce tonante per dirmi di non “fare il teatrino”.

Nota bibliografica:
Dalia Bighinati, Senza paura, BookEditore, 2024
Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi, 1963
Enciclopedia Biografica Universale, Biblioteca Treccani, 2007, vol.11

Cover: Il Professore Beppino Levi con l’allieva Rita Levi Montalcini

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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