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Visto da vicino nessuno è normale. La follia nel DDL 1179, “Disposizioni in materia di tutela della salute mentale”

Se per Basaglia “visto da vicino nessuno è normale”, se ormai è consolidato il concetto che non esiste un confine fra follia e normalità, se sappiamo che solo Lombroso poteva pensare di distinguere fra sani e folli, come è possibile che sia stato presentato un disegno di legge con la proposta di “interventi che riducano il divario esistente tra le persone affette da disturbo mentale e le persone sane”?

Questo ha scritto Francesco Zaffini di Fratelli d’Italia nel DDL 1179, Disposizioni in materia di tutela della salute mentale presentato al senato il 27 giugno scorso (qui il testo e qui un articolo su Repubblica, unico quotidiano che finora ne ha parlato).

A me queste parole suonano come “ridurre il divario fra chi deve usare una sedia a rotelle per muoversi e chi no”, “farò uscire il caffè dai rubinetti”. Quale sarebbe lo scopo? Far camminare tutti con le gambe per non dovere abbattere le barriere architettoniche? Che nessuno si senta diverso? Che sia obbligatorio essere o sembrare sani?

Dando un colpo al cerchio e uno alla botte, nel disegno di legge si parla della “incolumità e dell’aggiornamento dei professionisti” e della “massima attenzione alla sua [del “malato”] incolumità fisica, a quella dei suoi familiari e degli operatori”. Non si parla quindi del benessere di chi ha un disagio, ma della sua supposta aggressività.

Il testo è intriso della ambigua malizia di anteporre una finta offerta di protezione a chi soffre, sottintendendone nello stesso tempo la pericolosità certa, e la necessità di curare tale predisposizione mediante la segregazione e il contenimento, anche tramite la forza pubblica.

Come se tutto fosse perfettamente predeterminato e immutabile fin dall’inizio, la legge attiverà una “individuazione precoce del disagio giovanile, la prevenzione dei disturbi e l’intervento precoce psicosociale” e “l’individuazione tempestiva dei disturbi mentali sin dalle fasi dell’infanzia,” “al fine di assicurare il godimento del diritto alla salute mentale, intesa come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”.

Obbligheranno le persone al diritto di stare bene? Si capovolge anche il senso della dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la cui definizione completa recita:  ”una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità.”  Questo contraddice la distinzione fra sani e malati, perché la salute è come si gestisce l’insieme, comprese le patologie. Se una persona ha il diabete, il suo diritto alla salute si realizza nella possibilità di vivere pienamente, al di là del disagio.

Il politico si rivolge a una bella fetta di elettorato: intanto tutti quelli in cui è stata instillata la paura di tutto da una informazione malata, che ha caricato falsità sugli episodi di aggressione negli ospedali; poi gli operatori sanitari stessi, che si occupino di salute mentale o no, le famiglie, che in grande numero convivono con la sofferenza psichica in condizioni di carenza di supporto medico e di politiche sociali, la scuola, caricata sempre più di compiti che non sono i suoi.

Ancora una volta, i più fragili tra i fragili vengono individuati come capro espiatorio, facile operazione in un contesto dove ci si sente autorizzati a definire “oggettivamente” con un semplice conteggio chi è normale e chi no, senza neanche prendersi la responsabilità di dire che lo si sta stigmatizzando, crudeltà gratuita e vigliacca. L’atteggiamento è sempre quello di far credere che esistano persone sbagliate, che vanno aggiustate per il loro bene.

Un’idea completamente campata in aria, quella della pericolosità di chi ha un disagio mentale. È stato dimostrato infatti che le persone con patologie psichiche gravi commettono gesti delinquenziali con tassi analoghi a quelli di chi non ne è affetto.

Il DDL Zaffini è la concretizzazione di questo: deriva da una cultura della sopraffazione.  Le statistiche, al contrario di quello che si pensa, riportano che è più probabile che una persona con disturbo mentale subisca piuttosto che operi violenza e che di solito essa tenda a fare male a se stessa, piuttosto che agli altri.

Oggi sappiamo che il nostro comportamento è dovuto a una triade di fattori: quello biologico, quello psicologico, cioè come le esperienze ci hanno influenzato, quello sociale. È la società intorno a chi ha il disagio ad essere malata e la cura avviene in un’interazione fra i tre livelli, che si modificano a vicenda. Il modo in cui una persona può relazionarsi nel sociale è quello che la cura o la ammala: meglio faremo stare una persona nel sociale, meglio starà e meno aggressività potrà incamerare.

Lascio riflettere il lettore se sia possibile pensare che una patologia possa guarire senza la collaborazione del paziente. Durante la pandemia abbiamo assistito al rifiuto dei vaccini da parte di un grande numero di persone; la costituzione garantisce la libertà di cura.

Ma al di là di questo, si dovrebbe sapere, affrontando il tema della salute mentale, che la non consapevolezza della malattia è un sintomo esso stesso che si chiama “anosognosia”. Lo psicologo Xavier Amador raccontava di una signora che doveva prendere i farmaci e che, quando li trovava nella spazzatura, chiedeva ai familiari di chi fossero, perché non si rendeva conto di averli buttati lei. Amador ha studiato un approccio alle persone con disturbo che ottiene la loro fiducia e la loro aderenza alla cura, ma tale approccio esclude categoricamente la coercizione e se seguite uno dei suoi video, molto piacevoli, potete anche capire perché l’obbligo non può funzionare.

Certo anche il nostro Zaffini dice che bisogna cercare di ottenere il consenso, ma senza contarci troppo. Nel disegno di legge infatti “sono disposte le misure di sicurezza pubblica necessarie al contenimento degli episodi di violenza contro il personale”, “Gli operatori della salute mentale attuano misure e trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali”. Il trattamento sanitario obbligatorio viene esteso da un massimo di 7 giorni a 15 giorni: non so se questo sia un modo per rendere la vita degli operatori e delle operatrici più semplice.

Una persona con un disturbo non è necessariamente violenta, quindi, e anche se ha una psicosi può scegliere di non commettere le azioni comandate dalle voci che sente, tanto che tra gli psichiatri è aperta la discussione se sia opportuno perseguire chi commette un reato avendo un disturbo psichico. D’altronde si rileva continuamente che gli autori di delitti efferati non soffrono di patologie psichiche.

Purtroppo la professionalità anche degli psichiatri non è sempre al massimo livello, e pare che non tutti siano padroni delle tecniche di de-escalation che servono per placare lo stato d’animo di un paziente agitato. Queste tecniche sono usate in vari campi, tanto che lo psichiatra Valerio Rosso, che pubblica un brillante e utile blog, consiglia il testo usato dalla polizia negli Stati Uniti Conflict Management For Law Enforcement: Non-escalation, De-escalation, and Crisis Intervention For Police Officers. Ognuno, ognuna di noi ha bisogno di apprendere queste tecniche che ci possono proteggere in situazioni di violenza in cui possiamo incorrere.

Allora difendiamoci davvero e contrastiamo il disegno di legge Zaffini, su cui è già stata avviata, da associazioni e personalità autorevolissime, una raccolta firme. [ Qui] l’appello: Fermare una tragica nostalgia di manicomio, e reagire.

Cover: Marc Chagall, Muveszete lart 

Per leggere gli articoli di Daniela Cataldo su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

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Daniela Cataldo

Scrivo regolarmente sul blog UnaScuolaFuoriclasse a partire dall’esperienza in prima persona, anche come insegnante. Ho riscontrato che non sempre la scuola sa orientarsi e orientare riguardo a certe problematiche, lasciando i genitori soli e incompresi. Quando insorgono difficoltà, più o meno temporanee, quali la dislessia, un disagio emotivo, un disagio psichico, il segnale principale è “andare male a scuola”. Per me, però, è la scuola che “va male” quando non si adatta alla extra-ordinarietà. Vorrei raccontare la mia esperienza sul tema, offrire ascolto a genitori e insegnanti e dare indicazioni su come e dove chiedere aiuto e informazioni. Mi piacerebbe che l’accoglienza e il supporto che i genitori, per necessità vitale, imparano a dare, giungessero ai ragazzi e alle ragazze direttamente, senza necessità di sollecitazioni, da insegnanti consapevoli e competenti che sanno osservare ed ascoltare

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