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Uscire dal modello neoliberista per progettare il futuro: gli ingredienti, le difficoltà, le occasioni

Riprendo il ragionamento svolto in un primo articolo su Periscopio [vedi qui], dove sottolineavo che il tema emergente è che il neoliberismo sta volgendo verso soluzioni di comando, di carattere reazionario e anche verso la guerra, provando a cimentarmi con quello che possiamo mettere in campo, quali possono essere i perni di una risposta possibile per invertire questa tendenza regressiva e distruttiva.

La premessa, ovvia, è che non esiste una ricetta già confezionata, altrimenti non ci troveremmo a questo punto, né ho la pretesa di delinearla in queste poche righe, visto che essa non può che essere il prodotto di una ricerca e di una riflessione collettiva.

Alcuni riferimenti importanti, però, penso sia possibile tracciarli.

La pace al primo posto

Il primo è che si tratta di ricostruire un’ “ideologia forte” e un progetto di trasformazione radicale che la possa tradurre in scelte concrete.
Parlo di ideologia, intesa come visione di un mondo diverso e alternativo al neoliberismo e al capitalismo, una volta preso atto che il comunismo concreto e la redistribuzione socialdemocratica non aiutano più per andare in questa direzione. E di un progetto che non può che partire da mettere al primo posto la pace e la lotta per affermarla.

Mettere la pace al primo posto è tutt’altro che un punto di vista generico o, peggio, una sorta di appello agli uomini e alle donne di buona volontà. In realtà, ciò significa proporre un approccio radicale e in contrasto totale con quanto sta succedendo, se solo pensiamo che la spesa militare europea oggi è arrivata a 380 miliardi di dollari, mentre erano 230 nel 2014, oppure alla moltiplicazione delle prese di posizione che ideologicamente ci preparano alle guerre prossime venture, in primis quella del capo dell’esercito inglese, che parla tranquillamente dell’attuale popolo britannico come di una “generazione prebellica” che deve prepararsi a combattere una guerra che la Russia scatenerà nei prossimi anni o, ancora, all’incredibile dichiarazione di questi giorni del Commissario UE Gentiloni, che afferma tranquillamente che “emettere eurobond per finanziare la difesa europea è un’ottima idea” ( sic!).

Per questo, affermare la pace comporta almeno la condivisione di 3 principi di fondo e azioni conseguenti:
– la centralità
dell’iniziativa diplomatica e l’opposizione all’idea che le guerre possono intervenire per risolvere i conflitti internazionali e che occorre respingere fermamente la retorica della “vittoria”;
– la necessità che si proceda ad un disarmo progressivo e sostanziale, arrivando all’eliminazione delle testate nucleari e, perlomeno, come primo passo, ad una grande riduzione della spesa militare;
– il rifiuto
dell’impostazione per cui un modello di difesa europeo non p che basarsi sul possesso delle armi atomiche e sul riarmo e, invece, guardare ad un modello non armato e non violento.

La conversione ecologica

Il contrasto al cambiamento climatico e la conversione ecologica dell’economia sono un altro punto fondamentale per progettare il futuro ed evitare la distruzione del pianeta e della specie umana: anche qui non è possibile ragionare in termini neutri, perché scegliere quest’opzione significa pensare di abbandonare l’economia del fossile, uscire dalla dittatura delle imprese Oil&Gas, spingere sulle fonti rinnovabili e sulle filiere industriali che le sostengono.
Del resto, economia di guerra e rilancio delle imprese della filiera fossile marciano di pari passo: secondo la Ong Global Witness, dall’invasione russa dell’Ucraina del 2022 ad oggi le 5 più grandi società del settore ( BP, Shell, Chevron ExxonMobil e Totalenergies) hanno guadagnato ben 281 miliardi di dollari, grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche, frutto della combinazione di guerra e speculazione finanziaria.

La diseguaglianza sociale

Terza questione fondamentale è quella relativa ad abbattere la diseguaglianza sociale, che è in corso e si sta ampliando in tutto il mondo e anche nei Paesi “sviluppati”, giungendo al punto per cui, nel 2020-2021, l’1% più ricco del pianeta si è appropriato di quasi i 2/3 della ricchezza prodotta nel medesimo periodo.

Pace, contrasto al cambiamento climatico e lotta alle disuguaglianze costituiscono i pilastri su cui costruire un altro modello produttivo, sociale ed ambientale, basato sulla centralità di un nuovo intervento pubblico nell’economia e sull’estensione del potere decisionale delle comunità e delle persone. Che si porta dietro, conseguentemente, un’altra idea di Europa, la consapevolezza di dover lavorare per un mondo multipolare e l’affermazione della democrazia, l’apertura delle frontiere e la realizzazione di di una politica di accoglienza per i migranti, una politica fiscale che ricostruisca progressività e colpisca i grandi patrimoni, l’ampliamento dei diritti sociali e civili, a partire da quello ad un lavoro dignitoso, l’affermazione dei beni comuni, contrastando alla radice il potere dei grandi monopolisti digitali, la lotta contro il patriarcato.

Non c’è bisogno di dire che percorrere questa strada implica l’idea di uscire dal modello neoliberista e dal capitalismo, che hanno come basilare riferimento l’idea che il mercato sia unico regolatore economico e sociale e che il profitto non solo muove il mondo, ma che produce l’interesse collettivo.
Al posto della società del profitto va costruita la “società della cura”, intesa come quella che valorizza l’insieme delle persone e del mondo che ci ospita, appunto l’ “ideologia forte” di cui abbiamo bisogno, quella che potremmo definire di una nuova sinistra adeguata ad affrontare le questioni del nostro secolo.

Una sinistra politica arretrata e subalterna

Arrivati a questo punto, diventa ineludibile la domanda di quale può essere il soggetto che porta avanti queste istanze, che si fa carico di quest’impresa assolutamente non semplice. Nella situazione attuale, certamente non si intravedono nella rappresentanza politica, a parte limitate eccezioni, forze politiche che si collocano coerentemente in quest’orizzonte.

Lasciamo ovviamente da parte la destra, che ha un’idea di modello sociale e produttivo sostanzialmente autoritario e nazionalista, ingredienti che incorporano il ricorso alla guerra come fatto normale, guidato dal mercato e dai poteri forti, anche quando ammantato da varie dosi di populismo, fortemente orientato da un’impostazione negazionista rispetto al cambiamento climatico e ostile alla conversione ecologica.

Purtroppo anche nel campo “progressista” (che non mi sento di definire di sinistra, sulla base dei concetti sopraesposti) siamo decisamente lontani dalla condivisione dei temi di fondo su cui costruire la “società della cura”.
Anche nel panorama italiano, come in gran parte di quello internazionale, sia da parte del PD che del M5S (sia pure con differenze e caratteristiche specifiche), non si riesce ad uscire da una sostanziale subalternità al neoliberismo e al capitalismo, non ci si discosta dall’idea che è il mercato a forgiare il sistema economico e che va tutt’al più corretto da un blando intervento pubblico quando esso diventa troppo rapace e distruttivo.
Non a caso – come accade nella fase che è di fronte a noi –  quando il neoliberismo inclina pericolosamente verso la guerra, non si è capaci di prospettare un’alternativa seria a questa deriva e ci si allinea agli orientamenti prevalenti negli USA e in quest’Europa. Né va meglio se guardiamo a cosa si propone per aggredire alla radice il tema della disuguaglianza – parlare di imposta patrimoniale o di maggiore progressività nell’imposizione fiscale sembra equivalga ad una bestemmia- o per prefigurare un’uscita importante e rapida dall’economia del fossile.

Nella società per costruire la Via Maestra

Per fortuna, le cose vanno un po’ meglio se ragioniamo su quello che si muove nella società, intendendo con essa l’insieme di movimenti, soggetti associativi e organizzazioni sociali che ne compongono la trama più viva e pulsante.

Certamente, non c’è un’iniziativa ancora adeguata e forte per mettere in discussione gli attuali equilibri sociali e politici, che anzi si muovono scientemente per spoliticizzarla e frantumarla in spezzoni corporativi e anche confliggenti tra loro.
Nello stesso tempo, però, è possibile vedere presenti e attivi soggetti che, nei territori e anche a livello nazionale, si battono per una prospettiva di pace, contrastano le iniziative disumane contro i migranti, provano a delineare ipotesi alternative per realizzare una vera conversione ecologica, lottano per rendere dignitoso e valorizzare il lavoro e altro ancora.

Non si tratta di mitizzare tutto quanto si muove nella società, sia perché siamo in presenza anche di mobilitazioni piegate a fini regressivi (vedi la vicenda dei “trattori”), sia perché le mobilitazioni esistenti oggi fanno fatica ad andare oltre ad una logica di resistenza alle scelte sbagliate e pesanti che provengono in primo luogo dal governo di destra. Emerge una difficoltà non solo a connettere i vari soggetti sociali tra loro, ma ancor più a costruire una piattaforma di orizzonte generale che renda solidi i legami reciproci, ingredienti entrambi indispensabili per produrre il salto di qualità necessario.

Ciò non toglie che è su questo terreno che si può costruire una nuova soggettività politica (non di rappresentanza politico-elettorale), non solo in Italia (per esempio, non è un caso che le grandi mobilitazioni in Germania contro le derive di destra e fascistoidi siano state promosse in primo luogo da un tessuto largo di Associazioni e soggetti sociali, ben prima delle forze politiche). Che sia possibile, per usare un’espressione felice avanzata da Gaetano Azzariti nei giorni passati su Il Manifesto, “ almeno affiancare al moderno principe gramsciano ( il partito) un centro sociale plurale”.
Da questo punto di vista, l’esperienza de “La Via Maestra”, composta dalla CGIL e da un centinaio di Associazioni e realtà sociali che lavorano sui temi dell’inclusione sociale, dell’ambiente e delle riforme istituzionali, dopo aver promosso lo scorso anno manifestazioni nazionali importanti per la sanità pubblica e contro l’autonomia differenziata e il premierato, sta iniziando un percorso significativo per strutturare e dare continuità alla propria iniziativa, sia a livello territoriale che nazionale, e può costituire una possibilità reale per compiere quei passaggi indicati prima.

Questi ragionamenti non significano, peraltro, mettere da parte il tema della rappresentanza politica ed elettorale. Sono convinto che anche qui sia importante avanzare un processo, nei territori e anche nazionalmente, che punti a ristrutturare il sistema politico oggi bloccato e incapace di dare rappresentanza alle istanze che vogliono cambiare il mondo. Con la consapevolezza che esso non può che iniziare, se non assumendo un nuovo paradigma di pensiero e di progetto.  e che ciò non si darà se non riusciremo a dar corpo ad una robusta iniziativa sociale, alla ripresa del rapporto diretto con le persone e a un nuovo reinsediamento nella società.

Insomma, ce n’è quanto basta per dare corso ad un nuovo impegno collettivo, che chiama anche alla responsabilità di ciascuno di noi per farlo avanzare.

In copertina: Roma, 7 ottobre 2023: Striscione al al grande corteo di La Via Maestra

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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