UN NUOVO MESTIERE
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UN NUOVO MESTIERE.
Un racconto
Arturo non era un informatico, ma quella cosa gli era sembrata strana in un’azienda all’avanguardia, quel personal computer sepolto sul tavolo non se lo spiegava, senza però il coraggio di formulare la domanda. Ma era una domanda inutile, perché era seduto nell’ufficio numero 999, davanti al famoso Erasmo, che neanche a dirlo conosceva in anticipo la risposta: Ci ho provato, ho moltiplicato la memoria ram, potenziato il processore e la velocità ma il computer non ce la fa, non ce la può fare; non c’è intelligenza in grado di tener dietro a tutto. A tutto?, chiese timidamente Arturo. A tutto, continuò il numero 999, perché Tutto vuol dire TUTTO, e il computer è uno solo. Proprio come me. Quassù tanto vale puntare sull’esperienza e arrangiarsi con carta e penna, il vecchio metodo artigianale. Il famoso Erasmo sbattè la mano destra su un faldone dormiente sulla scrivania, alzando una spessa nube di polvere.
L’ufficio di Erasmo era piccolo e stretto, da ogni angolo del pavimento crescevano pile di cartelle e faldoni, bisognava camminare dentro trincee di carte. Arturo si sentì soffocare e si alzò dalla sedia. Certo, lo raggiunse la voce calda di Erasmo, Possiamo parlare fuori, andiamo all’aperto, ti faccio strada.
Il corridoio sembrava interminabile e infinite le porte che davano negli uffici degli impiegati e dei funzionari. Su ogni porta nessun nome o grado, solo un numero, come negli hotel. A metà percorso, si apriva sulla destra una grande vano, la mensa aziendale perfettamente accessoriata. Un gruppo di avventori procedeva in fila indiana, costeggiando il bancone del self service, tenevano in mano un vassoio azzurro. Parlavano tra loro, sembravano allegri.
Arrivarono in fondo al corridoio. Non c’era nessuna porta, solo un grande arco che dava all’esterno. Sulla soglia Erasmo si fermò e si voltò verso Arturo che lo seguiva a qualche metro: Attento ora a uscire, guarda dove metti i piedi, un passo falso e finisci a terra. Uscirono. Erasmo, il famoso numero 999, indicò una panchina verde bottiglia. Mettiamoci seduti, qui non ci disturba nessuno, abbiamo tutto il tempo, e tranquillizzati, i problemi si risolvono. Raccontami, comincia dall’inizio. Il tono paterno fece il suo effetto e dopo qualche minuto di silenzio il senza numero Arturo fu pronto a parlare, a svuotare lo stomaco e aprire il suo cuore.
Il fatto è che io questo mestiere non l’ho mai fatto, non lo conosco, non fa per me. Io facevo il meccanico, il meccanico specializzato in camion, bestioni enormi come gli articolati e gli autosnodati. Non è facile capirci qualcosa e aggiustare un motore che pesa milletrecento chili. Ho fatto il meccanico tutta la vita, sono entrato in officina che ero un ragazzino e ci sono rimasto fino alla pensione. Nella mia zona ero uno dei più bravi, mi bastava ascoltare il rumore di un motore e capivo subito dove stava il problema e dove bisognava intervenire. Mi scusi signor Erasmo è che quando parlo dei miei motori non la finisco più. Ma vede anche lei che il mestiere di meccanico con il mestiere che dovrei fare adesso non c’entra proprio niente.
Arturo continuò: Quando sono arrivato sul posto e ho preso servizio ero pieno di buona volontà, mi sentivo pronto, felice di mettermi finalmente alla prova. Ma appena l’ho visto e ho cominciato a seguirlo, quando ho capito di cosa si trattava e cosa avrei dovuto fare, mi è caduto il mondo addosso. Erasmo fermò l’eloquio di Arturo con un semplice gesto della mano: Ma tu hai seguito tutte le lezioni del corso? Arturo si sentì quasi offeso; aveva partecipato al corso di formazione, con diligenza. Ricordava che tra i docenti c’era lo stesso Erasmo, e a lui ora mostrò il foglio dorato del suo diploma.
In quel momento un gruppo di uomini e di donne uscì all’aperto e passò davanti alla loro panchina. Parlavano sottovoce, sorridevano, tutti partecipi di una placida serenità. Quel posto era proprio un angolo di paradiso, protetto da qualsiasi tempesta. Solo lui, pensò Arturo, era in preda ai dubbi, solo lui si sentiva fuori contesto. Erasmo agitò nell’aria una mano davanti agli occhi di Erasmo, come per spazzare vie tutte le sue paure: La tua esperienza ha un nome, si chiama ansia da prestazione, molti l’hanno provata prima di te quando hanno affrontato il lavoro per la prima volta. Forse anche io al mio primo incarico, ma non posso ricordarlo, è stato molto tempo fa, in un’era antichissima. Come dice il mio numero, oggi mi occupo del soggetto numero 999, ma oggi come allora il lavoro da fare è sempre lo stesso; noi Arturo, noi due e tutti gli altri dobbiamo solo custodire.
L’angelo Arturo si sentì un po’ rinfrancato. Ormai Erasmo, quell’angelo di lunghissimo corso, decise di tenergli una piccola lezione: Non spetta a te sciogliere i dubbi, risolvere i problemi, programmare la vita di Arlindo, il bambino di sette anni che ti è stato assegnato. Quindi non doveva, e mai avrebbe potuto, volgere al bene il male, casomai Arlindo, diventato uomo, fosse caduto nel buio del peccato. La legge del libero arbitrio valeva per tutti, per gli uomini come per gli angeli. Lo stesso Arturo, senza accorgersene, era stato custodito per settantaquattro anni; ora toccava a lui custodire. Ma Come? Con amore, rispose Erasmo. Ma ancora non capiva: Il salmo 15 dice a Dio “proteggimi” ma io non sono Dio, io non so come fare. Con i motori studiavo il manuale d’istruzioni. Ecco, gli era tornata l’angoscia.
Erasmo scosse la testa: Lascia perdere camion e motori, è roba passata, e lascia da parte anche il salmo 15, e quel “custodiscimi” ripetuto e ripetuto nel canto liturgico dei nostri fratelli maggiori. Ecco, per farti capire: Sei di fianco al letto del tuo bambino, dorme agitato, si scopre, e tu che fai? che devi fare? tu lo copri semplicemente con la coperta. Alla lettera, lo proteggi. E rimani lì, al tuo posto, non ti muovi, non lo lasci solo. Non c’è altro. Ed è molto, anche se assomiglia a niente. È il tuo nuovo mestiere.
Si era levato un vento gelido, strano in un luogo come quello. Si alzarono in fretta dalla panchina e tornarono indietro verso il celeste istituto.
Note:
Salmo 15
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Francesco Monini
Commenti (7)
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Bellissimo!
Splendido
Bravo Francesco
Gli Angeli Custodi sono con noi, crediamo. Io ne ho prova.
Ho trovato non so come il quadretto rotondo in gesso con all’interno l’immagine del mio angelo custode che era appeso alla parete sopra il comodino e la sera prima di coricarmi accanto a mia madre recitavo una preghirina della quale ricordo qualche frammento. Poi mi infilavo nel letto e mia madre mi rimboccava le coperte. Che emozione.
Le piccole cose, come rincalzare le coperte, i gesti quotidiani fatti con amore hanno una grandissima importanza nella vita. Grazie per averlo ricordato con tanta semplicità e garbo in questo godibile racconto.
Il mio angelo custode si è arreso, non ne può più