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In  esergo

Nella scuola italiana la realtà e la fantasia si fronteggiano da molti anni in un’esaltante sfida quotidiana al reciproco superamento. Questo diario di un anno scolastico vorrebbe partecipare alla competizione gareggiando per la fantasia, consapevole del rischio di condividere così la sua eventuale disfatta.

 

Chiudo gli occhi e sento un profumo inebriante, che mi ricorda quello della polvere sollevata dal passaggio di carretti trainati dai cavalli essiccati di Tozeur. Certo, il caldo asfissiante alimenta l’associazione. D’altr’onde, è il 25 agosto.

Riapro le palpebre e vedo che la polvere non è sollevata da ruote tremanti, ma dalle suole frastagliate di un paio di Jordan dai colori aggressivi. Che l’odore non si effonde da refoli di traspirazione equina, ma dagli ormoni potenti di Ponzi.

Vicino a me c’è la rassegnata Monaco, dai radi capelli e dalla voce di pioggia.

Ponzi si siede di fronte a noi. Monaco mi guarda e goccia: “Cominciamo?”.

Lei non doveva neanche esserci oggi, nel nostro liceo di periferia. Il debito, a Ponzi come ad altri sette su ventisei, glielo ha dato De Nino, come sempre giudice a giugno e latitante ad agosto.

Sì, De Nino agli scrutini di fine anno ostenta sempre il suo lato inflessibile, rifiutando ogni forma di clemenza verso gli studenti marchiati dai suoi giudizi. Nel farlo, non lesina ai colleghi – provocando in essi sbuffi e vistose rotazioni di bulbi oculari – lezioncine più o meno esplicite sui guasti epocali causati dalla loro mollezza.

Poi ad agosto, quando i medesimi studenti devono tornare a dimostrarle che – per quanto li riguarda – l’epoca può stare tranquilla, De Nino immancabilmente si dilegua. Dev’esserci un demone dell’afa che l’attende al varco e ogni volta la colpisce con sciatiche, gastroenteriti, depressioni, e qualsiasi tipo di disturbo non facile da accertare in modo oggettivo.

Così, a fare i ‘recuperi dei debiti’ oggi tocca alla friabile Monaco e al sottoscritto.

Un tempo si diceva: ‘esami di riparazione’. Gli studenti, insomma, non erano dei ‘debitori’ precoci, ma soltanto ragazzini, che avevano fatto qualche danno e che ora dovevano ripararlo. Per questo erano stati ‘rimandati  a settembre’.

Già. Com’è che settembre è diventato agosto? Che intere famiglie devono riprogrammare le loro ferie per arrivare in tempo ancora una volta in pancia alla città? Che i professori sono costretti a comprimere i loro famosi quattro mesi di ferie tra la fine degli esami di maturità (circa 10 luglio) e il weekend dopo ferragosto?

Ci sarà senz’altro una buona ragione educativa, no? Sicuramente sì, ma al momento è nota solo quella burocratica: finché dura il vecchio anno scolastico gli insegnanti sono legati alla sede nella quale hanno prestato servizio, dunque obbligati a svolgere gli esami (obbligo efficacissimo, come dimostra De Nino). Con l’inizio del nuovo anno, la diaspora: chi si trasferisce in un’altra scuola, chi deve aspettare un nuovo incarico, ecc.

Certo, il problema potrebbe essere risolto non troppo difficilmente, ad esempio sborsando qualche soldino. Ma è molto più divertente sbrigarsela rompendo i coglioni a un’intera nazione.

A ogni modo, fino ad adesso con Monaco ce la siamo cavata relativamente bene. Abbiamo “esaminato” cinque delle vittime di De Nino e qualche cosa è venuto fuori. Certo, si tratta di conoscenze a brandelli, schegge di consapevolezza, snodi di argomentazione precompilati e privi di ogni flessibilità. Però, le apparenze possono essere salvate. Il calice, da lontano, può apparire mezzo pieno: sei.

Ora però c’è Ponzi, le cui sneakers da pariolino rimediate all’outlet scricchiolano incessantemente sul PVC del pavimento, come se i suoi piedi avessero una vita propria e già scalpitassero sul marciapiede policromo della libertà.

Gli comunichiamo, come abbiamo fatto con gli altri, che la sua prof “purtroppo” non può esserci per motivi di salute e che l’esame glielo faremo noi.

Lui risponde lapidario: “Lo sapevo già”.

Monaco, che ha tutta l’imprudenza di chi è affezionato al bene, non lascia cadere: “Ah… ti sei sentito con la professoressa?”.

“No. Lo sanno tutti che a fare gli esami non ci viene”.

Monaco arrossisce, quasi avesse ancora del sangue nelle vene.

Ponzi se ne accorge e gongola, e il PVC scricchiola più forte.

“Hai studiato anche il programma o ti sei limitato alla vita della professoressa De Nino?”, intervengo con una certa decisione per cercare di riportare le cose nel loro alveo.

“Non ho studiato nessuno dei due, professo’…”, rilancia e ride.

Ecco, ora siamo davvero nei guai. Qui ci scappa il bocciato. Mi guardo in giro per vedere quanti testimoni ci sono: c’è solo la mamma di Ponzi, che armeggia col telefonino. Starà filmando?

“Scherzavo, professo’…”, assicura Ponzi, “ho studiato tutta questa settimana!”.

Ora è giovedì mattina, Ponzi ha studiato tre giorni. Però, parla sul serio, è davvero persuaso di aver fatto uno notevole sforzo.

Partiamo con qualche domanda, ma Ponzi è vuoto come una cisterna d’acqua piovana nel deserto. Non solo non sa nulla, ma non ha la minima idea di quel che dovrebbe sapere. Però, non tace, anzi parla a raffica, dicendo cose senza senso. Perché lo farà? A un tratto, lo capisco: vuol far credere alla madre di star rispondendo a tutte le domande, e infatti ella lo ascolta e annuisce rapita.

Occorre intervenire al più presto.

“Quello che stai dicendo non solo non ha rapporto con le domande che ti sono state fatte, ma nemmeno con qualcuno degli argomenti in programma”.

Ponzi mi guarda con un sorriso beffardo, che istantaneamente riverbera sul volto della madre. Poi ricomincia a farneticare come e più di prima, con l’aria di chi me le sta cantando. La madre ha un’espressione estatica che ricorda Santa Teresa accarezzata dalle mani del Bernini.

Lo fermo ancora, mentre Monaco si asciuga un sudore isterico: “Ora stiamo perdendo anche un qualsiasi tipo di relazione con l’area disciplinare. Per favore, parlaci di un argomento a tua scelta tra quelli inseriti nel programma”.

È il famoso ‘argomento a piacere’, l’ultima spiaggia dell’incomunicabilità scolastica.

Ponzi improvvisamente si placa, anzi si immobilizza, quasi come un camaleonte tra rami di mangrovia.

E finalmente capisco: ha scoperto in questo istante che esisteva un programma, nel senso di un foglio di carta compilato all’uopo che lo concerneva.

Guardo Monaco che sta per avere una crisi psicotica, probabilmente autolesionista. Ma non escludo che, al contrario, stia per conficcare le sue unghie malconce nelle guanciotte del nemico.

I suoi pensieri si son fatti così pesanti che le si addensano visibilmente sulla fronte. Così, vi leggo: “Perdonami, e lasciami fare…”.

Poi estrae da una cartellina un foglio di carta stropicciato: il famoso programma. Lo porge a Ponzi e lo prega di leggerlo e di trovarvi qualcosa che “lo abbia coinvolto in modo più personale”.

Ponzi legge muovendo le labbra, e sembra quasi un pesciolino. Poi, la sua attenzione incappa in qualcosa con la quale deve essere entrato in contatto, magari attraverso i riferimenti culturali ruffiani di una serie seguita in streaming.

Monaco lo incoraggia e lo instrada finché, sul nulla, si edifica una sorta di scambio.

Ok. L’esame è finito. Arrivederci. Ponzi e madre escono, le porte si chiudono.

“Senti, Monaco, io ti ho lasciata fare, ma mica lo vorrai promuovere?”.

“Senti, tu sei ancora giovane – (sì, sono ancora più vicino ai cinquanta che ai sessanta, da queste parti vuol dire essere giovani) – non lo sai come vanno a finire queste cose”.

“No, un po’ lo so, ma qui non c’è assolutamente nulla di nulla da salvare”.

Sento Monaco cambiare voce: ora non è più pioggia, ma tintinnio di vetri infranti.

“Ascoltami: quella stronza ogni anno fa la stessa cosa, dà debiti a destra e sinistra e poi sparisce. E adesso noi ci dobbiamo prendere la rogna di bocciare questo deficiente? Con tutti i casini che succederanno? Hai visto, no, che la madre registrava?”.

“Sì, ma…”.

“’Ma’ cosa? Fai quello che vuoi, io non firmerò mai un verbale di bocciatura. Punto”.

Valuto la situazione e mi rendo conto che non c’è molto da fare.

Dico: “Ok. Promosso”. E mentre lo dico mi accorgo che era quello che desideravo anch’io.

La sapienza di un gesto scaturisce allora da chissà quale riparo dimenticato, costringendo la mie mani a muoversi come non facevano da millenni. Mi faccio il segno della croce.

Gli eventi narrati in questa rubrica sono frutto dell’immaginazione dell’autore, a esclusione di leggi, decreti, circolari ministeriali ecc., che sono frutto dell’immaginazione gerarchica. Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

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Alessandro Teja

Alessandro Teja è nato nella realtà ma è presto migrato nella fantasia, dove vive tuttora. Per questo ha deciso diversi anni fa di lavorare in un liceo: non deve allontanarsi molto da casa.

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