Incipit
Una mano sulla spalla, mi scrolla sempre più violentemente.
«Mencarelli, ’nnamo ’n po’.»
È l’infermiere, sta tentando di svegliarmi.
«Daje, so’ le undici passate, tra ’n quarto d’ora te deve vede’ er medico.» Mi prende per le spalle e mi tira su.
«Buongiorno principino, te sei fatto ’na bella dormita. E te credo, co’ quello che t’hanno sparato ’n vena, ce la fai a dimme come te chiami? Provece ’n po’?»
Ho la bocca secca. La testa rimbomba.
«Daniele. Daniele Mencarelli.»
L’infermiere si cimenta in una specie di sorriso. Avrà una cinquantina d’anni, forse qualcosa in più, il viso segnato profondamente dall’acne degli anni che furono.
«E bravo Daniele. Io so’ Pino invece, e Pino ama mette subbito le cose in chiaro: se tu stai bòno io so’ bòno, se tu fai er matto cattivo io divento più cattivo de te, chiaro? E credeme, i sani sanno esse più cattivi dei matti, capito?»
La faccia di Pino si è indurita, mi sforzo di rispondere, malgrado l’intorpidimento generale:
«Ho capito.»
«Altra cosa fondamentale, è vietato anda’ in giro, tu puoi sta’ qui o nella saletta della televisione che sta affianco. Mai e poi mai anda’ nelle stanze che stanno dopo la saletta della televisione. Lì dentro non so’ come voi, ce stanno quelli cattivi, chiaro?»
«Chiaro.»
“Tutto chiede salvezza“, da cui è stata tratta la serie TV su Netflix, è il romanzo di sapore autobiografico, vincitore del Premio Strega Giovani nel 2020, di Daniele Mencarelli. Di Mancarelli poeta, forse dove riesce ad esprimersi fino in fondo, ha già parlato su questo quotidiano Andrea Zerbini, riportando una sua bella poesia. Il romanzo è centrato sul racconto dell’esperienza di una settimana di ricovero in ospedale per il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e dell’incontro con cinque compagni naviganti nella tempesta, ognuno con la sua particolarità.
E’ una lettura che non può lasciare indifferenti. Mi viene da dire: indispensabile. Commovente. Una prosa parente stretta della poesia. Mencarelli ci fa vedere un’umanità vera, quella che vive in ognuno di noi, la fragilità che ci accomuna. La forza di quella fragilità quando è condivisa. La forza che ogni fragilità rivela quando è accolta.
È un indispensabile generoso dono, questo romanzo, per conoscere una realtà che solo apparentemente non ci appartiene. Una realtà che teniamo solitamente ben distante da noi perché ci inquieta.
Difficilmente tolleriamo il pensiero della nostra fragilità, soprattutto di quella che sembra sottrarci al contatto con la realtà, che sembra toglierci il controllo. Scopriamo allora quanto sia doloroso vivere quella percezione esaltata e sottile delle proprie emozioni rimanendone in balia. E scopriamo quanto la stessa sensibilità sia condivisa dal protagonista con i suoi fratelli nella tempesta, con cui la verità si manifesta direttamente dall’anima, profondamente, senza barriere, come attraverso la pelle.
Non sappiamo nulla della malattia mentale e di come incide sulla vita delle persone, fino a quando non ci incappiamo improvvisamente e tutto sembra crollare. Mencarelli ci dona il suo sguardo empatico e profondo sulle persone che incontra nella sua esperienza di TSO, e le rivela come particolarmente sensibili dalla malattia, oppure ammalate a causa di questa sensibilità. Non sono persone carenti, da ‘aggiustare’, anzi, la loro umanità, consapevolezza, saggezza, bontà, altruismo, ne risultano arricchite da questa terribile esperienza.
Tutto chiede salvezza: i malati e i sani, forse più i sani che i malati. Abbiamo paura della follia, ma ci chiediamo veramente cosa sia?
Mi sono convinta che follia abbia un significato diverso da quello di far qualcosa che non vogliamo o di cui ci vergogneremmo. Follia – la vera follia – vuol dire fare consapevolmente e con coerenza illogica, con motivi contrari alla ragionevolezza, quello che ci disconnette dagli altri. Qualcosa come la guerra o la sopraffazione, qualcosa come contrapporsi, dividersi, alienarsi dalla comune umanità.
Scrive Daniele Mencarelli: “Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare.”
“La mia malattia si chiama salvezza, tutto chiede salvezza”, dice il protagonista, guidato da una nostalgia di assoluto, di purezza, incompatibile con la quotidianità del nostro vivere. Non c’è salvezza qui, ma nemmeno la cerchiamo. Non la trova però neanche colui che la cerca perché è la sua malattia. Non c’è nel mondo reale, non c’è nella razionalità, ma c’è nel mondo della condivisione umana più profonda. al di là del ruolo o del prestigio, quando cadono tutte le difese, come nella estrema fragilità in cui si ritrovano quei cinque eroi accomunati dalla rivelazione che la malattia mentale concede.
Daniele Mencarelli, Tutto chiede Salvezza, Milano, Mondadori, Anche in formato Kindle
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Daniela Cataldo
Commenti (3)
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Condivido:la vera follia è la guerra, la sopraffazione, l umiliazione perseguita dai “normali” al potere o meno.
Lavoro da 40 anni nel Dipartimento di Salute Mentale. Un risultato é
stato prendere sul serio le testimonianze di chi vive il disagio psichiatrico. Il malato come centro del trattamento. Credo serva battersi per il Servizio Sanitario Pubblico. Basaglia ha tracciato la strada.
Sono d’accordo, Giovanna, e il servizio di salute pubblico, come bene comune, è patrimonio di tutti e tutte noi e tutti e tutte noi siamo protagonisti nel nostro ambito. La cura di qualunque malattia, di qualunque tipo, non sta solo nei farmaci e nelle terapie specialistiche, ma sta nella vita quotidiana dove possiamo riprendere, anche con un disturbo, il nostro ruolo. Noi non siamo la nostra malattia.