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Taser a Ferrara: il diavolo è nei dettagli

Il Taser è una pistola che non spara proiettili, ma lancia due dardi uncinati, a seconda della cartuccia utilizzata, da 4,5 fino a circa 11 metri, collegati ad un generatore di alta tensione da un sottile filo conduttore isolato. Il Taser trasmette una scarica elettrica ad alto voltaggio e bassa intensità che interrompe il controllo dei muscoli, inducendone una contrazione involontaria. Ciò accade anche se i dardi raggiungono solo gli indumenti della “vittima” .

Il sito ferraratoday.it ha ospitato un botta e risposta sull’introduzione di una dotazione di taser alla polizia locale di Ferrara. Potete leggere l’intervento dell’associazione Cittadini del Mondo qui e la risposta del sindacato Sulpl (Sindacato Unitario Lavoratori Polizia Locale) qui.

Riporto sull’argomento l’estratto di un interessante articolo pubblicato sul sito Valigia Blu (integralmente leggibile qui):

“Nel 2015 Washington Post scriveva che circa una persona la settimana era morta quell’anno in episodi in cui era stato utilizzato un taser, e in almeno una dozzina di casi l’arma era stata individuata come una delle cause dirette del decesso.Da diversi anni il garante per i diritti dei detenuti Mauro Palma ha messo in guardia sui rischi dell’introduzione del taser, e oggi ribadisce che si tratta di un’arma a tutti gli effetti, su cui fare molta attenzione. “… Prima di dotare le forze di polizia dei taser, sono stati organizzati corsi teorici e pratici, ma questo non basta: c’è bisogno di continuare a fare formazione. Una perplessità rimane sugli agenti di polizia municipale: i vigili urbani saranno davvero preparati a usare queste armi? Che tipo di formazione hanno ricevuto?”.

Evito appositamente di riportare le considerazioni di Amnesty, di Antigone, e di tutte quelle associazioni che, secondo una parte dell’opinione pubblica e degli operatori di polizia, sono animate da un’ideologia che pone grande attenzione ai diritti dei “cattivi” e trascura i diritti dei  “buoni”. Personalmente, sia chiaro, non sono d’accordo con questa opinione. Tuttavia, in questa sede preferisco sposare, per quanto mi è possibile, l’ottica degli operatori, di chi lavora sulla strada, ed è per questo che l’estratto che ho riportato mi sembra significativo: perché le considerazioni ivi fatte si appuntano molto sui temi dell’addestramento e della formazione.

So bene che un conto è mettere sulla bilancia gli interessi e i diritti astrattamente intesi, un altro conto è trovarsi nella situazione concreta e dover prendere delle decisioni immediate in presenza di rischi, anche potenziali, per sè o altri – compresa la persona da “contenere”. Sotto questo profilo però debbo rilevare che alcune affermazioni del Sulpl sono viziate da un pregiudizio ideologico, come minimo, uguale e contrario a quello che rimproverano a Cittadini del Mondo. Tipo questa:  “allo stato attuale il taser appare davvero come l’unica alternativa possibile allo scontro fisico diretto, ben più pericoloso per tutti gli attori in campo (possibilità di lesioni anche importanti, sia per gli operatori di polizia che per il soggetto da contenere, contenziosi legali, gogne mediatiche e onnipresenti accuse di abuso provenienti dalle fonti più disparate).”

Mi domando: perchè una pistola che manda scariche elettriche dovrebbe essere considerata l’unica alternativa allo “scontro” fisico? Se un operatore di polizia è correttamente formato e addestrato, la contenzione fisica di una persona disarmata dovrebbe essere la regola. I “contenziosi legali, la gogna mediatica, le onnipresenti accuse di abuso” evocano l’ennesima polemica postuma su qualcosa che non corrisponde ai fatti acclarati. A meno che le sentenze definitive della magistratura – su casi che conosciamo, tra i quali uno che ha segnato la storia della nostra città – non vengano considerate alla stregua di “gogna mediatica”. Il ricorso ad un’arma propria che, nella maggior parte dei casi, pone in una situazione sproporzionata in partenza tra azione e reazione – in cui la sproporzione è della reazione contro l’azione – non può essere la scorciatoia per ovviare a carenze di addestramento. Essere addestrati per contenere fisicamente, in più di uno, una persona disarmata che fa resistenza o dà in escandescenze, dovrebbe essere parte del bagaglio professionale del poliziotto. Altrimenti si chiede l’autorizzazione a scambiare un deficit formativo con la dotazione di un’arma.

Ma il problema, anche trascurando la sproporzione “istituzionalizzata” tra azione e reazione, è ancora una volta di formazione e di addestramento. Della Polizia Municipale fanno sicuramente parte anche addetti che non hanno dimestichezza con le armi in generale. Corrisponde certamente a una distribuzione inefficiente delle risorse dare una cerbottana a Chris Kyle (famoso cecchino celebrato da un film di Clint Eastwood). Siccome però in Polizia (municipale in particolare) non ci sono cecchini, è altrettanto inefficiente, oltre ad essere pericoloso, dare un taser in mano a un vigile che non ha mai sparato un colpo nemmeno al poligono: come consegnare le chiavi di una Ferrari ad uno che non ha la patente.

In sostanza, se manifesti cattive intenzioni verso qualcuno che, per difendersi, ti spara col taser, “prendi la scossa”. Ma non la prendi da un dito: ti arriva una botta che ti paralizza. Del resto è questa la funzione deterrente: paralizzare un aggressore. Peccato che dove ti spara il tutore dell’ordine non sia indifferente per le conseguenze che puoi subire. Se ti prende al petto invece che alle gambe? Potresti essere un cardiopatico. Potresti essere in uno stato di alterazione chimica che, combinato alla scossa, provoca effetti gravi.

“Troviamo preoccupante che una multinazionale direttamente coinvolta a livello commerciale intervenga, al posto delle istituzioni, nel dibattito sulla sicurezza della nostra città. E’ ora di aprire una discussione informata e imparziale, una discussione non deviata dalle pulsioni punitive di un ministro o di un sindacato di parte. Vogliamo conoscere le implicazioni più ampie di questa tecnologia, potenzialmente così pericolosa.”  Cittadini nel Mondo ha chiesto solo un dibattito trasparente e imparziale su questo argomento. Aggiungo che il dibattito dovrebbe riguardare soprattutto gli addetti ai lavori, in particolare i sindacati più rappresentativi dei lavoratori della polizia, rispetto ai quali non conosco come si collochi il Sulpl: il quale ha tutto il diritto di esprimersi, con l’autorevolezza e il peso che gli deriva anche da quante persone rappresenta. Questo, volenti o meno, è quanto previsto negli stati a ordinamento democratico.

Concludo dicendo che “fare le cose bene”, con un adeguato livello di organizzazione e di addestramento del personale, dovrebbe essere interesse primario proprio dei lavoratori della sicurezza, essendo la prima forma di tutela dei lavoratori stessi nei confronti degli infortuni, degli errori, delle negligenze o degli abusi dei quali potrebbero essere chiamati a rispondere nell’esercizio delle loro funzioni. L’esperienza insegna che spesso (oserei dire quasi sempre) l’errore umano è favorito da una cattiva organizzazione e da un’ insufficiente formazione; le quali in campo penale non rientrano tra le scriminanti.

Per leggere tutto gi altri articoli e interventi di Nicola Cavallini, cliccare sul nome dell’autore.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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