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TABUCCHIANA. Pereira e l’esperienza dell’addio

C’è un libro che sfoglio sempre volentieri, forse perché mi ricorda con le sue foto d’arte fatte in uno dei musei più belli d’Europa quanto possa essere complesso e appassionante il lavoro dell’interpretazione. Basti dire che di Bosch, questo il nome dell’autore riprodotto, si è parlato nei secoli come di un “ángel perdido”, di un cultore della notte e dei suoi sogni/incubi ma anche (lo ricorda José Luís Porfírio citando Lope de Vega) come di un autore di moralità filosofiche.

Insomma in Bosch e nella sua opera si troverebbe quella mescolanza di dritto e rovescio delle cose che tanto intrigava Tabucchi che, sotto la sua egida, avrebbe costruito uno splendido libro di racconti (Il gioco del rovescio) facendolo non a caso precedere da un esergo (Le puéril revers des choses) di uno scrittore maledetto come Lautréamont.

Las tentaciones

Si sarà capito ormai che il volume che ho tra le mani parla e ci fa vedere il Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio che si trova nel Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona, per meglio dire (o per dirla da lusitanisti e tabucchiani doc), As Janelas Verdes.

Sembra uno scherzo chiamarlo così, ma naturalmente c’è una ragione.

L’antico palazzo secentesco che riunisce tanti capolavori aveva le finestre verdi, e così all’insegna del verde è la rua che ci conduce fin lì e perfino un drink, il Janelas verdes Dream, creato, nella finzione narrativa, dal barman di quel museo mescolando vodka, succo di limone e menta piperita.

Quanto alle dosi con le quali miscelarle, basta leggere Requiem, il più onirico (nonché bellissimo) dei romanzi di Tabucchi e poi avviarsi con lui nella notte delle allucinazioni.

Come avrete capito, anche se a non alto tasso alcolico, le bevande portano lontano. Così come conduce a un’altezza pericolosa il racconto (Voci portate da qualcosa, impossibile dire cosa) che affianca Bosch nel volume da cui sono partita (Las tentaciones. Un pintor/Jeronimo Bosco. Un escritor/Antonio Tabucchi, pubblicato a Barcelona dalla Editorial Anagrama).

Ma a dire il vero quel che mi intriga davanti a quel libro non è solo come si possa leggere (per giunta all’insegna delle tentazioni) quel grande trittico double face  o come termini e cosa nasconda quel racconto (che giovi ricordarlo è collocato insieme ad altri in una raccolta che porta il titolo di Angelo nero), ma quale sia il rapporto che queste due opere di secoli e generi differenti hanno con le neppure dieci righe di nota a quel bel volume illustrato; righe nelle quali Tabucchi parla di peccato, di pentimento, di divieti ormai inesistenti e di perdono di conseguenza impossibile.

In un universo dove non si trasgredisce più, per mancanza di leggi e di punizione, non esiste – ci dice il nostro scrittore – che il rimorso a turbare la vita e a condurre alla tentazione suprema, quella della morte.

Se rileggo Sostiene Pereira alla luce di queste riflessioni, soprattutto se rileggo Honorine di Balzac, che Tabucchi definisce un racconto sul pentimento, mi viene fatto di pensare che aveva ragione Schnitzler quando scriveva che il pentimento e il perdono sono solo soluzioni apparenti: o inconsapevoli illusioni o consapevoli contraffazioni del sentimento.

Perché quello straordinario racconto dell’Ottocento che è tra le letture del nostalgico Pereira incapace di vivere fuori dalla morte (cioè da funebri memorie familiari, da malattie mortali, da abiti scuri, da quesiti filosofici sul tema, da necrologi come oggetto di lavoro in una città che grava su di lui come un sudario…) non mi pare possa inscriversi all’insegna del pentimento, ma piuttosto dell’incapacità del distacco, del superamento dei traumi, ivi compresa la sofferenza d’amore.

I personaggi di Honorine soffrono e muoiono perché non sanno perdonarsi e non sanno dimenticare. Parimenti Pereira non potrà dar voce a un nuovo io egemone finché non capirà che bisogna saper dire addio per scegliere infine una vita libera dal passato e dai suoi compromessi.

E allora, le tentazioni? Chissà, forse quella del grande Tabucchi che ha tentato di imbrogliare le carte (nominando il pentimento) per indurci a riflettere, a contraddirlo, a ragionare con lui.

In copertina: Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga

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Anna Dolfi

Anna Dolfi, professore emerito dell’Università di Firenze (dove ha insegnato fino al 2018 Letteratura italiana moderna e contemporanea), è Socio Nazionale dell’Accademia dei Lincei. Tra i maggiori studiosi di Leopardi, di leopardismo, di ermetismo, di narrativa e poesia del Novecento, ha progettato e curato volumi di taglio comparatistico dedicati alle “Forme della soggettività” sulle tematiche del journal intime, della scrittura epistolare, di malinconia e malattia malinconica, di nevrosi e follia, di alterità e doppio nelle letterature moderne, e raccolte sul tema dello stabat mater, sulla saggistica degli scrittori, la riflessione filosofica nella narrativa, il non finito, il mito proustiano, le biblioteche reali e immaginarie, il rapporto tra notturni e musica, letteratura e fotografia, ebraismo e testimonianza. Dopo due libri su Tabucchi (“Antonio Tabucchi, la specularità, il rimorso”, 2006; “Gli oggetti e il tempo della saudade. Le storie inafferrabili di Antonio Tabucchi”, 2010), ha curato per la Feltrinelli l’ultimo, postumo libro di saggi dello scrittore (“Di tutto resta un poco. Letteratura e cinema”, 2013). Su Bassani imprescindibili i suoi libri che ne leggono l’intera opera alla luce della malinconia e delle strutture e proiezioni dello sguardo (“Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia”, 2003; “Dopo la morte dell’io. percorsi bassaniani ‘di là dal cuore'”, 2017). A sua cura l’edizione critica e commentata delle “Poesie complete” di Bassani (Feltrinelli, 2021).

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