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Un treno, di quelli su cui difficilmente si vorrebbe viaggiare, per le sue comodità assenti, il buio e l’odore che emana, per il suo vagone angusto e uno strano, irritante, scontroso e ombroso compagno di viaggio all’apparenza molesto e un po’ minaccioso (nonché misogino). Immaginare di dover passare ore con quel vicino insofferente e rumoroso appare subito un preludio a una sorta di incubo.

Il viaggio è lungo in quello spazio ristretto e angusto: da Mosca a Murmansk, lungo rotaie sferraglianti e claudicanti, con nelle narici l’odore dei sottaceti, delle uova sode, del tabacco di sigarette e del thè fumante dal samovar in fondo alla carrozza, lo scuro della notte abbagliato dal candore della neve, il freddo assiderante, le fermate che non terminano mai, personaggi generosi che bevono vodka.

Mi domando se continuare a vedere il film, le prime scene mi indispettiscono un attimo, mi mettono un poco a disagio, le scene mi sembrano un poco claustrofobiche e cupe (la cuccetta non ha spazio), ma poi continuo, sarà una meravigliosa scoperta, un vero invito a rovesciare le apparenze.

Avevo letto il libro cui la pellicola si ispira (di fatto ne è un adattamento), attirata sia dal viaggio in treno che dalla destinazione nel nord della Russia, Murmansk, che ho visitato in passato: l’omonimo romanzo, Scompartimento n.6, di Rosa Liksom (pseudonimo di Anni Ylävaara). Mi era piaciuto, eccomi allora a cercare il film, ben diverso.

Il film del finlandese Juho Kuosmanen è Grand Prix Speciale della Giuria del Festival di Cannes 2021. Del tutto meritato, direi.

I personaggi di questa storia? La studentessa finlandese di archeologia, Laura (Seidi Haarla) e il minatore russo Ljoha (Yuriy Borisov): lei, delusa dall’amante moscovita Irina (un’elegante e colta professoressa, circondata da agio e benessere), timida e taciturna si reca a Murmansk per visitare alcune strutture rupestri (gli antichi petroglifi), lui va a lavorare e beve, beve.

Le incisioni ritrovate, Foto museo dei petroglifi di Kanozero

Di fronte allo spettatore ci sarà presto un treno che pare più una lotta per la sopravvivenza che un viaggio: si passa dalla sensazione di una possibile minaccia sessuale a una goffa amicizia che non ha alcun senso, ma che sorprendentemente funziona. Personaggi alla fine teneri che il regista pare sempre voler abbracciare, indifesi e spaventati, quasi intrappolati da timori e sentimenti.

Una strana coppia che ci accompagna fino alla fine, li seguiamo incuriositi fin all’arrivo a Murmansk, dove ognuno prende i suoi bagagli e via, arrivederci, magari non ci si vedrà mai più, accade spesso ai viaggiatori che percorrono insieme tratti di viaggio, scambiandosi magari mille confidenze e storie, come solo fra sconosciuti si riesce a fare.

Laura resta una sognatrice con strade amore per la storia e la vita, Ljoha è avvezzo al carcere e ai campi di correzione, ma pire lui è animato da un’irriducibile passione per la vita di chi si aggrappa agli istinti bruti per non cedere all’immenso vuoto che lo circonda.

Sullo sfondo, Murmansk (nel libro, Laura va a Ulan Bator, in Mongolia), città di mare al nord del circolo polare artico, città di luce e di freddo dove, secondo il regista, è facile respirare, perché quella storia non è fatta da un luogo ma dal viaggio. E il respiro conta.

Altra differenza con il libro è l’epoca: la storia era ambientata in epoca sovietica, qui è spostata avanti in quella russa degli anni ‘90. La cornice geografico-politica avrebbe distratto, dice Kuosmanen in un’intervista, ancora una volta l’attenzione è su due esseri umani, persone vere, imperfette e a tratti goffe, non su un luogo e un tempo.

Girato nella modalità apparentemente arcaica del 35 millimetri (poi trasferito in digitale, chi accetta oggi la pellicola?), è molto bella e importante la morbida fotografia, soffusa, a tratti sfuocata, come se si guardasse da un finestrino un po’ appannato bagnato di rugiada o di neve. Neve che non manca, freddo e gelo palpabili. Molto interessante il contrasto fra il movimento del treno e l’immobilità dei personaggi.

Nostalgia di un tempo che fu, duro realismo che ha però molta poesia. Volti che cambiano con i sorrisi, alla ricerca di sé stessi, ritrovando un’umanità calorosa, un’accettazione delle differenze. Perché la solitudine può essere condivisa.

Un road movie quasi onirico-sonnambulo, dal finale dolce. Consigliat(o)issimo.

“Per conoscere te stesso, devi conoscere il tuo passato”, ci ricorda spesso Laura.

Romanzo: Rosa Liksom, Scompartimento n.6, Iperborea, 2014, 256 p.

Film: Scompartimento n.6, di Juho Kuosmanen, con Seidi Haarla, Yuriy Borisov, Yuliya Aug, Lidia Kostina, Tomi Alatalo. Finlandia, Estonia, Germania, Russia, 2021, 107 minuti.

 

Trailer 

 

 

 

 

In copertina e nel testo: immagini dal web, alcuni screenshot dal film

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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