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Nel cortometraggio “Vecchio”, del regista lucano Dino Lopardo, un fantastico Leo Gullotta veste i panni di Aldo, un anziano signore che vive in una RSA. Il dramma della solitudine.

“La morte non arriva con la vecchiaia ma con la solitudine”, diceva Gabriel Garcia Marquez.

E il cortometraggio “Vecchio”, del regista lucano Dino Lopardo, parte proprio da qui.

Sullo schermo scorrono immagini in bianco e nero di un uomo alla finestra che aspetta. Aspetta i familiari che non arrivano, amici che non ci sono, gesti e attenzioni che non arrivano, note che non suonano, libri che non si aprono, il momento senza ritorno.

Aldo, interpretato da Leo Gullotta, non parla. Davanti a uno specchio esegue gesti di rituali quotidiani. Barba e profumo. In quella RSA senza colori, è solo, con lui solamente i ricordi di compleanni e feste in famiglia, la musica, i rimpianti, le fotografie, il passato che non ritorna. Non servono parole, sono i primi piani e i piccoli passi a parlare.

La sceneggiatura è semplice, non ha forti contrasti, ma la regia si sofferma con potenza e forza sui particolari del volto di Aldo, sulle sue rughe scavate come solchi, sui gesti, sugli occhi, sui movimenti lenti, goffi e pesanti, sui piedi che si trascinano, sul pigiama sgualcito.

Tutto è, in realtà, sgualcito, lo stesso utilizzo del bianco e nero dà una sensazione di vita che se ne va, rimasta senza toni, senza più passioni. Di abbandono senza un perché.

Una musica fra i ricordi e gli oggetti, regalati dai figli e dai nipoti all’anziano signore, assumono un significato speciale e divengono il simbolo di un sentimento autentico e cristallino. Dolcezza infinita nello scartare un regalo nel giorno del proprio compleanno.

Nell’immensa malinconia che le immagini di tanta solitudine ci portano, c’è, tuttavia, un’infinita tenerezza in questo anziano che attende, ormai al crepuscolo.

Un messaggio per tutti, il grido di non abbandonare coloro che ci hanno cresciuto e amato. Tema drammaticamente attuale.

Un corto che parla all’anima. Porgendoci una rosa, con un sorriso che lascia sperare.

Il corto è interamente visibile su RaiPlay (qui)

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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