Che legame c’è fra la matita e il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi?
Mai sottovalutare il potere di una matita. Oggi più che mai. Il suo tratto può raccontare, disegnare, ritrarre, descrivere, ascrivere, votare. Nata dalla grafite, inizialmente utilizzata per segnare il bestiame, viene chiamata anche làpis, la sanguigna (lapis aematitis) del XVI secolo.
Da sempre simbolo del potere della cultura, minaccia per le dittature – basti ricordare l’intensa pellicola del 1986 di Héctor Olivera, “La notte delle matite spezzate” – la matita ha un posto importante in “C’è ancora domani”, esordio alla regia di Paola Cortellesi. Tutto porta a lei, a quello che può fare e rappresentare. Un giorno pure a far cambiare.
In una Roma in bianco e nero del Secondo Dopoguerra, Delia (Paola Cortellesi) è la moglie di Ivano (Valerio Mastandrea) e la madre di tre figli. Madre e moglie, questo il ruolo di una donna come tante altre del periodo: né Donna, con la d maiuscola, né tantomeno cittadina. Anche il ruolo di lavoratrice con i propri diritti le è precluso: Delia è solo una brava domestica di famiglia, nonché badante del suocero, il dispotico Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), che le rimprovera di osare “ribattere un po’ troppo”. Va zittita. Lei come tutte.
Ivano è manesco, lavora duramente per portare i soldi a casa (come se Delia non lo facesse con i suoi frenetici e mal pagati lavori di rammendo, di riparazioni di ombrelli e di iniezioni a domicilio), ama usare la cinghia per farsi ascoltare e rispettare. Non ha altro linguaggio. Unico sollievo di Delia è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), con la quale condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza. Un incontro di solitudini.
Di questo film pluripremiato al botteghino e con ben 19 candidature al David di Donatello 2024 – record assoluto per un film d’esordio – (e 6 David vinti), sono molti i punti convincenti. I toni del neorealismo, una sceneggiatura – scritta dalla stessa Cortellesi insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti – che parla, in maniera semplice, a tutte le donne, la trovata geniale delle botte di Ivano inferte a tempo di musica in una danza macabra e un ‘paso doble’ del terrore che solo la Cortellesi, con il suo humour da comédienne e da impeccabile imitatrice, poteva inventarsi. Viene quasi da ridere senza che ci sia davvero nulla da ridere. C’è poi rabbia gentile, sullo schermo, quella che fa bene perché fa riflettere.
Un thriller, con tanto di suspence che fa temere, ad ogni momento, che possa tornare l’orco cattivo, un principe azzurro in tenuta da meccanico con il quale si pensa (e si spera), fino all’ultimo, che Delia voglia fuggire, la semplicità di una famiglia del passato come ce ne sono state tante, nell’Italia ferita delle nostre nonne operose e delle nostre madri tenaci.
Pur con qualche stereotipo di troppo, come il soldato americano di colore che regala sigarette e cioccolata, il film, girato nel quartiere romano di Testaccio, è intenso e coinvolgente e sfiora le corde dei cuori più timorosi e restii a sapere e ricordare.
Nelle parentesi quotidiane di violenza ci sono amicizia, amore, tenerezza, complicità, sentimenti in equilibrio più o meno precario. La volontà di liberare la giovane e inesperta figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano) dallo stesso destino. E poi c’è la messa della domenica, alla quale si deve assolutamente andare, proprio quella domenica precisa, quella di una data storica. Ora si può. Il monito è forte. Non dimenticare mai quel potere che, con lotta e sangue, ci è stato regalato dai nostri preveggenti avi. C’è, infatti, sempre un altro giorno per cambiare. Basta saperlo attendere. Con la matita in mano.
“C’è ancora domani”, di Paola Cortellesi, con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni, Italia, 2023, durata 118 minuti.
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Simonetta Sandri
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