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Storie di uomini, bici e montagne

Tra caos, polemiche e situazioni impreviste o sottovalutate che riguardano il Giro d’Italia di quest’anno e il suo passaggio alpino, occorre ammettere che emerge sempre e comunque l’impatto emotivo che questo evento sportivo genera. La 16^ tappa è stata accorciata di 85 km, tre passi montani annullati nel percorso, orari modificati rispetto la tabella di marcia, condizioni atmosferiche difficili, che richiedevano l’applicazione del protocollo per le temperature estreme, discese su un manto stradale scivoloso sotto il nevischio.

La storia del ciclismo è indissolubilmente legata alle Dolomiti e molti ricordano le grandi imprese compiute sui Passi, che hanno reso immortali grandi campioni, primi fra tutti Fausto Coppi e Gino Bartali. Nel 1937 il Giro d’Italia passò per la prima volta sull’arco dolomitico, un debutto che vide vincitore della tappa Bartali, che scollinò per primo, in maniera epica, sul Passo Rolle, mentre dietro di sé si formava il vuoto. Le strade di montagna dell’epoca erano sconnesse, sassi e buche costituivano un autentico attentato alla sicurezza dei ciclisti ma la passione, la preparazione, la forza e resistenza permettevano queste imprese. La Seconda Guerra mondiale impose una sospensione di questa incredibile competizione, che riprese con immutato entusiasmo negli Anni ’40. Le edizioni successive, quelle del ’46 e ’47, sono teatro delle imprese di Coppi e Bartali, tra cadute, rivalità, rimpalli, fughe, vittorie e vantaggi alterni, sullo sfondo di quelle Dolomiti che facevano sognare, superare se stessi, affrontare l’impossibile, sudare, rallentare, imprecare, pregare. Ammaliatrici e seducenti, madri e matrigne da sempre, oggi come ieri: attimi di discesa seguono all’infinità della salita nella percezione del tempo dei protagonisti del pedale. E poi i falsipiani, gli avvallamenti, le curve, i tornanti, l’illusione di qualche rettilineo che faccia respirare e allentare i muscoli.
Visi contraffatti dalla fatica, volti giovani che perdono ogni leggerezza per trasformarsi nello sforzo. Occhi attenti, concentrati su quei metri di asfalto da percorrere, capelli che sbucano attraverso la calottina di oggi, che prende il posto del berretto con visiera di ieri, sfrecciano tra le località montane, nella solitudine dei posti più isolati e l’applauso di due ali di folla che incita nelle valli e nei paesi.

La carovana del Giro d’Italia al seguito dei corridori è oggi meno folkloristica e colorata, più formale e compassata, meno chiassosa di un tempo, quando diventava parte di uno spettacolo che andava oltre la gara. I mezzi di assistenza delle scuderie e degli sponsor sfilano asettici e veloci, quasi volessero togliersi di fretta il pensiero dell’incombenza, rombando tra clacson e sgommate per sparire in un attimo nel nulla.
Sono finiti i tempi dei gadget che i bambini, ma anche gli adulti, aspettavano ansiosamente ai bordi della strada, borracce, berrettini, immagini autografate dei campioni del momento, penne, qualche dolcetto, i sacchettini di caffè per i più fortunati o i più svelti ad afferrare: poca cosa, ma era lo spettacolo nello spettacolo che avvicinava ancora di più la gente a quegli uomini e ragazzi sulle due ruote.
Ma anche oggi come allora, assistere al passaggio del Giro costituisce un momento emozionante e l’arrivo dei primi corridori nelle valli dolomitiche rimanda subito a ciò che si sono lasciati alle spalle: lo sforzo immane che la montagna chiede.
Guizzano gli scalatori che hanno appena lasciato le loro energie e la loro resistenza sulle lunghe salite; attaccano gli sprinter con la loro potenza nelle volate, stando in piedi sui pedali e viene in mente ciò che diceva Indro Montanelli: “La fuga non è l’attimo di quell’uomo che si mette a pedalare più forte degli altri; è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d’improvviso in confusione tutta la carovana”.

E gli spettatori avvertono la tensione di ogni fibra di quegli esseri umani intenti a portare a termine la loro impresa, a volte estrema, in un appuntamento atteso, preparato, consolidato. Nel Giro d’Italia non si respira solo odore di sudore, di lubrificante per biciclette, di bruciato di pneumatici dei mezzi al seguito: è l’odore della Storia che rimane incollato al suo passaggio e ci fa rivivere un passato di avvenimenti e vicende culturali, politiche e di costume accostati ad esso, che hanno caratterizzato il nostro Paese.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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