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Siamo prigionieri perché siamo liberi

Cosa è un tratto specie-specifico? Il vostro cane scodinzola e riporta indietro le cose che lanciate. Il gatto fa le fusa e se cade dall’alto si ribalta per atterrare su quattro zampe.

Il «tratto», in generale, è qualcosa di così naturale da essere… dato per scontato.

Ricordo ancora l’ espressione delusa negli occhi delle mie figlie quando lanciarono un bastoncino al nostro West Highland White Terrier: «Papà, Teo non funziona!» così mi dissero. In effetti a quel tempo non sapevamo che i Terrier fossero cani da tana e non da riporto.

Quando portammo Anakin, il nostro gatto, dalla veterinaria dopo che aveva effettuato un volo di due piani, lei serafica, mentre ricuciva la pelle sotto il mento del “cavaliere Jedi”, ci disse: «Fortuna che è caduto dal secondo piano! Ha avuto il tempo di rigirarsi in volo».

Bene. Ci siamo dunque capiti: ogni specie ha dei tratti specie-specifici naturali come quelli appena descritti.

Dalla notte dei tempi pare che la nostra specie, Homo sapiens, si interroghi su quello che avverrà: abbiamo seguito le tracce degli animali per coglierli in imboscate ben architettate; abbiamo osservato il cielo per stabilire il momento migliore per seminare; siamo andati dalla Pizia per un responso; sogniamo persino che qualcuno, in sogno, ci dia i numeri da giocare. E via così.

Immaginare il futuro, sognarlo, programmarlo insomma: “crearlo”, sembra un nostro tratto specie-specifico. L’arte divinatoria in tutte le sue forme, da quella animistico-sciamanica passando per l’altra più strettamente religiosa e terminando con quella, apparentemente più evoluta, tecnico-scientifica, è un tratto specie-specifico di noi sapiens.

Per inciso: molta dell’ansia prodotta dal cambiamento climatico dipende dalla nostra impotenza alla predizione! Dalla frustrazione di un nostro tratto specie-specifico.

Parallelamente a questo particolare tratto specie-specifico, i sapiens ne affiancano un altro molto robusto e , sembrerebbe, frutto di un processo evolutivo: la coscienza o per essere più pratici (si fa per dire) l’intuizione di essere liberi nell’ esercitare in piena autonomia una volontà di scelta.

Evidentemente l’abbinamento di questi due tratti, quello che ci permette di costruire una “storia” in avanti e/o indietro (p.es. un destino, una previsione), e l’altro di sentirsi liberi e responsabili delle proprie scelte, è qualcosa che in una certa misura dovrebbe disturbare un pensiero logico razionale.

Si tratta in tutta evidenza di un vero e proprio ossimoro…creaturale (parola molto cara all’antropologo e cibernetico Gregory Bateson): due tratti specie-specifici praticamente inconciliabili.

Il libro del fisico e cibernetico Giuseppe Trautteur, Il prigioniero libero (Adelphi, 2020) affronta questo insanabile conflitto partendo dal concetto di “libero arbitrio” e più in generale di libertà.

Chi si è occupato della libertà personale (o del “libero arbitrio) e del suo rapporto con i risultati della scienza lo ha fatto con tre diverse finalità:  per mostrarne l’inconsistenza oppure per proporre soluzioni o, ancora, per certificarne definitivamente l’insolubilità.

Ma Trautteur, piuttosto che affrontare il tema dal punto di vista filosofico, lo fa inquadrandolo da un punto di vista delle scienze contemporanee, attingendo alla teoria formale delle decisioni, alle concezioni moderne di tempo, al rapporto tra determinismo e prevedibilità e alle neuroscienze.

Non dimentichiamo che il Prof. Giuseppe Trautteur dal 1970  è consulente scientifico della Adelphi e ha motivato la casa editrice, già nota per la sua produzione letteraria, a lanciare una collana totalmente dedicata alla scienza: la collana «Scientifica» di Adelphi (quella, per intenderci, di colore rosso-mattone ferrarese!).

È a lui che si devono alcune traduzioni e pubblicazioni fondamentali come il famoso volumi di Gregory Bateson Verso un ecologia della mente, primo volume della Scientifica adelphiana, o il quinto volume della collana, Il Tao della Fisica del fisico e teorico dei sistemi Fritjof Capra, fino a quelli più recenti del neurofisiologo Antonio Damasio, Sentire e conoscere e del fisico Carlo Rovelli, L’ordine del tempo.

Come si diceva, Trautteur affronta la questione dal punto di vista empirico, dando forte rilevanza ad alcuni recenti esperimenti di neurofisiologia in grado di superare l’impasse tra i due tratti specie-specifici, vale a dire tra l’essere prigionieri di un fato predeterminato e contemporaneamente liberi di scegliere e agire.

Quando decidiamo di compiere un’azione come, ad esempio, afferrare un oggetto, si attivano dei nervi che azionano il movimento e fin qui è tutto chiaro: 1) volontà di fare una cosa e 2) azione conseguente. Ma siamo proprio sicuri che sia così?  Non tanto. Alcuni ricercatori tedeschi, negli anni ’60, hanno infatti scoperto che quei nervi sembrerebbero attivarsi prima di una libera decisione di afferrare l’oggetto.

Altri esperimenti eseguiti successivamente dal neurofisiologo statunitense Benjamin Libet verificarono questi dati stabilendo così che il cosiddetto potenziale premotorio, preparatorio al movimento della mano, precede l’esperienza cosciente di voler muovere la mano.

Trautteur riassume questo paradosso con una domanda: il corpo precede la mente? Vale a dire: il nostro tratto specie-specifico di costruire una storia (passata o futura) e di essere “pre-destinati” e “pre-determinanti”, precede la nostra libera volontà di scelta?

Alcuni recenti esperimenti di neurofisiologia per rispondere univocamente alla domanda ci dicono che…bisogna eliminare il punto interrogativo: sebbene «…la decisione di iniziare un’azione non può avvenire prima che il soggetto ne sia consapevole, possiamo identificare l’evento neurale di partenza con una decisione di cui possiamo diventare consapevoli poco più tardi» (G. Trautteur).

Il corpo (in questo caso il neurone) precede la mente (la volontà).

Il cane scodinzola inconsapevolmente. Il gatto si ribalta perché è “fatto” così. E, come aveva ben profetizzato Isaac Bashevis Singer: sapiens “crede nel libero arbitrio perché non ha scelta!”

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Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

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