Safari tra gli alberi giganti di Palermo, dall’orto botanico alla città
Tempo di lettura: 5 minuti
Safari tra gli alberi giganti di Palermo, dall’orto botanico alla città
VAI ALLA GALLERIA PER VEDERE TUTTO IL SERVIZIO FOTOGRAFICO
Palermo è di per sé un giardino botanico diffuso. Arrivata nella ex capitale del Regno delle Due Sicilie per la prima volta, nonostante le alte aspettative, è stata tutta una meraviglia. Basta una passeggiata in centro sulle tracce di una rivendita di cibo, per incappare nelle Magnolie tentacolari gigantesche di quella che sarebbe altrimenti una normale piazzola, in San Francesco di Paola.
In piazza Verdi, davanti al Teatro Massimo, il marciapiede è costellato da Ficus microcarpa dai fusti bitorzoluti e rigonfi, sotto ai quali sostano i carretti trainati da cavalli.
Un grande esemplare di ficus magnolioide è all’ingresso dei Giardini Reali, nel parco aperto a tutti di Villa Garibaldi, per non dire delle Palme grandi e rigogliose che spuntano un po’ dappertutto.
Il giardino botanico vanta un esemplare ancora più grande di ficus magnolioide a colonne (tecnicamente ficus macrophyilla columnaris). Credevo fosse il grande, doppio, esemplare che accoglie il visitatore all’ingresso. Niente affatto. L’albero monumentale è quello che ti si para davanti all’improvviso, verso la fine del giro del giardino. È stato portato qui dall’isola di Lord Howe, in Australia. Messo a dimora 185 anni fa da Vincenzo Tineo, uno dei primi direttori dell’Orto botanico, ora supera i 14 metri di larghezza.
Originario degli stati australiani del Queensland e del Nuovo Galles del Sud, questo tipo di magnolia è stato introdotto in Italia attorno all’anno 1840, quando è stato piantato il primo esemplare nell’orto botanico di Palermo. La pianta rappresenta quindi il capostipite dei grandi Ficus dei giardini di Palermo, della Sicilia e dell’Italia meridionale. La sua struttura è formata da più fusti che si affiancano a un corpo centrale, creato dalla saldatura di propaggini arboree e da radici aeree che, nel complesso, gli conferiscono una forma sinuosa a raggiera.
Lo sviluppo avviene in tutte le direzioni: il corpo centrale svetta sì verso l’alto, ma si prolunga anche lateralmente. Le ramificazioni vanno in su e le radici aeree colonnari si appoggiano al suolo, sorreggendo i rami della pianta come zampe elefantiache. La pianta appoggia sulla superficie della terra con le sue radici esterne, a forma di grandi lame che emergono dal suolo verticalmente, estendendosi sul terreno e consolidando l’ancoraggio. L’albero, grazie a queste lamine e alle colonne che autoproduce, riesce a sostenere un peso che sarebbe altrimenti spropositato.
La scheda del ficus dell’Orto botanico palermitano enumera ben 44 fusti. I più grandi di questi hanno una circonferenza di oltre tre metri e mezzo, e sostengono l’allungamento di undici grosse ramificazioni principali, a sviluppo quasi orizzontale, da cui partono i rami di ordine inferiore.
Il sentiero d’ingresso conduce poi sul viale degli Alberi bottiglia. Tecnicamente, queste piante dal fusto panciuto che si va affusolando verso l’alto – tutto costellato di spine durissime – sono esemplari di “Ceiba speciosa“.
L’albero è chiamato anche falso kapok o falso cotone, perché le grosse capsule dei suoi frutti si aprono, liberando una morbida lanugine bianca.
Più avanti, sulla destra, si incontrano strisce verdi ordinate. E qui appare l’Albero del drago (Dracaena draco).
Passarci sotto mette davvero inquietudine, con quei rami scuri e grifagni. Le sue propaggini sono nere come membra mostruose, che sembrano allungare inquietanti, piccole manine verso il basso e verso chi osa passarci sotto. Rasserena scorgere il passaggio di una più tranquillizzante e comune gallina, dalle piume rossastre, che becchetta lì intorno.
In fondo, verso la palazzina ai margini del giardino, spiazza ancora la tracotanza botanica di una Monstera Deliciosa.
È la pianta che di solito dà un tocco graziosamente esotico a salotti e hall di palazzi e alberghi, con quelle sue foglie grandi e forate, che formano grandi dita verdi simmetriche. L’esemplare della raccolta vegetale palermitana serpeggia invece con il suo tracotante fusto scaglioso, arrotolato come un’edera giunonica intorno al grosso tronco del Pecan (la Carya illinoensis), che appartiene non a caso alla famiglia delle Junglandaceae. È infatti l’albero che produce quelle forme grosse di noce, da cui deriva il nome della specie, che significa Ghiande di Giove (Jovis =Giove e Glans =ghianda).
Abituati all’aloe dei nostri vasi, qui le piante grasse si fanno tentacolari nella forma di Agave salmiana, che supera i 4 metri, incurante di essere stata lasciata in un’area completamente scoperta.
Protetto dai vetri della Serra delle succulente, l’esemplare di Cactacea si dipana pallido e spinoso come un serpente apparentemente immobile.

Nel Boschetto di bambù si sente un rumore sinistro: cigolii, lamenti degli alti fusti che oscillano col vento come porte di un antico maniero. Un gatto grigio fa eco al lamento con un verso stridulo di rimando che si fatica ad attribuire a un mammifero.
Quest’area è particolarmente popolata di felini. Un micio bianco a chiazze scure posa tranquillo, mentre quello grigio si muove inquieto emettendo suoni inquietanti e un altro, di colore rosato, si muove silenzioso mimetizzandosi nella stessa gamma di tonalità di canne, foglie secche e muretti.
Le possibilità di godere dello spettacolo di una natura spropositatamente rigogliosa si moltiplicano nei giri per la città. Il giardino della Cattedrale di Palermo offre la vista geometrica dei bossi squadrati, in contrasto con l’arricciamento dei cactus e delle forme rotondeggianti delle palme dai fusti longilinei.
Bella come un centrotavola monumentale la palma a sei zampe del Chiostro dei Benedettini, che affianca il Duomo di Monreale. Una proliferazione di tronchi, che si moltiplica nelle variegate colonne – tutte diverse – che circondano l’area verde.
Non c’è quindi da stupirsi che quando l’antico re Ruggero decise di farsi decorare una stanza all’interno dello stupefacente e luccicante Palazzo dei Normanni, le piante tornassero così frequenti e rigogliose. Nei mosaici di sapore orientale le palme, gli aranci e altri alberi da frutto trionfano accanto a gattopardi e leoni, pavoni e cigni.
Perché, a Palermo, la natura ha questa forza esotica, felina e ferina, che non si contiene. Una natura che sprizza rigogliosa, ovunque la si posi.
In copertina: Le radici verticali, colonne portanti del Ficus Macrophylla – ph Giorgia Mazzotti.
Tutte le foto del servizio che corredano l’articolo sono di GioM e EG e per un’immagine dell’albero Drago concessione crediti Orto Botanico – Università di Palermo.
VAI ALLA GALLERIA PER VEDERE TUTTO IL SERVIZIO FOTOGRAFICO
Per leggere tutti gli articoli di Giorgia Mazzotti clicca sul nome dell’autrice.

Sostieni periscopio!
Giorgia Mazzotti
Commenti (1)
Lascia un commento Annulla risposta
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Un altro tipo di bellezza che illumina Palermo, questo delle piante. L’articolo sa proporlo anche a chi come me non è esperto di botanica, con sensibilità e competenza. Grazie Giorgia