Se cerchiamo la parola solidarietà in un dizionario, questa è la spiegazione: la solidarietà è un sentimento di fratellanza, di aiuto materiale e morale tra le persone di un gruppo, di una collettività. Oggi “solidarietà” è un termine inflazionato soprattutto nelle dichiarazioni della politica, in occasione di calamità (vedi la partecipazione a sostegno dei cittadini colpiti nel corso della recente alluvione), ma resta estraneo quando si tratta di gestire un Paese garantendo a tutti condizioni di vita accettabili.
“Garantire tale dettato della Costituzione significa dare fondo al sentimento della solidarietà, proposto in teoria con la leva della fiscalità ma nella realtà non pianamente realizzato a causa di una tolleranza colpevole nei confronti della elusione e della evasione fiscale, di un sistema di distribuzione della fiscalità inadeguato che salvaguarda le rendite e i patrimoni acquisiti nel passato”, scrivevamo in un Blog del CDS del mese scorso.
Come si esprime la solidarietà in una nazione? Insieme alle testimonianze verbali, alle dichiarazioni di sostegno morale, alle manifestazioni più o meno folcloristiche quelli che contano sono gli atti concreti, come ci indica la Costituzione e qui non è possibile fraintendere perché esiste solo la leva fiscale per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”.
E qui nel nostro Paese si verifica un blocco che impedisce la realizzazione di questo dettato, vengono premiate tutte le proposte che eludono tale obiettivo come i condoni, la carente lotta all’evazione fiscale, il sostegno alle elusioni, la solidarietà con i piccoli evasori (le tasse considerate “pizzini di Stato”), l’applicazione della flat tax e neppure è presa in considerazione una reale riforma fiscale progressiva, una tassa patrimoniale per i super ricchi, una seria imposta di successione, considerate scelte quasi eversive.
Sono gli stessi ceti medi o medio-bassi che solidarizzano nei fatti con i super ricchi e bocciano, nelle elezioni e nei consensi (anche se non vengono penalizzati), proposte che negli altri paesi europei sono considerate segno di civiltà.
Osservazioni come quella che … i venti cittadini più ricchi in Italia possiedono beni pari a quelli dei dieci milioni più poveri sono banalizzate, non scuotono le coscienze, come se tale ingiustizia fosse effetto del destino.
Persino il Fondo Monetario Internazionale ha fatto notare come negli ultimi decenni i più ricchi in Italia abbiano usufruito di basse tasse nel nostro Paese, suggerendo di aumentare la progressività dei prelievi fiscali per compensare almeno in parte l’ulteriore incremento delle diseguaglianze causato dalla pandemia nei confronti dello stato sociale, sanità, istruzione, ecc.
Un esempio è fornito dall’imposta di successione, una tassa che si applica ai beni ricevuti in eredità, introdotta nel 1862 come tassa «liberale» da Camillo Benso, Conte di Cavour, … non proprio un rivoluzionario, con lo scopo di combattere la rendita e promuovere la mobilità sociale. In Italia, purtroppo nel tempo tale imposta ha perso valore e il risultato è che il gettito dell’imposta ora è piuttosto modesto. Secondo i dati dell’OCSE, il gettito derivante da tale imposta in Italia è stato pari a soli 820 milioni di euro nel 2018, ovvero lo 0,05 per cento del Pil.
Si tratta di una cifra lontana da quanto incassato negli altri principali paesi europei, come riportato da Huffpost. In Francia, per esempio, nel 2018 il gettito dell’imposta su successioni e donazioni è stato pari a 14,3 miliardi di euro, in altre parole, quasi tredici volte il gettito italiano in rapporto al Pil, con 6,8 miliardi di euro troviamo invece la Germania, il Regno Unito è a 5,9 miliardi di euro al cambio del 2018 e la Spagna a 2,7 miliardi di euro, tutti paesi che riescono a incassare quasi cinque volte l’Italia (sempre in rapporto alle dimensioni dell’economia).
Per capire meglio questa differenza può essere utile fare un esempio. Consideriamo un’eredità del valore netto di 1 milione di euro lasciata da un genitore al proprio figlio: quante imposte dovrebbero essere pagate su questo trasferimento? In Italia la franchigia di 1 milione è sufficiente a evitare completamente l’imposizione, mentre negli altri paesi non è così: in Spagna l’imposta ammonterebbe a circa 335.000 euro, in Francia a 270.000 euro, nel Regno Unito a 245.000 euro e in Germania a 115.000 euro.
Conosciamo tutte le obiezioni sollevate dagli ‘esperti’: a) la predisposizione di una nuova imposta, in questo caso un’imposta patrimoniale, fornisce un alibi di risorse aggiuntive per alimentare la spesa pubblica, b) la ricchezza dei veri ricchi è principalmente finanziaria e spesso si annida in strutture societarie opache come trust e fondazioni collocati in paradisi fiscali più o meno esotici, c) occorre ricordare il lato pubblico delle rendite cioè quelle rendite fiscali create dalla spesa pubblica, ecc.
Embè, anche se tali obiezioni avessero una base di verità, cosa ci sta a fare la politica? In una democrazia il ruolo dei partiti è anche quello di modificare le regole che si rivelano sbagliate.
E gli italiani, perché corrono in soccorso a chi perpetua le differenze?
Nota: questo articolo è già uscito con altro titolo il 2 giugno 2023 sul Blog del CDS Cultura.
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