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RIEDUCARE UNA BABY GANG. Ritrovare la consistenza di un luogo

Con il termine baby gang (letteralmente ‘banda di bambini’) si fa riferimento ad un fenomeno di microcriminalità che vede per protagonisti minori.  Di solito il fenomeno si sviluppa in contesti urbani e ha come epicentro le periferie delle città.

I minori si riuniscono in gruppi più o meno organizzati, con il preciso scopo di commettere reati: atti di vandalismo, bullismo, soprusi, aggressioni, furti, rapine e spaccio di stupefacenti. Una baby gang è quindi una banda di ragazzini/e responsabile di azioni di microcriminalità.

Tra le motivazioni che possono indurre un minore a entrare in una banda di questo tipo possiamo includere il bisogno di crearsi un’identità, di colmare il senso di solitudine e di appagare un desiderio di appartenenza, rendendo possibile la condivisione di interessi comuni ed esperienze di vita.

Inoltre, all’interno di una gang, si può riscoprire la protezione e la sicurezza che non si trova da altre parti e partecipare a quell’aspetto ‘ludico’ che induce a provare esperienze sanzionate dalla legge.  Si assiste così alla manifestazione di una voglia di partecipazione al gruppo che, realizzata con quelle modalità, attesta la sua problematicità e la sua incapacità ad assurgere ad un sano mondo adulto.

Ci sono molte teorie che provano a spiegare il fenomeno delle baby gang e, come quasi sempre, credo che la verità stia nel mezzo e cioè che ciascuna teoria spieghi una parte di questo fenomeno complesso, mettendo in luce facce diverse dello stesso prisma dai colori tetri.

Secondo alcune teorie, le azioni criminose delle baby gang si ricollegano al contesto familiare e affettivo in cui sono cresciuti i minori. Genitori che non sono stati dei buoni esempi e che avendo comunque scatenato processi identificatori con i propri figli, sono diventati modelli distorti di ciò che è bene e di ciò che non lo è.

Un secondo filone è quello delle teorie che potremmo definire ‘razionaliste’, che sostengono che l’adesione ad una baby gang è volontaria e spontanea e che non è strettamente collegata all’universo familiare di riferimento. Esiste comunque un condizionamento valoriale in grado di orientare l’azione del singolo che sceglie la gang per ottenerne un guadagno tangibile. Tale guadagno può essere sia materiale (soldi) sia immateriale (aumento dell’autostima).

Infine, vi sono le teorie più di stampo ‘analitico’, che fanno leva sul concetto di aggressione-frustrazione. In questo senso, il fenomeno delle baby gang avrebbe origine nella psiche di soggetti frustrati. E quando la fonte di una frustrazione non può essere controllata, l’aggressività si rivolge verso un obiettivo debole.

Non so se l’insieme di queste teorie esaurisce le possibili motivazioni di tale adesione, ma scuramente ne attesta la complessità e le diverse angolature attraverso le quali il fenomeno va analizzato e ricomposto in un universo di significati plurimi.

La baby gang sono al centro del Rapporto realizzato da Transcrime, il polo di ricerca sulla criminalità delle università di Milano, Bologna e Perugia, in collaborazione con il Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno e il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità del ministero della Giustizia.

Dal rapporto emerge che le gang giovanili sono attive nella maggior parte delle regioni italiane, ma è un fenomeno più presente al Centro-Nord rispetto al Sud. Secondo le forze dell’ordine, negli ultimi anni sono aumentate. Il rapporto individua fondamentalmente quattro tipi principali di gang presenti in Italia con caratteristiche differenti e una diversa distribuzione sul territorio.

Gruppi privi di una struttura definita. La loro è una violenza occasionale (risse, percosse e lesioni). Sono sparse per tutte le macroaree del Paese, sono il tipo maggiormente rilevato e più consistente numericamente. Questi gruppi sono caratterizzati da legami deboli, una natura fluida, l’assenza di una organizzazione definita e spesso non presentano fini criminali specifici.

Gruppi che si ispirano ad organizzazioni criminali italiane. Sono presenti specialmente nel Sud e in contesti urbani in cui vi è una presenza mafiosa. Sono composti quasi totalmente da italiani. Spesso i membri del gruppo sono legati dalla volontà di accrescere il proprio status criminale con l’auspicio di entrare a fare parte dell’organizzazione criminale vera e propria (le potremmo definire, con molta tristezza, bande pre-mafiose).

Gruppi che si ispirano a organizzazioni criminali o gang estere. Sono presenti in aree urbane del Nord e Centro e composti in prevalenza da stranieri di prima o seconda generazione. Fra le attività criminali più spesso associate a questo tipo di gang emergono le risse con percosse e lesioni, atti vandalici e disturbo della quiete pubblica.

Gruppi con una struttura definita, ma senza riferimenti ad altre organizzazioni specifiche. Sono presenti in tutte le macroaree del Paese e composti in prevalenza da italiani. Compiono spesso reati appropriativi, come furti o rapine, ma anche reati violenti. Queste gang non sono solitamente dotate di simbologie particolari né hanno interesse a pubblicizzare le proprie azioni.

Il fenomeno è davvero complesso e in continuo mutamento in termini di numero, componenti, età, collocazione geografica, modalità di azione delle gang, ma lo è anche perché, in quanto fenomeno sociale, accende la luce sulle modalità con cui lavorano le nostre istituzioni. La presenza di una o più baby gang attesta la crisi di agenzie importanti come famiglia, scuola, chiesa, Stato. Dove i minori delinquono abbiamo sicuramente sbagliato qualcosa, se non tutto.

Un problema, che sicuramente sta attraversando la nostra penisola e che credo vada messo in relazione al fenomeno delle baby gang con maggiore convinzione e con un livello di studio e di approfondimento più rilevante di quanto sia stato fatto fin ora, è quello della dematerializzazione delle nostre aree urbane.

Lo spazio dell’abitare sembra dipendere sempre meno dal fattore ‘luogo’ e si sta riorganizzando secondo nuove logiche che uccidono la memoria e la tradizione. Si tratta di logiche che portano all’apertura incondizionata e senza confini. La mobilità di capitali, merci e informazioni e la logica dei luoghi, fatta di permanenza e cultura, si scontrano rischiando di creare problemi al tessuto sociale.

Questa tensione genera nuove strategie dell’abitare che portano con sé nuovi assetti sociali. L’assenza di forti canali di mediazione tra ‘flussi’ e ‘luoghi’ fa sì che le zone abitate siano sottoposte a importanti tendenze stressogene.

La città protesa verso l’esterno per attirare l’attenzione dei circuiti globali, si lacera al suo interno, rischiando di diventare un sistema di opportunità che rinuncia alla convivenza sociale. Basti pensare alla costruzione di quei quartieri d’élite connessi col mondo intero tramite le reti internet, ma accessibili ‘fisicamente’ solo da persone che possono godere di un reddito molto alto.

Ad esempio, ci sono zone d’Italia dove il prezzo medio di vendita di un immobile si attesta sugli 8.000 euro a metro quadro, sicuramente non accessibile a persone con reddito medio basso, che vengono quindi escluse da quel mondo, da quel modo di vivere e dalle opportunità che là si trovano.

In una situazione di questo tipo la deriva di alcuni gruppi sociale diventa facile e la proliferazione delle baby gang è possibile sia dentro il circuito d’élite che fuori, perché in entrambi i casi è stato eretto un muro, che distrugge un tessuto sociale di prossimità per creare un mondo di connessioni possibili, dematerializzate e fragili.

È altresì vero che di fronte a consapevolezze di questo tipo, si possono individuare strade rigenerative che dovrebbero attenuare molte derive sociali. Provo ad enumerarne alcune senza pretesa di esaustività e con la consapevolezza che la loro realizzazione prevede una mobilitazione collettiva, che coinvolge le istituzioni, ma anche le singole persone adulte, attraverso il recupero di un senso di comunità, che non necessariamente è stato una consapevolezza della nostra giovinezza.

Tra le strategie migliorative attuabili annovererei:

  • Riportare le città dentro i ‘luoghi’ del vivere collettivo (le piazze, le strade, le sale civiche, gli oratori) e non solo dentro i ‘flussi’;
  • Ridare consistenza ai luoghi fisici, in modo particolare quelli che hanno una storia;
  • Creare ancoraggi valoriali, che permettono una appartenenza ad un contesto sociale che ha una storia, delle tradizioni e delle regole di convivenza;
  • Pensare che il senso di comunità sia una dimensione da istruire e mantenere;
  • Costruire relazioni non opportuniste;
  • Essere testimonial di fiducia e solidarietà;
  • Non rinunciare mai alla possibilità che la devianza ‘rientri’ e diventi supporto a delle buone relazioni;
  • Ricordarci che storia, memoria, tradizione e arte sono un veicolo di protezione;
  • Aiutare i giovani garantendo loro la possibilità sia di ‘fare’ che di ‘imparare’.  A questo proposito gli oratori, i centri sportivi, le scuole e la capacità di queste istituzioni di trasmettere valori collettivi, possono essere fronte di vita sana per tutti.

Infine, da persona che abita in un piccolo borgo e ad essa è molto affezionata, mi verrebbe da pensare che sarebbe importante ridare linfa vitale ai paesi e provare a ricordarci che delle relazioni sociali protettive sono più facili nei piccoli contesti che nelle metropoli inconsistenti dei flussi informativi dematerializzati.

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Catina Balotta

Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.

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