Il 31 dicembre scorso nel monastero Mater ecclesiae in Città del Vaticano è morto all’età di 95 anni il papa emerito Benedetto XVI.
Giovedì 5 gennaio si sono svolte a San Pietro le esequie, con una messa solenne presieduta da papa Francesco e celebrata dal cardinale decano Giovanni Re.
L’atmosfera di silenzio e raccoglimento di una piazza gremita da sacerdoti, cardinali, vescovi, capi di Stato, re, premier, delegazioni di altre religioni, oltre a decine di migliaia di fedeli attorno alla bara di cipresso, è però stata rotta da una serie di dichiarazioni che hanno fatto parlare e scrivere di un clima da resa dei conti.
Un clima alimentato dalle parole di Georg Gaenswein, ex prefetto della Casa Pontificia, fidatissimo segretario di Joseph Ratzinger, prima da pontefice in carica e poi per nove anni da papa emerito, dopo le clamorose dimissioni il 12 febbraio 2013.
In un’intervista rilasciata al settimanale cattolico tedesco Die Tagespost del 5 gennaio, don Georg alza il velo su quanto sia stata scomoda e sofferta la coabitazione tra Francesco e Benedetto: in pratica, due personalità distanti anni luce nell’interpretazione della pur comune dottrina cattolica.
Il dito è puntato sul Motu Proprio Traditionis Custodes (luglio 2021), con il quale papa Francesco ha messo un freno alla messa in latino, ammessa come rito “straordinario” da Benedetto XVI con il precedente Motu Proprio Summorum Pontificum (luglio 2007), a fianco del rito “ordinario”, definito da Paolo VI alla fine del concilio Vaticano II.
Una mossa, quella di Bergoglio, che avrebbe “spezzato il cuore a Benedetto”, secondo Gaenswein: “quello è stato un punto di svolta”, è stata l’accusa.
Frasi che non potevano passare sotto semaforo e infatti il 9 gennaio papa Francesco convoca padre Georg in udienza privata. La notizia è stata diffusa da un bollettino della sala stampa vaticana. Poco o nulla si sa del faccia a faccia, ma il fatto che lo stesso Bergoglio all’Angelus di domenica 8 gennaio abbia detto che “Dio è nel silenzio” e che martedì 10 gennaio la stampa abbia riportato la frase: “adesso devo stare zitto” di un “amareggiato” Gaenswein, qualcosa lascia intendere.
L’amarezza di monsignor Georg – come scrive Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera il 10 gennaio – fa riferimento alle interpretazioni “malevole” degli stralci “fuori contesto” del suo libro, diffuse proprio mentre in piazza San Pietro si svolgevano i funerali di Ratzinger.
Il volume scritto a quattro mani con il vaticanista Saverio Gaeta s’intitola Nient’altro che la verità (edizioni Piemme, gennaio 2023), ed è stato pubblicato a meno di una settimana dalla sepoltura di Benedetto XVI.
Ne scrive Jean-Marie Guénois su Le Figaro il 10 gennaio. Uno dei dolori di padre Georg, scrive, è stato quando papa Francesco gli avrebbe ritirato la responsabilità di Prefetto della Casa Pontificia dopo la controversa pubblicazione del libro del cardinal Robert Sarah con un saggio dell’emerito Ratzinger Dal profondo del nostro cuore, uscito in Francia per i tipi di Fayard nel gennaio 2020. Il caso scoppiò per l’uscita ad orologeria di un libro che prendeva posizione in senso conservatore sull’intoccabilità del celibato dei preti, mentre papa Bergoglio con l’esortazione apostolica Querida Amazonia si accingeva a trarre le conclusioni del Sinodo del 2020, che aveva chiesto un’apertura sul sacerdozio dei diaconi sposati in Amazzonia.
Non si è mai capito quanto quel saggio di Ratzinger fosse stato dato consensualmente al cardinale Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, in pratica il ministro della Santa Sede per la liturgia.
Sulla questione ho scritto su Periscopio nel gennaio 2020 [Vedi qui]
Anche in questo caso, dunque, la liturgia è terreno di scontro ecclesiale.
Ma il libro e le frasi di Gaenswein non sono l’unico motivo delle acque agitate.
Un altro libro-intervista in uscita dell’ex custode della dottrina cattolica cardinale Gerhard Muller, scritto con la vaticanista Franca Giansoldati, già si annuncia come una prossima bomba. In buona fede è infatti il titolo di un testo che conterrebbe profonde critiche al pontificato di Bergoglio.
Del resto, chi ha letto il libro di Massimo Franco Il Monastero (2022) sa quanto Mater ecclesiae, ossia il luogo del ritiro di Ratzinger in Vaticano, sia stato meta di cardinali e teologi conservatori con la loro lista di doglianze sul pontificato di Francesco.
Va detto che Ratzinger, ad eccezione forse del caso sul libro del cardinale Sarah, “ha respinto ogni tentativo di usarlo contro Francesco”, come scrive anche Alberto Melloni (Ispi on line 31 dicembre 2022), per quanto – afferma Nina Fabrizio su QN (5 gennaio) – lo stesso Gaenswein avrebbe regolato l’agenda del papa emerito “agevolando” quella processione di malumori.
Indiscrezioni riportate dalla stampa (Open.online, 8 gennaio), poi, parlano addirittura di un “piano segreto articolato su più assi e fasi per costringere Francesco alle dimissioni”.
Fra i motivi di preoccupazione ci sarebbe la “deriva protestante” verso cui la linea del papa regnante starebbe conducendo la Chiesa.
D’altronde non è un mistero la posizione di ostilità al pontefice argentino dell’influente episcopato statunitense, come da tempo racconta bene Massimo Faggioli, anche su Il Regno del 15 dicembre scorso.
Come pare evidente, oltre i dissidi e rancori personali emersi in concomitanza con i funerali di Benedetto, si ha l’impressione che nella Chiesa si stia giocando una partita ben più ampia dagli esiti imprevedibili.
“Cosa c’è dietro lo scontro tra il papa e i tradizionalisti?”, si chiede infatti Massimo Franco sul Corriere della Sera il 9 gennaio.
I rapporti con la Cina, con la Russia, con il mondo ortodosso e il tema della rinuncia al pontificato, sarebbero alcuni dei temi scottanti su cui il fronte tradizionalista starebbe affilando le lame dello scontro.
Mentre sulla rinuncia si registrano divergenze sia tra i sostenitori sia tra gli avversari di Jorge Maria Bergoglio se considerare quella di Ratzinger un caso isolato oppure no, sull’accordo della Santa Sede con Pechino nel 2018, il cui testo per volontà cinese rimane segreto, i fronti sarebbero più delineati. In particolare, le critiche sono dirette verso le cautele vaticane nel condannare la repressione contro le proteste di Hong Kong e il silenzio sulla persecuzione dei cinesi Uiguri di religione musulmana. Cautele giudicate un sottoprodotto dell’accordo del 2018.
“Per i tradizionalisti – scrive Franco – è la conferma che Francesco avrebbe sacrificato la chiesa cattolica clandestina sull’altare del dialogo con Xi Jinping”.
Della partita fa parte il cardinale emerito di Hong Kong, l’ultranovantenne Joseph Zen, prima arrestato poi liberato dalla polizia cinese su cauzione. Ricevuto da Francesco nei giorni scorsi, da sempre Zen è un critico irriducibile dell’intesa con Pechino.
L’invasione russa dell’Ucraina e la solidarietà cinese con Putin, hanno poi aperto il fronte critico anche fra Santa Sede e Mosca.
Qui la critica mossa al pontificato è di avere privilegiato da anni i rapporti con regimi autocratici, con risultati giudicati fin qui assai magri.
Sul fronte russo c’è chi registra che la mediazione vaticana è stata ignorata da Putin, con il riflesso che sono regredite anche le aperture con il mondo ortodosso, dopo l’abbraccio a Cuba nel 2016 con il patriarca Kirill, lo stesso poi definito da Francesco “chierichetto di Putin”. Qui l’accusa è di una linea giudicata non abbastanza netta con Mosca.
Come si vede lo scontro è aperto e la partita pare destinata a essere giocata in pieno nel prossimo conclave, per cercare una risposta a quella che Melloni chiama una fase di disordine sistemico nella chiesa cattolica, che nel 2013 con le clamorose dimissioni di Ratzinger, prima, e con l’elezione di Bergoglio, poi, ha visto solo l’inizio della tempesta.
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Francesco Lavezzi
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