La Regione Piemonte è più realista del re. O va avanti per preparare la strada al governo sul terreno della limitazione della libertà delle donne di decidere se e quando diventare madre. “Credo che la Regione Piemonte, in completa sintonia col governo centrale, stia continuando a fare propaganda sulla famiglia e sulla natalità sulla pelle delle donne, e questo è inaccettabile”. A parlare è Anna Maria Poggio, segretaria della Cgil Piemontese.
Da tempo, forse più di un anno, si parla di una “stanza” che l’Ospedale Sant’Anna di Torino starebbe destinando ad alcune associazioni antiabortiste con le quali il nosocomio ha attivato convenzioni. Lo scopo dichiarato è – lì come altrove – quello di dissuadere le donne a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Ricordiamo, per i distratti, che il diritto a ricorrere a quella pratica sanitaria è garantito da una legge dello Stato, la 194 che va rispettata da tutti. Certo, chi non è d’accordo è libero di dichiararlo e di battersi in Parlamento per tentare di cambiarla, ma deve farlo appunto in trasparenza e legalità. Fintanto che la norma è in vigore – noi speriamo per moltissimi decenni – chiunque è tenuto a rispettarla.
Il fatto
Al momento la stanza non si trova, i ginecologi del Sant’Anna non ne hanno contezza. Quello che invece è certo è la convenzione tra Città della Salute e della Scienza di Torino – che poi ha assegnato al Sant’Anna l’Associazione – con l’associazione Centro di aiuto alla vita e movimento per la vita G. Foradini di Rivoli. Associazione che nel proprio statuto ha il contrasto alla Legge 194, a cui non solo viene affidato il compito di parlare con donne che di ben altro avrebbero bisogno, ma anche fondi pubblici. Spiega, infatti, Elena Ferro, segretaria della Camera del Lavoro di Torino: “La Regione ha istituito un fondo, chiamato ‘Per la vita nascente’, finanziato con un milione di euro di soldi pubblici, assegnati poi a un elenco di associazioni registrate alla Asl che a propria discrezione li utilizzano per fare carità a donne che per diverse ragioni sono in un momento di fragilità”.
Privatizzazione di servizi
La Legge 194, è bene ricordarlo, assegna ai consultori pubblici, nei quali operano operatori selezionati attraverso concorsi pubblici, il compito di accompagnare le donne nel percorso di tutela della propria salute e di quella degli eventuali figli, anche nel percorso che eventualmente le porterà all’interruzione volontaria di gravidanza. Come sono state selezionate queste associazioni? Chi sono gli operatori del cosiddetto ascolto? Con quale selezione pubblica vengono individuati? Aggiunge Ferro: “Non sappiamo chi siano, non sappiamo neanche quale sia stata la procedura di affidamento a questa associazione, non sappiamo se sono psicologi o assistenti sociali. Sappiamo solo che all’interno di queste associazioni ci sono dei militanti antiabortisti”.
Dire a una donna che se non interrompe la gravidanza riceverà una fornitura di pannolini per mille giorni che cosa è? Perché con quel milione di euro la Regione non attiva percorsi di inclusione al lavoro delle donne, posti negli asili nido pubblici e rafforzamento dei consultori pubblici? Il nocciolo della questione è tutto qui. Credere nella libertà delle donne e costruire una rete di servizi pubblici per rendere possibile anche la libera scelta di maternità, o privatizzare i servizi, fornire un po’ di carità e quelle in difficoltà economica ma mai per promuovere diritti ma sempre per elargire concessioni. E su tutto, relegare le donne a madri di “figli per la patria”. Non va in questa direzione anche l’idea che pare essere del ministro Giorgetti, ridurre le tasse a chi fa figli e aumentarle ai single (a noi ricorda qualcosa, a voi?).
Le donne piemontesi dicono no
Manifestazioni, presidi e iniziative lungo il corso di un intero anno, da quando la Cgil e la Fp Cgil nazionale, regionale e torinese insieme a Se Non Ora Quando? di Torino hanno presentato un ricorso al Tar regionale. E le donne di questo territorio non smetteranno certo di battersi per la propria libertà, per il diritto alla tutela della salute non privatizzata, per evitare lo smantellamento della rete dei consultori già molto indebolita. Dice Anna Maria Poggi: “È inaccettabile un utilizzo improprio di risorse pubbliche per finanziare associazioni antiabortiste. Attendiamo l’esito del ricorso presentato al Tar più di un anno fa e lavoreremo nelle prossime settimane per organizzare con associazioni e partiti ogni iniziativa utile a contrastare l’iniziativa”.
Torino vorrebbe chiamare Roma
Ma anche in questo caso le donne dicono no. Innanzitutto Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil che afferma: “Torino per le destre è diventata una sorta di laboratorio per realizzare un loro esplicito obiettivo politico: provare a imporre ed estendere a livello nazionale una cultura regressiva che cerca di limitare l’autodeterminazione delle donne e la loro libera scelta sul proprio corpo”. “Si arriva a ipotizzare che la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori sarebbero una risposta al problema della denatalità; ma senza un investimento sul lavoro per le donne e sui servizi pubblici a sostegno della genitorialità, questo obiettivo non è perseguibile”.
L’obiettivo vero
Nascosto ma forse neanche troppo, è quello di cancellare con un tratto di penna non solo le conquiste di decenni, ma anche la percezione e l’immagine che le italiane hanno di sé e che gli uomini cominciano ad avere delle donne. Conclude la segretaria della Cgil: “La verità è che vogliono ristabilire un ordine sociale rigido nel quale alle donne spetta il ruolo riproduttivo. La Cgil invece ritiene che alle donne deve essere data l’opportunità di partecipare pienamente alla vita economica, politica e sociale della società. Contesteremo ogni tentativo di riportare indietro il calendario e difenderemo la legge 194, una conquista di civiltà delle donne”.
Cover: foto di Matteo Oi
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