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Ferrara film corto festival

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«Ci sono due modi di fare il politico: vivendo “per” la politica oppure vivendo  “della” politica.»
(Max Weber)
«I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela.»
(Enrico Berlinguer)

“Nomenklatura”, nella ex Unione Sovietica erano gli alti papaveri del Politburo e i grandi burocrati. una razza inamovibile e fautrice dell’immobilismo formale e sostanziale. Ma si sa, il vocabolo ha avuto successo anche in Germania (“Nomenklatur”), e naturalmente in Italia: “Nomenclatura”, senza la kappa.

L’Italia, dal secondo Dopoguerra fino al Crollo del Muro e al terremoto di Mani Pulite (poco meno di mezzo secolo) ha conosciuto due grandi tradizioni politiche, due grandi partiti, e due nomenclature. Entrambi, Democrazia Cristiana e Partito Comunista, hanno allevato e istruito la propria solida nomenclatura. Che ha anche altri nomi: apparato, classe dirigente: non sono i super leader ma l’esercito dei fedeli funzionari e dei politici di professione. Ne servivano parecchi per “presidiare” tutto il territorio, a cominciare dalle città e dalle regioni dove il partito poteva contare su una maggioranza bulgara. La DC in Veneto, il PCI in Emilia-Romagna.

Negli anni Novanta è cambiato il mondo, i vecchi partiti sono esplosi in mille pezzi,  ma (incredibilmente?) la nomenclatura è riuscita a salvare il posto, lo stipendio, il potere. Non si sono salvati tutti, qualcuno si è dovuto ritirare a vita privata, ma i più abili, i più scaltri, i più spericolati si sono riciclati nei nuovi partiti, si sono fusi con le nuove figure emergenti, presto diventate anch’esse nomenclatura.
I casi di intelligente galleggiamento nel mare agitato della Prima e Seconda Repubblica si sprecano, forse il più noto è un uomo che nella vita è stato tutto, da segretario dei giovani democristiani a Ministro ripetutamente della Cultura, senza lasciar traccia, eccetto la rivoluzionaria invenzione del Dantedì (25 marzo, prendete nota).

Tutto il discorso vale in generale per l’Italia di ieri e di oggi, ma anche per l’Emilia-Romagna, dove il Governatore (titolo altisonante quanto idiota), dopo aver perso le primarie, nega in pubblico ma trama in privato per cambiare la legge e assicurarsi un terzo mandato: farebbero un totale di 15 anni con il medesimo uomo, la sua passione per il cemento e i suoi inguardabili rayban a goccia.

E vale anche per  Ferrara, perché un Assessore regionale di prima fascia e una Capogruppo PD nella Assemblea regionale sarebbero decisi a ripetere il capolavoro di quattro anni fa. Nel 2019 fu la loro lungimiranza a imporre (alche al PD cittadino) un candidato sindaco di partito, che prese una sonora batosta dal leghista Alan Fabbri per poi far perdere le sue tracce. Oggi (c’è un limite a tutto) un candidato sindaco prelevato dalle fila del partito è fuori discussione: “Sarà un civico”, l’han detto tutti.  Ma da dove verrà fuori il nome del civico? Dalla stessa bottega di cui sopra: prima dovrà piegare alcune resistenze interne al PD ferrarese (proprio come quattro anni fa), poi  far digerire il loro nome a tutti gli altri partiti del Centrosinistra.

Cucinare un piatto del genere richiede tempo e molta prudenza, ma il nome sta già circolando e un po’ alla volta il candidato civico battezzato dalla nomenclatura conquisterà il Tavolo delle Opposizioni. Intanto il segretario provinciale dei 5 Stelle ha già pronunciato il primo chicchirichì, un bel passo avanti.  Ma bisogna lavorare ancora, sempre al buio, stando coperti, Alla fine dovrà apparire come la scelta più semplice, più naturale, più condivisa. Poi ci sarà solo da convincere gli elettori ferraresi. Roba da niente.

Ma alla fine, scenderà o no in campo il prode Anselmo?
La nomenclatura insiste (ne va della sua stessa sopravvivenza), ma per il poco che lo conosco, penso e spero che un uomo intelligente come Fabio Anselmo non si presterà a  un’operazione pilotata dall’alto. Anche se gli dessero un bel paracadute, affrontare una campagna elettorale come “falso civico”, con addosso il timbro dell’apparato e in tasca il programma scritto da altri è la premessa di una probabile sconfitta.

In copertina: immagine tratta dal sito della Fondazione Luigi Einaudi

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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