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La città corpo

Immaginiamo la città come un corpo che nella fase iniziale della sua vita si comporta come un organismo sano, plasmato dai fisiologici processi vitali associati all’accrescimento. Ad un certo punto, tale processo di crescita viene depistato da qualcosa che altera le relazioni tra le componenti che hanno dato forma e struttura all’organismo.

Collochiamo, per comodità, l’avvio di questo processo alterante al tempo della rivoluzione industriale e prendiamo atto che la causa sia dovuta all’accrescimento di parti spesso discontinue che, pur dichiarando l’appartenenza al corpo primigenio, non evidenziano chiare relazioni con esso. Ad uno sguardo analitico ci rendiamo conto che tale corpo non si può più definire “città” nel senso originario del termine, poiché assume sempre più la conformazione di una agglomerazione, o di una urbanizzazione, in ogni caso di un fenomeno non sinonimico rispetto all’organismo che l’ha generato (una città, un insediamento compatto).

Questo passaggio da città a urbanizzazione attraverserà diverse fasi e momenti della storia degli insediamenti urbani dando vita a diverse configurazioni o fenomenologie, sia morfologiche che sociali (metropolizzazione, periferizzazione, diffusione urbana, informalità, marginalità, ecc.).

In ogni caso, pensando alla mutazione climatica che stiamo vivendo e al fatto che questa si avvia con la rivoluzione industriale e accelera nel XX° secolo con l’emissione massiccia di CO2 in atmosfera, la città da organismo compatto e sano si trasforma in organismo informe che inizia ad evidenziare delle metastasi composte di cellule malate eppure vive, che ne attivano altre, in altre parti dell’organismo, mentre in alcuni casi si atrofizzano e muoiono, restando ferme al loro posto, abbandonate e dismesse.
I circuiti che creano le connessioni tra queste parti iniziano a perdere di fluidità a causa di emboli probabilmente generati, nel corso degli anni, da un difetto di manutenzione dell’organismo e da un sovraccarico di flussi, in particolare in alcuni nodi.
Per usare un’espressione comune stiamo parlando di un fenomeno (urbano) che continua a crescere, in dimensioni e percentuali variabili a seconda delle città e dei paesi e che potremmo, con termine tecnico, definire “consumo di suolo”.  Un processo fondato su alcuni ossimori non dichiarati ma evidenti, quali “progresso-miseria” o “ordine-disordine”. Del resto, secondo Pier Paolo Pasolini, non vi è nulla di più intrecciato che “ordine” e “disordine”.

Questa breve e incompleta riflessione per ribadire che il progresso che abbiamo ereditato dalla rivoluzione industriale si fonda ancora oggi su due assunti: agire come se le risorse naturali del pianeta fossero illimitate negare il tema delle diseguaglianze e della redistribuzione della ricchezza come aspetto strutturale del modello neoliberista globale.

Il minimo comune denominatore dell’evoluzione delle nostre città, dall’età Vittoriana ad oggi, è pertanto individuabile nel rapporto “miseria/opulenza” che riscontriamo nelle metropoli europee e occidentali nel corso dell’Ottocento e a inizio Novecento, e che oggi segnala una stabile condizione dei processi di metropolizzazione in corso nel mondo. Il tema della città sana e/o malata costituisce una delle manifestazioni più evidenti di tale rapporto e conflitto. Perché dentro una città malata e disordinata si può vivere in bolle sane e ordinate, basta non guardare ciò che ci sta attorno.

Cover: La prima rivoluzione industriale

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Romeo Farinella

Romeo Farinella, architetto-urbanista e professore ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara. Si occupa di problematiche urbane e paesaggistiche da almeno trent’anni. Prima di approdare a Ferrara ha vissuto in diverse città, tra cui Roma e Parigi e quest’ultima è diventata uno dei suoi temi principali di ricerca. Oltre a Ferrara ha tenuto corsi anche in Francia (Lille, Parigi), Cina (Chengdu), L’Avana e São Paulo e Saint Louis du Senegal. È stato direttore per alcuni anni del Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale di UNIFE.

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