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Grattacieli londinesi: iconici, potenti e introversi

Sono a Londra per l’ennesima volta. Ogni volta che torno ho sempre l’impressione di trovare una città diversa. La sensazione è reale perché l’anno scorso ho pensato la stessa cosa, vedendo, come oggi, tanti cantieri aperti. Ci sono alcuni momenti che segnano i cambiamenti delle città, in particolare delle grandi città. Londra ne ha avuti diversi.

“Lord, have mercy on London”, 1665, xilografia (particolare)

Nel 1666, il Great Fire distrugge la gran parte di una città che stava cercando di risollevarsi dalla pestilenza che aveva ucciso circa centomila persone. Una pestilenza arrivata dall’Olanda ma partita dal Levante come ci descrive minuziosamente nel suo romanzo Daniel Defoe.
Allora Londra non andava oltre il Tower Bridge e l’architetto Christopher Wren progetta una Londra barocca che non si realizza.

Un secondo momento, certamente il più importante, anche per l’immaginario della città, riguarda la rivoluzione industriale e la Regina Vittoria.
Prende forma la Londra ricca e miserabile, fumosa e sporca, attiva e oziosa che letteratura ci ha raccontato e che arriva fino agli anni ’50 del Novecento.

Le distruzioni della II guerra mondiale costituiscono il terzo dei grandi momenti di trasformazione della città.
Sono gli anni del modernismo e del brutalismo dei complessi residenziali Robin Hood Gardens o del Barbican Center. La città diviene una piattaforma trasformabile e anche decentrabile attraverso le new town, la cui costruzione inizia in realtà agli inizi del Novecento.

Fino a questo momento Londra è una città piatta, con la riqualificazione dei bacini portuali (i docks) arriva a Londra la verticalità del grattacielo. L’Est London povero e misero raccontato dalla levatrice Jennifer Worth si trasforma in una città finanziaria, il potere capitalista deve rendere evidente il suo dominio sul mondo e il grattacielo ne rappresenta l’icona.
La visione neoliberista del futuro e dei rapporti umani, incarnato dalla Signora Margaret Thatcher, primo ministro, fa da sfondo a una delle prime grandi operazione di riqualificazione urbana dove il ruolo del potere pubblico è di asservimento agli appetiti privati, molto rilevanti in questo caso.

Oggi Londra brulica di grattacieli talmente vicini da rasentare il disordine.

Londra e i grattacieli visti da Whitechapel (ph. Romeo Farinella)

Ma il grattacielo è un edificio introverso, pensa solo e sé stesso. All’esterno, con la sua altezza, segnala il potere di chi l’ha voluto costruire ma la sua attenzione è tutta rivolta all’interno e alle dinamiche che si indentificano nella folla che lo attraversa, in tutte le direzioni, per dare concretezza ai fatti. Il grattacielo non crea fronte urbano, la strada gli serve solo per l’accesso.
L’idea o l’utopia urbana del Rockfeller Center di New York che cerca di creare un luogo urbano attraverso la composizione ordinata di una serie di grattacieli, con i giardini sul tetto e le piazze alla base, è rimasta tale, non è diventata una regola.

Quindi potremmo dire che il grattacielo come icona trasmette potenza e introversione. Non crea spazio pubblico, mette caso mai a disposizione spazi collettivi mercificati: nella hall se diventa un centro commerciale o nei giardini e ristoranti del rooftop. Whitechapel e Southwark pullulano oggi di iconici grattacieli dalle forme falliche, strambe, frammentate come The Shard di Renzo Piano, il più alto di Londra e d’Europa. (vedi immagine di copertina)

Tutti questi grattacieli londinesi non si sforzano nemmeno di inventare un nuovo spazio pubblico, presi come sono dalla necessità di spremere il più possibile il valore del suolo. Quanto meno Mies van der Rohe, costruendo il Seagram Building a New York, il tema della soglia tra lo spazio delle grattacelo e della strada se lo era posto.

Londra, fantasmagorie dell’imbrunire (ph. Romeo Farinella)(

Non capisco perché si continui a interrogare, sulla stampa che conta, Renzo Piano sulle grandi questioni urbane del futuro. Dopo decenni di ricerca su come riprogettare le periferie cresciute male abbiamo scoperto, grazie a lui (Sic!), che dobbiamo ricucirle (che intuizione!). In epoca di Covid abbiamo scoperto, sempre grazie a lui, che l’opposizione alla città non è la campagna ma il deserto, dimenticando che nel deserto sono prosperate straordinarie civiltà urbane che avrebbero molto da insegnarci in termini di resilienza e adattamento climatico. Renzo Piano è un grande costruttore di oggetti architettonici, grattacieli compresi, spesso per gente ricca, si limiti a quello e lasci stare il futuro delle città, perché quello che molte sue architetture prefigurano è distopico.

In copertina: Londra, the Shard di Renzo Piano (ph. Romeo Farinella).

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Romeo Farinella

Romeo Farinella, architetto-urbanista e professore ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara. Si occupa di problematiche urbane e paesaggistiche da almeno trent’anni. Prima di approdare a Ferrara ha vissuto in diverse città, tra cui Roma e Parigi e quest’ultima è diventata uno dei suoi temi principali di ricerca. Oltre a Ferrara ha tenuto corsi anche in Francia (Lille, Parigi), Cina (Chengdu), L’Avana e São Paulo e Saint Louis du Senegal. È stato direttore per alcuni anni del Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale di UNIFE.

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