“Qualcuno era comunista”
(un altro contributo in vista del noncongresso del PD)
Tempo di lettura: 7 minuti
Ieri 20 anni anni fa moriva Giorgio Gaberščik, per tutti Giorgio Gaber. Magrissimo, un naso lungo in una faccia lunga, una voce calda e bellissima (“Parlami d’amore Mariù”), una mimica inimitabile, la passione per il palcoscenico, il sogno realizzato di sposare il Teatro con la Canzone. Amato da molti, odiato o mal sopportato da molti di più: a destra ma anche a sinistra. Io non l’ho dimenticato, non avrei potuto neanche volendo, ce l’ho spesso in testa, sulle labbra, in punta della penna.
Ma prima di dar spazio, e sarà sempre troppo poco, all’immenso artista (immenso è l’aggettivo giusto) che fu Giorgio Gaber, voglio raccontare una cosa che mi è successa quando ieri ho letto che erano passati vent’anni dalla sua morte. Una cosa piccola, molto normale, che credo capiti più o meno a tutti quando, davanti a un certo fatto, una particolare notizia, ti entra nel cervello il nitido ricordo di una persona che non c’è più. Magari il nonno, la mamma, un vecchio amico. Ma anche un personaggio famoso. Un potente, un politico, un artista, uno scrittore, un arguto pensatore…
E allora scatta automaticamente un’associazione di idee, inizia un monologo interiore, sei entrato nel loop, e formuli mentalmente le tipiche domande impossibili:
Che direbbe oggi Berlinguer davanti allo scandalo Qatar?
E se Adriano Olivetti incontrasse Briatore?
E se tornasse Ennio Flaiano, che aforisma inventerebbe per fotografare il borghese italiano della terza decade del terzo millennio?
E via fantasticando.
D’accordo, è solo un tic mentale, una curiosità destinata a rimanere nubile. Ma il meccanismo è scattato, non puoi non pensarci, e dentro la tua testa sfilano tutti i personaggi, e ci parli pure; immagini anche la scena, battute comprese.
Cosa direbbe, che canzoni canterebbe oggi Giorgio Gaber?
Chi metterebbe alla berlina, che coscienze andrebbe a disturbare, chi farebbe arrabbiare?
Io ho concluso che un redivivo Signor G se ne starebbe in perfetto silenzio. Perché puoi anche essere il più bravo di tutti, il più intelligente, il più autocritico, acuto, sottile, sincero, icastico (e Gaber lo era), ma anche l’ironia, l’invettiva, la satira a volte devono arrendersi. Davanti alla politica ridotta come è ridotta oggi, davanti allo sfracello delle idee e dei valori, davanti alla nostra televisione e stampa votate alla ipocrisia, davanti a questo e a tanto altro, anche la satira, maestra di verità, perde tutte le parole. Zitta e muta.
E pensateci, non è quel che già da anni è successo in Italia? La morte della satira.
Eccezioni non ne vedo. La navicella superstite di Fratelli di Crozza? No, nemmeno quella. Perché Maurizio Crozza è un bravissimo professionista. Mi fa anche ridere certe volte. Ma il suo è un intrattenimento comico, non è la satira. La satira è quella cosa che “graffia fuori e scava dentro di te”.
Torno all’inizio. Ecco tutti gli anelli della mia catena mentale:
Povero Gaber morto 20 anni fa – mi viene in mente lo straordinario monologo Qualcuno era comunista – ricordo le facce recenti televisive di Letta , di Cuperlo, della Serracchiani – penso: “Ma cosa direbbe oggi Gaber ai post-post-post-comunisti del Partito Democratico?” – mi torna in mente mia nonna che mi dice quel che aveva detto il moribondo Francesco Ferrucci a quel lazzarone di Maramaldo “Vile, tu uccidi un uomo morto!” – penso un’altra volta al Pd – ora vedo il cartello: “Non si spara sulla Croce Rossa” – parlo con Gaber, ma lui è una statua: zitto, muto, sbalordito – una scena da post bomba, è la casa–partito del Pd: mitragliata, demolita, sgretolata – Gaber si fruga nelle tasche, tira fuori i suoi piccoli arnesi di lavoro: uno stetoscopio, un martellino, uno scalpello che sembra un cacciavite. E li butta per terra.
Che satira vuoi fare? Anche perché Giorgio Gaber è un Signore, non un Maramaldo. Che altro potrebbe cambiare, cosa può aggiungere a quel monologo che ha interpretato centinaia di volte in tutti i teatri d’Italia più di trent’anni fa? Niente. Allora l’unica è mandare a Letta e compagnia Qualcuno era comunista tale e quale, senza cambiare una virgola.
Giorgio Gaber è stato dipinto in cento modi: il cane sciolto , l’anticlericale, il maestro di una nuova morale, il qualunquista e il compagno, il dissacratore e il moralista, il comunista e l’anarcoindividualista… Tutto e il contrario di tutto, secondo l’amore e l’umore dei cultori o l’ odio vigliacco dei detrattori della sua arte e della sua intelligenza. Ma una cosa è sicura, Giorgio Gaber è stato per decenni il grillo parlante, la scomodissima spina nel fianco della “Vecchia piccola borghesia” (Claudio Lolli) ma anche e soprattutto della Sinistra italiana. Bisognerebbe ascoltarlo e riascoltarlo oggi, sarebbe un esercizio salutare.
Per questo , dopo il contributo al non-congresso del Pd del grande Paolo Nori (cercatelo qui su periscopio), è venuto il momento di Qualcuno era comunista, il messaggio accorato e rabbioso di Giorgio Gaber.
Anche se ho il dubbio che sia un po’ troppo tardi. Perché Gaber non c’è più, ma non c’è più nemmeno il Pd.
Guarda il video del monologo
Il testo integrale:
Qualcuno era comunista
Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà
La mamma no
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa
La Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica
Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva
La pittura lo esigeva, la letteratura anche: lo esigevano tutti
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto
Qualcuno era comunista perché prima, prima, prima, era fascista
Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano
Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona
Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo
Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari
Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio
Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai
Che voleva essere uno di loro
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio
Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio
Qualcuno era comunista perché la rivoluzione? Oggi, no
Domani forse ma dopodomani sicuramente
Qualcuno era comunista perché:
“La borghesia, il proletariato, la lotta di classe, cazzo”
Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre
Qualcuno era comunista perché guardava solo Rai3
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto
Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali
Parastatali e affini
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il materialismo dialettico
Per il Vangelo secondo Lenin
Qualcuno era comunista perché era convinto di avere dietro di sè la classe operaia
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri
Qualcuno era comunista perché c’era il Grande Partito Comunista
Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il Grande Partito Comunista
Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio
Qualcuno era comunista perché abbiamo avuto il peggiore partito socialista d’Europa
Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia
Quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana
Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice
Solo se lo erano anche gli altri
Perché sentiva la necessità di una morale diversa
Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno
Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come
Più di se stesso: era come due persone in una
Da una parte la personale fatica quotidiana
Per cambiare veramente la vita
No, niente rimpianti
Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare
Come dei gabbiani ipotetici
Anche ora ci si sente come in due
Da una parte l’uomo inserito
Che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana
E dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo
Perché ormai il sogno si è rattrappito
Due miserie in un corpo solo.
Ho un caro amico, Franco, che una volta lavorava in redazione. Molto più in gamba di me, sempre informatissimo. Gli telefono e gli spiego la cosa.
Ma mi interrompe subito – Ma sei fuori? Il giornale è morto e stramorto. Chiuso dopo lunga e penosa agonia, nel 2017.
– Morto stecchito?- dico io
– Secco.
– Ipotesi di resurrezione?
– Nulla.
Rimango un po’ intontito, ma mi riprendo subito – In effetti è un po’ che non lo vedevo più in giro. Ma, dico io, come caspita fa il partito senza il suo giornale? Mi par di sognare, ma non l’aveva fondato…
– Vuoi che non lo sappia? Io ci lavoravo nel giornale fondato da Antonio Gramsci!
– Incredibile Franco, sai che mi viene in mente?
– Che ti viene in mente?.
– Ho pensato adesso una cosa, ho pensato a che direbbe oggi Antonio Gramsci se gli chiudessero il suo giornale?
– Non so, ci devo pensare un attimo…
– Pensi che Antonio si incazzerebbe?
– Penso che ci rimarrebbe male. Magari direbbe: “ma siete diventati scemi?”
– Cioè si incazzerebbe di brutto.
– Beh, non era nel suo carattere.
– Mi stai dicendo che non si incazzerebbe?
– Beh, un po’ si incazzerebbe.
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Francesco Monini
Commenti (6)
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bel pezzo! bello perché è così ch funziona, la mente parla quando il cuore si aziona e il cuore si aziona quando si sente amore. l’ amore per Gaber, grande artista apre ad associazioni di pensiero che mettono in parole lo sconforto per un PD che ci fa vergognare, almeno a me di sicuro, di avergli creduto. oggi è per me il male assoluto, e quando è così una volta capito, inutile spendere parole, si guarda e passa oltre. grazie Francesco.
Grazie Roberta. Che devo dire: Sono molto in sintonia con la tua sintonia.
Che direbbe oggi Berlinguer davanti allo scandalo Qatar?
Lo disse già nel 1981, in un’intervista a Scalfari.
E se Adriano Olivetti incontrasse Briatore?
Lo ignorerebbe.
E se tornasse Ennio Flaiano, che aforisma inventerebbe per fotografare il borghese italiano della terza decade del terzo millennio?
“Da ragazzo ero anarchico. Adesso mi accorgo che si può essere sovversivi soltanto chiedendo che le leggi dello Stato vengano rispettate da chi governa”. L’aveva già detta anche lui.
Grazie Nic. Come si dice: quando un Supergaberiano (tu) incontra un Gaberiano (io), il Gaberiano è spacciato.,
Complimenti per il pezzo, letto con piacere, piaceva anche a me Gaber, ero un ragazzino, ma quando ho letto: (Claudio Lolli) mi è proprio successo… “che credo capiti più o meno a tutti quando, davanti a un certo fatto, una particolare notizia,..” E, mi sono ricordato degli degli zingari felici, corrersi dietro,
Far l’amore e rotolarsi per terra. Credo di aver consumato alcune puntine del giradischi ascontando Claudio Lolli. Grazie!
La prima volta che ho sentito questo monologo ho pianto… e mi succede ancora! Un altro “gioco” che si potrebbe fare su queste parole è riconoscersi in qualche “qualcuno” enunciato da G. Io, per esempio, sono nato comunista: non ci posso fare niente, non è “colpa” mia. Non riesco a sentirmi “vivo e felice se non lo sono anche gli altri” e questo, per me, è il comunismo. Ho provato a praticarlo nel PCI di Berlinguer seguendone tutti gli sviluppi successivi… ora non ne posso più. Forse bisogna attendere un’altra generazione, la nostra ha perso. Però non mi sento bettuto: abbiamo seminato, non siamo stati i primi, non saremo gli ultimi… qualcosa è rimasto: non fosse altro che una canzone, un pensiero, la ricerca del volo! Grazie.