Presto di mattina /
In ricordo di Antonio Samaritani, storico pomposiano – 2. parte
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Presto di mattina. In ricordo di Antonio Samaritani, storico pomposiano – 2. parte
Una storia della spiritualità uscita dalle persone
Dopo il primo volume del 1989, seguito da quello del 1997 si aggiunse anche il Profilo di storia della spiritualità, che, al di là delle differenze e delle vicende storiche non immediatamente collegabili, rappresenta il filone unificante, quello della spiritualità, ad un livello più alto delle vicende storiche e istituzionali: (A. Samaritani, Profilo di storia della spiritualità, pietà e devozione nella Chiesa di Ferrara-Comacchio. Vicende, scritti e figure, Reggio Emilia 2004).
È questo uno studio ricapitolativo di tutto il percorso euristico e storiografico di Samaritani sulla chiesa locale. Un testo, va tuttavia sottolineato, per nulla riassuntivo. Semmai, come si direbbe oggi, un “ipertesto”. Un ambiente testuale con molteplici accessi; un’agorà in cui convergono e ripartono innumerevoli percorsi narrativi. Un volume in cui vengono ricreate situazioni narrative, esistenziali e storiche, come porte di una città che conducono ai suoi primitivi testi e alle loro successive elaborazioni in una forma nuova: una universitas testuale.
Egli ricordava ancora che storia istituzionale e storia della spiritualità non hanno ragione di correre parallele, «c’è una compenetrazione profonda, per cui l’istituzionale non si capisce senza lo spirituale, mentre lo spirituale ha la sua evidente esplicazione istituzionale» (Radici della spiritualità ferrarese, in Boll. Eccl., 2 /1993, 345).
Così per Samaritani la storia della spiritualità non fu a compartimenti stagni, mero esercizio storiografico, ma si intrecciò con la storia religiosa, con quella economica e sociale. La fatica della ricerca minuziosa altro non fu, alla fine, che il mezzo per offrire più spessore di autenticità e di qualità storica. Per il tipo della spiritualità ferrarese sembra emergere un profilo tendenzialmente statico, che comprende però una grande capacità di mediazione nella pastorale tra il nuovo e il vecchio.
Fare lo storico è stato così per lui una vocazione nella vocazione; una chiamata ad educare, condurre fuori e oltre, che impegnava a ritrovare sé stessi, rischiandosi con la propria realtà sociale, culturale e religiosa in relazione. Al tempo stesso, egli ambiva a vivere relazioni veramente comunicative di senso e di esperienza con gli altri, al fine di rendere più disponibili e motivati come presenza riflessiva e fattiva qui e ora nel nostro tempo di umanità e spiritualità.
Samaritani al vivo, dentro la sua opera
Viene così da fare un raffronto tra Samaritani, medievista e storico pomposiano, con la figura bella ed efficace che Bernard Guenée dà dello storico medievale alla voce “Storia”, nel Dizionario dell’Occidente medievale: «Nel Medioevo lo storico si nasconde spesso dietro la sua opera. Per comprendere quanto ha voluto fare non vi è altra risorsa che analizzare l’opera stessa. Tuttavia, più spesso di quanto non si creda, l’autore compare nel suo racconto e, soprattutto, si preoccupa di dire, nel prologo, quali siano stati i suoi fini e i suoi metodi».
Così è stato anche per Samaritani; bisogna infatti cercare soprattutto nelle presentazioni, prefazioni o introduzioni il suo sentire più vivo e le glosse che disvelano i significati del suo cercare come storico e umanista. In questi brevi testi egli ha nascosto il suo metodo storiografico, ma molto di più la sua passione per la vita e per la gente, il suo amore a Cristo e alla chiesa per vivere la fraternità.
Anche per lui come per uno storico medievale «la storia è un racconto semplice e vero destinato a trasmettere alla posterità la memoria di quanto è accaduto. Anche la liturgia aveva il compito di riprendere ogni anno la vita di Cristo e dei santi. Come la liturgia, la storia è strumento di memoria» (ivi, Einaudi, Torino 2004, 1123).
La sua bibliografia del 2015 si compone di 419 titoli tra libri articoli e presentazioni. L’apparato critico e la bibliografia nelle note che corredano le sue ricerche danno le vertigini. Osservava Luciano Chiappini, presentando la bibliografia del 1996:
«C’è in monsignor Samaritani un’estrema attenzione alla ricerca dei dati e delle notizie. I suoi lavori ne traboccano in misura straordinaria. Ma non si tratta di una forma, sia pur rara e sorprendente, di erudizione. Il dato e la notizia sono sempre considerati in funzione del quadro complessivo, del giudizio di assieme» (Cfr. “Acti laboris comes est laetitia; del comune, compiuto lavoro è compagna la gioia”, Quaderno Cedoc SFR 30/2015).
Ma se si vuole guardarlo negli occhi a capolino sopra gli occhiali mentre vi racconta la sua storia, occorre immergersi nella la sua autobiografia: Vicende e pensieri di un prete della Bassa Ferrarese della seconda metà del secolo XX, Cartografica, Ferrara 2014.
Credo di poter dire della sua autobiografia quello che Michel de Certeau scrisse a proposito del Memoriale di Pierre Favre, uno dei primi compagni di S. Ignazio: «volle prendersi il tempo per avviare una conversazione con sé stesso, modo per intraprenderne una con Dio… Un modo per rintracciare l’azione di Dio che costruisce dal di dentro non soltanto ciascuna persona, ma l’umanità intera, l’autentica storia».
Così Samaritani scrive nella premessa delle sue memorie: «Ho scritto queste mie personali note, quasi sospinto da un bisogno incoercibile di chiarire a me stesso (e per poi lungamente meditarle) sulla piccola vicenda della mia esistenza e anche perché i miei fratelli, sorelle, nipoti, congiunti e amici meglio mi potessero conoscere e capire. Potranno, queste note, eventualmente e senza alcuna presunzione, costituire un minimo contributo alla storia della vita religiosa, ecclesiale, locale e risultare infine una marginalissima testimonianza, fra le tante, delle vicende della Chiesa in Italia, nelle sue fasce più periferiche e meno significative, prima e dopo il Concilio»(ivi, 23).
Microstorie
Vi è, credo, una parola chiave che può servirci come guida per attraversare i sentieri testuali delle sue innumerevoli pubblicazioni e che connota significativamente la ricerca storica di mons. Samaritani: essa è “microstoria”, in grado di declinare lo spirito di Samaritani come storico con il suo desiderio di voler intravedere qualcosa “più giù” ancora, di quanto già avesse scovato nei sotterranei della storia, per scendere di livello e rendersi conto degli strati più bassi, di ciò che in essi è segno flebile o appena affiorante.
Egli era infatti convinto che panoramiche storiche omnicomprensive sono irrimediabilmente affette dall’astrattezza. La storia si costruisce con i frammenti della vita; anzi la storia dei piccoli è l’unica vera storia.
L’ambito della “microstoria” si rivela così per Samaritani campo pionieristico che individua piste di ricerca innovative. Una microstoria che diventa punto di convergenza della vicenda spirituale e di quella umanistica, cono di luce veritativo, rivelativo e critico insieme, per comprendere con più autenticità la “macrostoria”.
Al convegno del 22 novembre 2014 a Cento nella sede della Partecipanza Agraria, organizzato per ricordare mons. Samaritani, presentando la sua autobiografia, ho cercato di mostrare la relazione tra questo testo e la sua bibliografia: di questa ne costituisce la chiave e l’orizzonte interpretativo, pur nella pluralità e differenza degli argomenti, che spaziano dal medioevo all’attualità, da studi corposi a recensioni o presentazioni di poche pagine. Il memoriale fa percepire i singoli titoli bibliografici in un insieme organico; sfaccettature di un prisma che narrano di un’unica esperienza umana e spirituale nel suo divenire complesso, evolutivo e storico: la sua imago hominis.
Dal nostro passato una vocazione alla sinodalità da vivere oggi
Per Samaritani i dati, le notizie che trovava spigolando negli archivi, come le stesse persone, erano sempre valutati nel loro quadro complessivo, nelle loro situazioni esistenziali. Non sorprende dunque la sua spiccata tendenza a porre la storia passata in relazione all’attualità, quasi ci fosse in essa un orientamento, una bussola per la vita civile ed ecclesiale dell’oggi. Lo studio del passato è in vista del vivere nel presente per intravederne spiragli di futuro.
Così, dalle sue ricerche nel passato della nostra storia e territorio, emerge una vocazione plurale, come ordito che tiene unite diversità non locali. Lo rivela un aggettivo preso dai suoi testi: “sinecistico”, che richiama l’unificazione di entità politiche precedentemente indipendenti, estranee, “allogene”, direbbero gli storici, per riferirsi a popoli e culture non originarie del sito, nate altrove.
È l’abitare insieme nella casa con altri diversi da noi, realizzata proprio dalla e nella convivialità delle differenze; vocazione dunque unificatrice di pluralità molteplici e minoranze diversificate, tendenti a far confluire stili di vita culturali, religiosi e sociali, in modi “distinti ma non dissociati”, in uno scambio reciproco e convergente.
«A modesto parere, – scrive Samaritani – a salvare, rivalutare e perpetuare il patrono civico, il suo duomo e l’unità civica anche in età postridentina, sta la vocazione sinecistica originaria di Comacchio, rilevabile pure in campo ecclesiale» (in La civiltà comacchiese e pomposiana dalle origini preistoriche al tardo medioevo, Bologna 1986, 14).
Anche Cento costituisce una filigrana multipla di esperienze di storia, di spiritualità e di umanità con i suoi quattro borghi “gemmati”, borgo di mezzo fu chiamato il primo, con i suoi Allodieri, piccoli proprietari coltivatori di libere terre, con i Fumanti, gente benestante non originari del luogo e con gli immancabili poveri: «Quei poveri che non conobbero Francesco né nel terz’ordine, né nelle confraternite a base, purtroppo, categoriale», (Il laicato francescano…, Palestra del Clero, 58/1979, 17).
Una vocazione comunitaria alla mediazione e all’integrazione
Ma questo vale anche per Ferrara e la sua storia spirituale. Nel carattere ferrarese e nella spiritualità della chiesa diocesana, è riscontrabile «un timbro di sintesi, non di avanguardia». Ritroviamo anche qui una vocazione ricapitolativa che struttura il profilo identitario locale, interagendo o integrando diversità originarie e provenienti da altrove.
Prova ne sia che il patrono San Giorgio non è un proto-vescovo, né un martire della chiesa locale, ricorda sempre Samaritani, ma viene da fuori: è un santo neo-comunitario, anche se immigrato, un guerriero. Ma proprio grazie al suo essere straniero lo rende sensibile e attento alla mediazione e all’integrazione.
Le sue rappresentazioni, quella nella lunetta del protiro come quella nella scultura bronzea presso la tomba del vescovo Ruggero Bovelli in Cattedrale, rappresentano in sintesi il processo di integrazione delle diversità da guerriero con la lancia in resta a pacificatore con la lancia in riposo: come a dire il passaggio di Ferrara da presidio militare a città umanistica.
San Giorgio è scelto così come alleato di questa chiesa e della città nella difesa delle proprie autonomie e libertà, compagno di viaggio nel processo identitario e unitario, difensore e custode, a presidio del diritto e dell’identità locali. Era un forestiero, ma è diventato cittadino a pieno diritto, civis optimo iure, in favore dei diritti e della dignità di coloro che lo hanno scelto come mediatore.
Antonio Samaritani ha condotto i suoi studi per circoscrizioni territoriali, le Chiese locali. Queste ricerche sono risultate ben definite nella loro dimensione geografica e tuttavia mai anguste, in quanto connesse ad un orizzonte più ampio, sia di letteratura storica sia di ambientazione geografica. Fu la sua cifra stilistica, la capacità di declinare insieme universale e particolare, centro e periferia attraverso un’interazione policentrica.
Parlare di chiese locali ha significato per Samaritani anche riconoscere loro una soggettualità in relazione. Tanto che la loro vocazione sinecistica equivale, nel vocabolario ecclesiale, a vocazione alla sinodalità. La sinodalità è la forma della chiesa, non solo un metodo di convivenza tra diversi, ma una postura interiore ed esteriore del suo abitare nel mondo, tra la gente, con il vangelo.
Attraverso l’esercizio della sinodalità la chiesa è chiamata a esprimere il suo mistero, la comunione che unisce pluralità differenti; e la sua totalità, la sua forma catholica /unita, non è data da una somma di chiese ma dalla loro comunione che unisce differenziando come l’amore.
Il sogno della terra
«Terra, non è questo quel che tu vuoi: risorgere invisibilmente entro di noi?».
Il desiderio della terra è come quello delle storie della povera gente: risorgere in noi. Così ha fatto don Tonino per sé e per noi. Questa potente espressione poetica di Rilke dice bene il servizio ecclesiale e civile di Samaritani, come storico della chiesa.
Far riemergere dentro di noi le coordinate storiche e interpretative del genio cristiano della nostra chiesa diocesana, e non in parallelo ma compenetrandosi con la storia della città, del suo territorio delle sue genti. Di più: essa esprime l’indole e le ragioni dell’amore di don Tonino per la storia minuta, il suo essere incline alle storie della povera gente perché è lì che la terra, l’umano che si trova in essa, hanno bisogno di risorgere, di essere portati alla luce, da noi e in noi.
La storia è come la terra, una soglia che lo storico e pure gli amanti attraversano perché è di coloro che amano e si amano, come ci rammenta Rilke: «logorare un po’ la propria soglia di casa già alquanto consunta, anche loro, dopo dei tanti di prima, e prima di quelli di dopo… leggermente».
E questo per fare entrare in noi la viandante umanità – noi pure viatores e velatores dell’umano direbbe Samaritani, narrando altre storie, incrociando altre vite e accompagnarle entro il mistero di un’altra storia invisibile, di una terra e nuova umanità: «Vedi, io vivo. Di che? Né infanzia né futuro vengon meno… Innumerabile esistere mi scaturisce in cuore».
Non è facile e non è tutta qui la IX elegia di Rilke. È solo il respiro, un battito appena di un mistero di speranza sepolta che sogna la luce, a cui anche le storie più crudeli anelano, sospirando il riscatto, il capovolgimento del destino celato nell’attesa di risurrezione.
Ma perché, se è possibile trascorrere questo po’
d’esistenza
come alloro, il verde un po’ più cupo
di tutto l’altro verde, le piccole onde ad ogni
margine di foglia (sorriso di brezza) – perché
costringersi all’umano e, evitando il Destino,
struggersi per il Destino?…
Non per curiosità o per esercizio del cuore,
questo, anche nel lauro sarebbe…
Ma perché essere qui è molto, e perché sembra
che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste
effimere
che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri.
Ogni cosa
una volta, una volta soltanto. Una volta e non più.
E anche noi
una volta. Mai più. Ma quest’essere
stati una volta, anche una volta sola,
quest’essere stati terreni pare irrevocabile.
E così ci affanniamo, e lo vogliamo compiere,
vogliamo contenerlo nelle nostre semplici mani,
nello sguardo che ne trabocca e nel cuore che non ha
parola…
Anche il viandante dal pendio della cresta del monte,
non porta a valle una manciata di terra,
terra a tutti indicibile, ma porta una parola conquistata,
pura, la genziana
gialla e blu. Forse noi siamo qui per dire: casa
ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutti, finestra,
al più: colonna, torre. Ma per dire, comprendilo bene
oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse,
nell’intimo,
mai intendevano d’essere. Non è forse l’astuzia segreta
di questa terra che sa tacere, quand’essa sollecita gli
amanti così
che ogni cosa, ogni cosa s’esalta nel loro sentire?
Soglia: oh, pensa che è, per due che si amano
logorare un po’ la propria soglia di casa già alquanto
consunta,
anche loro, dopo dei tanti di prima, e prima di quelli di dopo…
leggermente.
…
Terra, non è questo quel che tu vuoi, invisibile
risorgere in noi? – Non è questo il tuo sogno,
d’essere una volta invisibile? – Terra! invisibile!
Che è mai, se non trasmutamento quello che sì
pressante ci commetti?
Terra, tu cara, accetto. Oh, credi, non ci sarebbe più
Bisogno
delle tue primavere per guadagnarmi a te, una,
ah, una sola è fin troppo per il sangue.
Da lungi e senza nome io mi dichiaro a te.
Tu eri sempre nel giusto, e la tua santa pensata
è la confidenza con la morte.
Vedi, io vivo. Di che? Né infanzia né futuro
vengon meno… Innumerabile esistere
mi scaturisce in cuore.
(Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi, Torino, Einaudi, 1978, 55)
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