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In ricordo di Antonio Samaritani, storico pomposiano – 1. parte
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Presto di mattina. In ricordo di Antonio Samaritani, storico pomposiano – 1. parte
Una prossimità di storia e di vita: sulle tracce della povera gente
«Incline per indole alla storia minuta quotidiana della gente qualsiasi, ho preferito guardare in faccia a quello che mi sembrava il reale, senza orpelli ma senza precomprensioni di favore o di sfavore, in libertà di spirito» (Vita religiosa e autoriforma (cattolica) nella Cento pretridentina (aa 1423-1539), Cento 2008, 3).
In queste poche righe Antonio Samaritani ci ha lasciato intravedere un tratto significativo della sua personalità, del suo sentire e declinare la storia in umanesimo e spiritualità, “amando cordialmente povertade”, direbbe Beltramo de Rupta di Ferrara, eremita con sensibilità pastorale vissuto nel sec. XV. «Lo studio della storia della Chiesa – mi disse in un incontro a Cento – necessita di persone nascoste, di condizione umile, che si interessino degli umili».
In un’intervista su Innovazione (aprile 1993, 5) Samaritani alla domanda: “Cosa ha significato per lei questo impegno di studio e di ricerca?” rispose: “È stato, e lo è tuttora, un realizzo interiore e personale. Una continua ricerca, approfondimento e riscoperta della fede. La storia la vivo come un approccio concreto verso la Verità, una strada angusta ma sicura verso il mistero di Dio».
Molto prima, in un’altra intervista a Il Resto del Carlino del 26 giugno 1979, in occasione del Convegno sulla Cattedrale cittadina, in merito alla sua predilezione per la storia medievale del territorio ferrarese, rispose senza indugiare: «È la storia della povera gente dei secoli X e XI. L’attività caritativa del mondo monastico, dei conversi (i monaci più poveri), dei servi della masnada (i feudatari più umili), è tipica della nostra terra e del Friuli».
Aggiungendo che la storia medievale è un “fermento pluralistico” «con il Medioevo abbiamo rivisto le nostre convinzioni: I poveri di Cristo – Istituto di carità durato dalla fine del ‘300 alla metà del ‘500 – emblematizza il medioevo spirituale per molte diocesi d’Italia e la stessa ‘devotio moderna’ si ispira ai francescani. Chiamiamo in causa, con il Medioevo, anche il Comune di Ferrara perché la nostra storia non si ferma intorno all’area degli estensi».
È solo grazie all’investigazione di minuti e poveri reperti, quali sono le disposizioni testamentarie, che mons. Samaritani ci ha testimoniato che: «L’anima più profonda della mentalità religiosa ferrarese dal 1095 al 1399 è da trarsi dalle due grandi direzioni in cui è andata ad articolarsi la religiosità cittadina: il versante della pietà e quello della carità» (La Chiesa di Ferrara tra pieno e basso medioevo, in La Chiesa di Ferrara nella storia della città e del suo territorio, I, 413, infra).
Un Convegno per ricordarlo
Oggi nel X anniversario della morte, il 18 novembre 2013, l’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio unitamente all’Archivio Storico Diocesano ha organizzato un convegno per ricordarne la figura e la ricerca storiografia in ambito pomposiano, ferrarese e centese. Il convegno si articola in due sessioni, la prima nella mattinata a Cento, l’altra nel pomeriggio in Ferrara a Casa Cini.
Antonio Samaritani, nato a Comacchio il 25 maggio 1926 è ordinato sacerdote a Cento l’11 giugno 1949. Ottenne la laurea in teologia, indirizzo storico, presso la Pontificia Università del Laterano nel 1955. Dal 1969 fu docente presso il Seminario di Ferrara nonché presidente dell’Istituto di cultura “Antica Diocesi di Comacchio” a partire dal 1986 (anno di fondazione) sino al 2004.
Fu socio effettivo della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria dal 1960 e consigliere dal 1985. Iniziò la vita pastorale come vicario parrocchiale a Lagosanto dal 1949 al 1952, fu direttore spirituale del Seminario di Comacchio dal 1950 al 1952, poi parroco di Medelana dal 1956 al 1976. Dopo il gravissimo incidente del 1974, dal 1977 si stabilì a Cento, vicino ai familiari; in quell’eremo di pazienza poté quindi dedicarsi a tempo pieno alla ricerca storica e agli studi, alla preghiera di intercessione e al ministero dell’ascolto delle persone.
Storico pomposiano
Samaritani fu editore e curatore degli statuti civili duecenteschi dell’abbazia di Pomposa e poi nel 1963, dei regesti delle prime 860 pergamene (dall’a. 874 all’a. 1199). Questa ricerca documentaria e gli studi sull’Abbazia pomposiana proseguiti in seguito lo designarono “storico pomposiano”.
Decisive in questa sua opera furono le vicende che portarono Samaritani all’acquisizione delle carte di Pomposa presenti a Montecassino; un “recupero tormentato”, un lavoro fatto in collaborazione con l’Istituto dei Beni culturali di Bologna e che sortì l’acquisizione in microfilm del Codice diplomatico del monastero cassinese.
Al suo nome, o meglio, al suo decisivo impulso iniziale è indissolubilmente legata la collana degli Analecta Pomposiana, iniziata nel 1965 con il volume celebrativo del IX centenario del campanile di Pomposa.
Una circostanza che dette avvio al Centro italiano di studi pomposiani, cui si affiancò l‘Istituto per la storia religiosa delle diocesi di Ferrara e Comacchio. (Le origini del monastero di Pomposa fra VI e X secolo, in Analecta Pomposiana, 15 (1990), 15-36.
Alla salvezza si giunge piangenti
Al Convegno Delta chiama Delta del 1996 al Lido degli Estensi in vista del Giubileo del 2000, che affrontava il tema dello stretto rapporto tra religiosità e territorio circostante, Samaritani ricordava che la realtà deltizia del Po è «la realtà antica di una civiltà navigatrice che ha saputo estendere i propri rapporti commerciali fino al Reno, al Rodano, al Danubio ed oltre.
La storia del Delta del Po affonda le proprie origini nel ritrovamento della Stele funeraria di Aufidia Venusta, – una donna ancora pagana del nostro territorio vicoaventino, nel primo secolo dell’era cristiana – rinvenuta tra Argenta e Portomaggiore, riportante lo strazio di una madre privata dell’unico figlio.
La sofferenza della donna, indirizzata ai viandanti “per terra e per fiume” è da considerarsi come l’espressione più autentica dell’indole del popolo deltizio. È con le lacrime agli occhi che si giunge alla salvezza. Emblema significativo dell’emarginazione e della solitudine che caratterizzavano, insieme ad una profonda solidarietà, il carattere degli abitanti del Delta del Po.
La connessione tra la natura tipica della zona e l’insediamento in loco di comunità religiose dedite alla meditazione pressoché eremitica fu amplificata dall’edificazione dell’Abbazia di Pomposa. Centro da cui fu diffuso il messaggio solidale; essa forse in epoca carolingia fu di grande rilievo in quanto anello di congiunzione tra la civiltà ecclesiastica e quella laica; dall’Abbazia, infatti, partì la nuova concezione del pensiero benedettino che, per la prima volta, affiancava al pellegrinaggio la solidarietà, il martiro e l’evangelizzazione come una pacifica crociata» (Fonte, La Nuova Ferrara, 14.9.1996).
«Mediazione e lacrime»
Mediazione e lacrime costituiscono per Samaritani i tratti spirituali dei luoghi a connotazione valliva e fluviale, come i nostri, impregnati da un vangelo latente nella sua gente. Ma proprio in questo contesto di marginale espressione spirituale, proprio in questo retaggio di condizione minoritaria, rispetto ai grandi flussi e figure della spiritualità cristiana, – viene da dirsi infatti: quale buon saluto, quale evangelium possono mai annunciarci il silenzio degli eremiti e le lacrime di una madre e per giunta pagana, in lutto per il figlio morto?
Proprio nella umilissima semplicità di una annunciazione, di un saluto inciso sulla pietra: “Salvete et bene valete”, con cui questa donna, pur schiacciata dal male, augura il bene ai viatores e ai velatores di passaggio, praticando così la regola d’oro gesuana fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi (Mt 7, 12-14), si rivela così la buona notizia del Regno di Dio, la sua più struggente priorità, quella di consolare e di farsi carico delle lacrime e del dolore degli uomini.
Così è nata la ricerca di una storia “altra”
Samaritani fu sempre alla ricerca per sé e per gli altri di una “storia altra”, come ricorda lo storico francese Fernand Braudel. Tanto da scrivere nell’introduzione al libro su mons. Ruggero Bovelli di A. Baruffaldi circa l’esigenza di una «biografia diversa, “altra appunto”, che potesse evidenziare «quel “particulare” esistenziale tutto bovelliano di accattivante umanità»; come a dire: la storia minuta, le microstorie della povera gente.
Il percorso storiografico di mons. Samaritani fu proprio quello di istruire piste di ricerca e studi coinvolgendo altri studiosi in un tracciato interdisciplinare che facesse emergere profili di religiosità e di civiltà locali, marginali e dunque a valenza e significato sociale e mai disgiunte tuttavia dal contesto storico globale, tenendo insieme e avendo presente sia gli avvenimenti che le strutture: una ricerca che si muovesse dentro e fuori porta, “tra Istituzioni e Società”.
Due secoli dopo il Compendio della storia sacra e politica di Ferrara, Bologna, Forni, 1972 del Manini Ferranti, ecco uscire i due volumi: A. Benati – A. Samaritani, La Chiesa di Ferrara nella storia della città e del suo territorio, I, secoli IV-XIV, Corbo, Ferrara 1989 e II, secoli XV-XX, L. Chiappini, W. Angelini, A. Baruffaldi, coord. A. Samaritani, Corbo, Ferrara, 1997.
Quest’opera è rivelativa e programmatica di uno stile, del declinare insieme chiesa e società, presenza religiosa nella città e nel territorio così da evidenziare il carattere “soggettuale”, relazionale della chiesa diocesana, come chiesa situata in loco, protesa verso l’altro.
Una storia innovativa
Così Samaritani commentava l’esito di quella ricerca: «Innovativa soprattutto come taglio, in quanto protesa a fissare il rapporto tra comunità religiosa e comunità civile della Chiesa ferrarese. E questo a livello, ad un tempo, scientifico nella sostanza e alto divulgativo nella forma.
Era tale sintesi – nel progetto – destinata alla Chiesa diocesana, nell’atto che si andava e sempre più prossimamente si va preparando al sinodo, convocata dal suo pastore. Uno sguardo panoramico quindi, alle origini e all’esperienza dodici volte secolare che si ponesse come strumento alla individualizzazione e al recupero obiettivi della identità specifica di questa nostra tipica Chiesa locale» (ivi, v. I, 341).
Compreso come un servizio culturale, ecclesiale e cittadino che prevedeva un solo volume, divenne in seguito un progetto complesso nella forma di una trilogia, completato da un volume di sintesi sulla spiritualità per «recepire istanze sempre più introspettive e stimolanti, come del resto è invalso dalla paradigmatica Storia d’Italia di Einaudi in poi (…) va timidamente profilandosi all’orizzonte un altro volume dedicato alla storia del sentimento religioso, della spiritualità e della pietà (Bremond, più De Luca, più Braudel, per intenderci) ferraresi e comacchiesi ad un tempo, muovendo dal versante liturgico per approdare a quello laicale e popolare» (ivi, 342).
(Continua domani su Periscopio)
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Andrea Zerbini
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