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Ferrara film corto festival

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Presto di mattina. Edith Stein, o dell’empatia

Umanità contemplativa

 Se ciò che io dico risuona in te,
è semplicemente perché siamo entrambi
rami di uno stesso albero.
William Butler Yeats

Venerdì 9 agosto sono andato al Carmelo a celebrare con le sorelle carmelitane, era la memoria di una santa loro consorella, filosofa e mistica e martire di origine ebraica, vittima della Shoah: Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce, (Breslavia, 12 ottobre 1891 – Auschwitz, 9 agosto 1942) e pure patrona d’Europa.

Teresa Benedetta ha lasciato un’incisiva testimonianza di una donna intellettuale del secolo scorso che, spinta da una incessante ricerca della verità, la trovò nella forma di una umanità contemplativa: “una verità non senza amore e un amore non senza verità”.

L’umanità contemplativa è quella rivolta verso il Padre, e con quello sguardo del Padre nostro negli occhi guardare gli altri specialmente chi è povero, emarginato, sofferente; è un’umanità ospitale, come quella del Cristo sempre in ricerca degli smarriti di cuore, sempre in cammino con le donne e gli uomini incontrati lungo la via.

Così, nell’empatia, Edith scopre la giusta distanza per stare accanto agli altri e insieme per sentire dentro l’umanità dell’altro: la radice non è la foglia, i rami non sono il tronco eppure scorre in loro la stessa linfa. Ma non è forse anche il vangelo esperienza di empatia? E, non è forse il vangelo il riconoscersi e il sentire di Cristo in ogni uomo? «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Nel 1913 Edith è studentessa a Gottinga, frequenta le lezioni di Edmund Husserl sulla fenomenologia; diventa sua discepola e assistente e consegue con lui la laurea (summa cum laude) a Friburgo in Bresgovia. L’ultimo capitolo della tesi Il problema dell’empatia (Studium, Roma 1998), titola: L’empatia come comprensione delle persone spirituali.

Nella presentazione ad un’altra edizione della stessa tesi, il sociologo Achille Ardigò scrive: «Gli atti di empatia che compiamo verso un altro da noi non sono necessariamente e propriamente – la Stein lo sottolinea con grande nettezza – parte della mediazione culturale che attinge ad un patrimonio comune. Sono l’essenza della capacità di istituire comunicazioni intersoggettive sino a mettersi nei panni dell’altro, anche con sconosciuti, anche con stranieri; sono la condizione genetica di ogni comunicazione, quindi di ogni inizio di società.

Edith Stein, con una particolare freschezza e finezza di analisi introspettiva si direbbe che cerchi di ripensare in sintesi tutta la teoria dell’ammirato Maestro, attraverso questo concetto di esperire empatico… L’empatia si colloca, dunque come un ponte tra le due rive del fiume della vita personale e collettiva. Porta l’unità fenomenologica nella realtà duale» (E. Stein, L’empatia, FrancoAngeli, Milano 2002, 11-12; 13).

La fenomenologia aprì così a molti studenti di Husserl l’orizzonte della fede e la dimensione comunitaria proprio per questa “intenzionalità” della coscienza del volgersi fuori, ed uscire da sé, dal soggettivismo e sperimentare la realtà come conoscenza, intelligibilità derivante dal contatto con l’altro, come intersoggettività tra individui; il fenomeno dell’intreccio tra l’esperienza dell’io e quella dell’altro dà corpo alla verità senza ledere la libertà propria.

L’incontro con il filosofo Max Scheler la avvicina anche al cattolicesimo. Nel gennaio del 1915 superò l’esame di stato. All’inizio della prima guerra mondiale aveva scritto: “Ora non ho più una mia propria vita”. Durante la guerra frequentò un corso d’infermiera e prestò servizio in un ospedale militare austriaco presso i degenti del reparto malati di tifo. In particolare prestò servizio in sala operatoria, vedendo morire tantissimi giovani.

La fonte e la notte

Le letture della messa che narravano di due figure di valore del primo e nuovo testamento, la regina Ester e la Samaritana che incontra Gesù, mi sono sembrate empatiche per provare a tracciare un profilo di Teresa Benedetta della croce. Tanto che all’omelia ho iniziato così:

«Signore, manifestati nel giorno nella nostra afflizione, e a me dà coraggio” (Ester 4,17): è questa la preghiera che avvicina e fa corrispondere la regina Ester e la sua storia a quella di Edith Stein nella sua notte oscura, quando le SS piombarono nel monastero delle Carmelitane di Echt, in Olanda dove si era rifugiata. Edith prese per mano la sorella Rosa e disse: «Vieni, andiamo, per il nostro popolo».

Nel testo Essere finito ed essere eterno Edith scriveva: «Se l’anima si apre interiormente alla vita divina, essa stessa, e per suo tramite il corpo, viene formata ad immagine del Figlio di Dio, da essa partono “fiumi di acqua viva”, che hanno il potere di rinnovare mediante lo spirito il volto della terra» (in La mistica della croce scritti, Città nuova, Roma, 41).

Viene descritta qui la medesima esperienza: l’esperienza dell’essere cercati e del cercare Dio in “spirito e verità” nell’incontro con Gesù. Di qui il riferimento alla Samaritana, una pagina del vangelo che ha illuminato e dato forma alla ricerca di verità e alla vita di Teresa Benedetta della Croce.

Così la “fonte” e la “notte” e, per dirla con Giovanni della Croce, “il cantico delle sorgente”, mi sono sembrati le immagini di valore adeguate, almeno per oggi, per dire di colei a cui si addicono le parole di Dio al suo popolo, la sua intima empatia a questa donna figlia di Sion e serva di Yahweh; «Il Signore si è legato a te nel cuore e ti ha scelta… perché nella tua piccolezza il Signore ti ama» (Dt 7,7).

Così anche ora Teresa Benedetta della Croce ci affida il fluire dell’acqua viva che in lei è zampillata, quella della sua testimonianza carmelitana assimilata alla scuola di Giovanni della Croce:

Ben so io la fonte che sgorga e scorre, anche se è notte!
Quell’eterna fonte sta nascosta,
ma ben so io dov’essa ha sua dimora,
anche se è notte…
So ch’esservi non può cosa più bella,
che cieli e terra bevon d’ella, anche se è notte.
La sua chiarezza mai non s’offusca,
so che ogni luce da essa è venuta,
anche se è notte.
(Giovanni della croce, La fonte, “Cantico dell’anima che si rallegra di conoscere Dio per fede”).

L’esperienza della fede: uno schiarirsi delle tenebre

Significativo pure il ritornello del salmo: «Signore tu rischiari le mie tenebre».

Credere «non è un mero accettare il messaggio della fede solo per sentito dire − dice Edit Stein − ma un essere toccati interiormente e uno sperimentare Dio». Un immedesimarsi con l’altro. Così la fede è una forma radicale di empatia; l’empatia stessa di Gesù per i credenti, egli e il suo vangelo sono il luogo della fede: del suo principiarsi, del suo progredire e del suo andare verso un compimento.

Anche Edmond Husserl intuì la questione dell’empatia senza riuscire a trovare una chiara rappresentazione. La risposta venne proprio dalla sua studentessa e poi assistente Edith. Avviene con l’empatia un immedesimarsi, andando come a tentoni seguendo tracce, orme dentro di sé, un cercare le tracce degli altri, dell’Altro in “spirito e verità”.

Scrive nella Storia di una famiglia ebrea, Citta nuova, Roma 1992, 360: «Era un grande lavoro, perché la dissertazione aveva assunto dimensioni enormi. In una prima parte, ancora sulla scorta di alcuni accenni di Husserl nelle sue lezioni, avevo esaminato l’atto dell’“intuizione” come un particolare atto della conoscenza.

Di lì, tuttavia, ero arrivata a una cosa che mi stava particolarmente a cuore e di cui mi sono occupata in tutti i miei scritti successivi: la costruzione della persona umana. Nell’ambito di quel primo lavoro, questo esame era necessario per far capire come la comprensione di nessi intellettuali si distinguesse dalla semplice percezione di condizioni psichiche.

Riguardo a tali questioni le conferenze e gli scritti di Max Scheler, come pure le opere di Wilhelm Dilthey erano stati di grande importanza per me. Di seguito all’estesa mole di letteratura sull’intuizione che avevo preso in considerazione, aggiunsi alcuni capitoli sull’intuizione in campo sociale, etico ed estetico».

Empatia: il risveglio della coscienza, decisione della libertà per un cammino di trasformazione

«Si assimila la Scientia Crucis − dirà in seguito Teresa Benedetta della Croce − se si vive fino in fondo il peso della Croce, ma come è possibile questo?». La via è quella dell’immedesimarsi con l’altro, che tuttavia non genera una fusione, ma un’unione nella diversità, uniti nella differenza, salvaguardando e maturando la libertà di coloro che si immedesimano l’uno nell’altro.

Perché tutta la realtà (è uno dei principi della fenomenologia studiata da Edith Stein) può essere compresa, esperita solo in modo intersoggettivo attraverso l’esperienza di altri individui e quest’esperienza è detta appunto empatia. Sono i suoi legami reali, a volte faticosi e perfino drammatici, a permettere l’accesso alla realtà del mondo e a quella dello spirito.

Chiariamo. L’empatia non è un rispecchio emotivo, ma costituisce un invito, una chiamata a seguire dei «fili sottili, appena visibili», i quali suggeriscono una direzione promettente di sviluppo. Dall’empatia può nascere una sequela come quella tra Gesù e i suoi, tra la santa Madre Teresa d’Avila ed Edith. Essa non serve a nulla se non muove alla decisione, senza una partenza verso l’oltre, l’altrove. Senza mettersi in cammino l’empatia rimane sterile, frustrante: essa richiede e presuppone l’impegno, il gusto e lo sforzo delle relazioni.

È come una spinta che risveglia quello che in noi dorme, sonnecchia o è nascosto; quello che solo immedesimandosi con l’altro viene alla luce e fa sviluppare quanto è inespresso ancora in noi. L’empatia scopre nell’altro qualcosa che attrae e seduce. Geremia è l’esperto, ma anche Maria di Magdala non è da meno.

Edith−Teresa Benedetta attirata all’inizio da un’ospite inquietante come l’agnosticismo, poi il nichilismo incontrato nell’ambito universitario di Gottinga scopre, anzi è letteralmente sorpresa ed attirata da un ospite inatteso, che rinviene inizialmente attraverso la lettura di un libro, entrando per caso nella biblioteca di amici che l’ospitavano.

Era il testo La vita di Teresa d’Avila, e così attraverso Teresa scopre pure l’empatia verso il Cristo. È stato questo il momento chiave della sua vita: «Nell’estate del 1921 La vita della nostra Santa Madre Teresa mi era capitata tra le mani e aveva posto termine alla mia lunga ricerca della vera fede».

Era arrivata al Cristo non già per via di speculazione, bensì grazie a una profonda convinzione ottenuta attraverso il processo e la pratica dell’empatia. Così fu contagiata dalla stessa passione amorosa di Teresa per Gesù e la sua umanità, scoprendo attraverso la santa Madre che l’Amato è vivo ed era presente nel Castello della sua stessa anima e faceva strada con lei.

Il Castello interiore rappresentava la sua stessa anima, e la preghiera era la chiave del Castello e delle molte dimore. Se empatia è contatto con la realtà, partecipazione e acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui, sarebbe stato allora possibile sentire cum Christo per Christo in Christo e da qui un «sentire comunitario e partecipato»: sentire cum Ecclesia e cum Mundo.

È possibile nascere di nuovo? Ogni volta che si ama e si è amati

È possibile, Signore, che sia nuovamente generato
chi ha già oltrepassato la metà della vita?
Tu lo hai detto, e per me fu realtà
Una lunga vita grave di colpa e di sofferenza
mi lasciò.
Sinceramente ricevo il bianco mantello
che essi mi pongono sulle spalle,
luminosa immagine della purezza!
Io tengo in mano la candela.
La sua fiamma annuncia
che in me arde la tua vita santa.
Il mio cuore è ora diventato una mangiatoia/che attende il tuo.
… Oh, nessun cuore d’uomo può comprendere
ciò che tu prepari a coloro che ti amano.
Ora ti possiedo e non ti lascio mai più.
Dovunque vada la strada della mia vita
tu sei accanto a me:
nulla mi può separare dal tuo amore.
(Testo poetico di Teresa Benedetta in Stare davanti a Dio per tutti. Vita. Antologia, scritti, a cura di Giovanna della Croce, Edizioni O. C. D., Roma 1991; citato in Città di vita, Marzo-Aprile 2/2004, 117).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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