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Presto di mattina. Dunja, con occhi d’universo

Con occhi d’universo

«Dunja, mi dice il nomade, da noi, significa universo. Rinnova occhi d’universo, Dunja» perché «il carnato del cielo sveglia oasi al nomade d’amore»
(G. Ungaretti, Vita d’uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1996, 324; 28).

È questo che fa l’itineranza poetica di Ungaretti, pregna di un lirismo nomade, straniero, errante. Così al girovago d’amore cova in cuore il desiderio di allargare la sua tenda a misura e con occhi d’universo. Occhi che brillano come stelle e invitano ad essere luminosi; occhi che ascoltano la luce nella notte e che per questo trovano un varco nella paura, si orientano tra le dune movimentate dal vento.

Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Presa in un giro
Immortale
(ivi, 86)

È con questo respiro, che aggiunge respiro a respiro e a ciò che passa un abbraccio d’eternità, che presento gli scritti di Francesco Lavezzi Dal palazzo alla tenda. Cronache ecclesiali nel cambiamento, CedocSFR, Ferrara 2023. Sono 38 articoli raccolti nel Quaderno 49 del Centro di documentazione di S. Francesca scritti tra il 2013 e il 2023.

Scrive Francesco nella premessa: «Sono tutte riflessioni che si sviluppano attorno a temi di carattere ecclesiale e nell’ambito del cristianesimo. Dei 38 articoli qui raccolti, 36 sono stati pubblicati su Ferraraitalia (nel frattempo diventata Periscopio) e questo è un motivo di gratitudine ai direttori di questa testata ferrarese on line, dapprima diretta da Sergio Gessi (che ne è stato il fondatore) e ora da Francesco Monini.

Ad entrambi sono grato per avere dato ospitalità a queste mie riflessioni, che ho potuto svolgere in totale libertà. Lo considero un privilegio per un dilettante come me, che non ha certo la presunzione di proporsi come esperto.

Il penultimo saggio, dedicato alla morte di papa Benedetto XVI, è stato pubblicato su Ferraraitalia-Periscopio solamente nella prima parte, relativa alla cronaca dei giorni attorno ai funerali di Joseph Ratzinger. La parte, invece, che completa il saggio è un approfondimento inedito cui ho ritenuto di dover dare corso, anche grazie ai preziosi suggerimenti di lettura di Massimo Faggioli. L’ultimo testo è completamente inedito e vuole essere una riflessione – ancorché parziale e personale – sull’attuale pontificato in corso di papa Francesco» (ivi, 3).

Abramo partì senza sapere dove andava

La Chiesa se non è comunità in uscita non è chiesa. Così il suo tornare ad abitare le tende indica il ritorno a camminare con Dio nel deserto, un ritornare all’autenticità dell’esistenza che è incontro, dialogo verso gli spazi aperti dal futuro di Dio, sostenuti dalla speranza nelle sue promesse.

Non è solo il papa in cammino dal palazzo alla tenda, ma tutta la chiesa stessa e ciascuno di noi convocati da lui, chiamati fuori, in stile sinodale per una riforma ecclesiale di natura missionaria, affinché il vangelo torni ad essere l’Evangelii gaudium.

Così le “cronache ecclesiali nel cambiamento” di Francesco Lavezzi si sviluppano come una mappa testuale offerta ai lettori per rileggere gli avvenimenti più significativi, gli snodi e le tappe dottrinali ed esistenziali di un tratto del cammino della chiesa e della società, confrontando le dinamiche tra comunità e mondialità, località e globalità, a partire da quel passante di valico che è stato il Concilio vaticano II.

Se l’evento conciliare è stato definito come una primavera dello Spirito, di contro un ritorno alla stagione invernale è stata la sua difficile recezione e interpretazione.

Un cammino accidentato, faticoso, controverso; segnato da fratture e ricomposizioni, conflitti e riequilibri; quel difficile camminare insieme con chi guarda ancor oggi indietro, con la nostalgia del tempo perduto e vorrebbe il ricostituirsi di una cristianità ormai perduta e con chi guarda in avanti come Abramo nonostante tutto con speranza, perché il Cristo risorto precede sempre i suoi in avanti nella Galilea delle genti che è l’umanità:

«Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa» (Eb 11, 8-9).

Dal palazzo alla tenda

Le parole rivolte da Dio ad Abramo nella rilettura che ne fa papa Francesco (nel Discorso per la XXXVII Giornata mondiale della Gioventù a Lisbona 2023) sono parole rivolte anche alla chiesa di oggi, chiamata a vivere un nuovo tempo della sua storia, a volgersi di nuovo verso gli uomini di oggi in un tempo definito dal papa con un’espressione divenuta paradigmatica “non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”.

Ecco le sue parole: «Alzati! Alzati, cammina, non stare fermo. Tu hai un compito, tu hai una missione e devi compierla in cammino. Non rimanere seduto: alzati, in piedi».

E poi come a voler giustificarsi di fronte a tante resistenze e obiezioni, ai dubia di alcuni eminentissimi che lo accusavano di far deviare la chiesa fuori dall’ortodossia, verso un relativismo dottrinale e morale, verso un umanitarismo o sincretismo religioso, Francesco continua a ribadire che «non è la chiesa che deve seguire me sono io che seguo la chiesa… Semplicemente predico la dottrina sociale della Chiesa. Non è un fatto politico, è un fatto catechetico…  non svendo la dottrina ma seguo il concilio».

Un cammino quello di Francesco con la chiesa del concilio, nel solco della singolarità cristologica, del Cristo sempre più grande, della fraternità tra i popoli, della cura del creato, nel servizio ai poveri, con stile dialogico, ecumenico e sinodale.

Di deviazione verso l’antropocentrismo furono pure le accuse da cui dovette difendersi Paolo VI nell’indimenticabile discorso dell’ultima sessione conciliare 7 dicembre 1965:

«Tutto questo e tutto quello che potremmo dire sul valore umano del Concilio ha forse deviato la mente della Chiesa in Concilio verso la direzione antropocentrica della cultura moderna? Deviato no, rivolto sì».

Dal palazzo alla tenda è l’invito a ripartire con un nuovo stile ecclesiale, a partire dalla scelta preferenziale dei poveri e questi non stanno nei palazzi dei re, ma nelle periferie vicine e lontane. “Io seguo la chiesa” e seguirla per Francesco significa sapere che «non si tratta solo della centralità della dottrina sociale della chiesa, ma del primato dello stesso vangelo. Prima i poveri. Passa da loro il Regno di Dio».

Nel testo di papa Francesco risuonano e si amplificano le stesse parole di Giovanni XXIII all’apertura del concilio e la sua intenzione programmatica: l’attenzione ai poveri, insieme all’istanza ecumenica e all’apertura alla mondialità e alla ricerca della pace sulla terra:

«La Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». L’opzione per i poveri così intesa non consiste pertanto solo nell’aiutarli, ma nell’essere evangelizzati da loro e nell’accettare che attraverso di essi debba fondarsi e stabilirsi il Regno di Dio.

Sempre in cammino, ad ogni sosta allargando e la tenda

Chiesa in uscita” è espressione familiare, conosciuta ormai da tutti, definitivamente entrata nel nostro modo di pensare e di dire lo stile di chiesa, se vuole rendere reale il sogno che lo Spirito ha ispirato alla chiesa a Pentecoste: «La Chiesa o è ‘in uscita’ o non è Chiesa, o è in cammino, allargando sempre il suo spazio (la sua tenda) affinché tutti possano entrare, o non è Chiesa» (Udienza 23 ottobre 2019).

Non è il palazzo il luogo in cui nasce e si sviluppa la fiducia, la fraternità, ma è nel dimorare sotto le tende che si rinnova continuamente la fede, la speranza e la carità del Vangelo, incamminati verso l’orizzonte di “fratelli tutti”.

E così ancora il pensiero del papa si rivolge alla figura di Abramo: «A me piace vedere come si ripete in questo passo, e in quelli di questo capitolo che seguono, che Abramo non edifica una casa: pianta una tenda, perché sa che è in cammino e si fida di Dio, si fida».

E «lui, il Signore, gli farà sapere quale sarà la terra. Abbiamo letto che l’ha fatta vedere: “Alla tua discendenza, io darò questa terra”». Da parte sua, «Abramo cosa edifica, una casa? No, un altare per adorare il Signore: fa il sacrificio e poi prende la tenda e continua a camminare».

È perciò «sempre in cammino». Un atteggiamento che ci ricorda che «il cristiano fermo non è vero cristiano: il cammino incomincia tutti i giorni al mattino, il cammino di affidarsi al Signore, il cammino aperto alle sorprese del Signore, tante volte non buone, tante volte brutte — pensiamo a una malattia, a una morte — ma aperto, perché io so che tu mi porterai a un posto sicuro, a una terra che tu hai preparato per me».

Ecco allora, prosegue il papa, «l’uomo in cammino, l’uomo che vive in una tenda, una tenda spirituale: l’anima nostra, quando si sistema troppo, si installa troppo, perde questa dimensione di andare verso la promessa e invece di camminare verso la promessa, porta la promessa e possiede la promessa. Ma questo non va, non è propriamente cristiano» (Meditazione a Santa Marta, 26 giugno 2017).

In un discorso del 25 luglio 2022 ritorna sul tema della tenda: «La tenda ha un grande significato biblico. Quando Israele camminava nel deserto, Dio dimorava in una tenda che veniva allestita ogni volta che il popolo si fermava: era la Tenda del Convegno. Ci ricorda che Dio cammina con noi e ama incontrarci insieme, in convegno, in concilio. E quando si fa uomo, il Vangelo dice, letteralmente, che “pose la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Dio è Dio della vicinanza, in Gesù ci insegna la lingua della compassione e della tenerezza. Questo si deve cogliere ogni volta che veniamo in chiesa, dove Egli è presente nel tabernacolo, parola che significa proprio tenda. Dio dunque pianta la sua tenda tra di noi, ci accompagna nei nostri deserti: non abita in palazzi celesti, ma nella nostra Chiesa, che desidera sia casa di riconciliazione».

Una traccia per la memoria storica e il discernimento per l’oggi

Il pregio di questa raccolta di articoli sta nel fatto che costituiscono una traccia per la memoria storica della nostra chiesa diocesana; offrono, uno spaccato del dibattito ecclesiale e pubblico visto dalla sua recezione locale.

Sono riflessioni che si sviluppano insieme agli avvenimenti, scritti strada facendo con il cammino ecclesiale, mossi non già da un interesse giornalistico o storico, ma con la passione di chi cerca di comprendere oltre la superficie dei luoghi comuni o, come ha scritto recentemente la teologa Marinella Perroni, “il male della banalità”.

Quasi tutti sono testi contemporanei ai fatti che descrivono, ma non rappresentano affatto un’opinione personale a caldo. Sono al contrario meditati e ricompresi nel tempo attraverso il confronto, l’ascolto di altre riflessioni; ripropongono, così come un puzzle, una sintesi degli interventi e delle competenze di altri osservatori di questi avvenimenti con l’obiettivo di ampliare l’orizzonte della comprensione e delle interpretazioni e renderle maggiormente intelligibili.

Sono testi frutto dalla ricerca e dello studio, che non si fermano al fatto di cronaca, agli eventi presi in sé, ma li collegano fra loro, li approfondiscono, tenendo conto di tutte le voci coinvolte nel dibattito, coì da mostrare gli eventi nel dispiegarsi dei processi che li hanno determinati senza temere di prevedere quelli che potrebbero determinarsi.

Questi scritti sono preziosi perché costituiscono un non comune esercizio di discernimento per l’intelligenza della fede dentro alla chiesa nel suo divenire nella storia.

Ci offrono pure uno stile, un metodo pedagogico di come affrontare il compito non facile di declinare per la propria fede e per la vita ecclesiale fede e storia, fede e vita, fede e servizio di umanità, che credo siano, da sempre, le sfide più impegnative per i credenti e che da sempre originano e rendono credibile la loro testimonianza.

Anche il poeta ostinato nomade dell’assoluto deve continuare ad andare, per sé e per gli altri, in cerca di una terra che non c’è: «Non ho che strade, strade, e strade: il grigio perfido di questo cammino senza conclusione», eppure terra promessa.

Girovago
In nessuna
parte
di terra
mi posso
accasare
A ogni
nuovo
clima
che incontro
mi trovo
languente
che
una volta
già gli ero stato
assuefatto
E me ne stacco sempre
straniero
Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute
Godere un solo
minuto di vita
iniziale
Cerco un paese
Innocente
(G. Ungaretti, Vita d’uomo, 399; 85).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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