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Presto di mattina. Dilexit nos, la lettera enciclica di Papa Francesco

Dilexit nos

Fa piaga nel Tuo cuore
la somma del dolore
che va spargendo sulla terra l’uomo;
il tuo cuore è la sede appassionata
dell’amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
astro incarnato nell’umane tenebre,
fratello che t’immoli
perennemente per riedificare
umanamente l’uomo
(G. Ungaretti, Vita d’uomo, Tutte le poesie, Milano 1996, 229-230).

«Dilexit nos. Così inizia l’ultima, appassionata e lunga Lettera apostolica (24 ottobre 2024) di papa Francesco Sull’amore umano e divino del cuore di Cristo: «“Dilexit nos. Ci ha amati”, dice San Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37) per farci scoprire che da questo amore nulla “potrà mai separarci”(Rm 8,39).»

E così, nel cono di luce del testo poetico di Ungaretti, mai logoro, mai scontato, sempre umanamente e cristianamente ispirante, sorprendente e palpitante in me, mi sono incamminato nella lettura di questa lettera che sembra porsi come momento ricapitolativo e sintetico del magistero e della spiritualità di papa Francesco.

Già nel 2013 egli scriveva in Evangelii Gaudium n. 171 (2013): «La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale … Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore.

Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo… Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso “si fece povero” (2 Cor 8,9) e assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore (ivi, 173; 197).

«Far innamorare il mondo» (DN 205)

Far innamorare il mondo «dell’amore non vano».

Scriveva ancora Francesco nell’Esortazione Querida Amazonia (2020): «Cristo ha redento l’essere umano intero e vuole ristabilire in ciascuno la capacità di entrare in relazione con gli altri. Il Vangelo propone la carità divina che promana dal Cuore di Cristo e che genera una ricerca di giustizia che è inseparabilmente un canto di fraternità e di solidarietà, uno stimolo per la cultura dell’incontro» (QA, 22).

Non dobbiamo allora pensare a quest’ultima Lettera come una deriva devozionale e neppure nostalgica verso un’impostazione tradizionalista del rapporto tra Chiesa e società. Il culto del Sacro Cuore fino al Concilio Vaticano II ha rappresentato una delle forme più diffuse e popolari della religiosità cattolica originatasi nell’esperienza dei mistici, continuata come tratto qualificante di molte esperienze spirituali, ma pure connessa con l’instaurazione del regno sociale di Cristo, che diventò poi il punto di riferimento sul modo dell’agire e dell’impegno dei cattolici nella storia tra ottocento e novecento.

Il culto riemerge nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, dove “il regno del S. Cuore” è indicato come rimedio ai mali della modernità politica e sociale. (Cf. Daniele Menozzi, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma, Viella, 2002).

«Far innamorare il mondo» è la chiave di lettura: «Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune.

Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre» (DN 217-218).

Cuore: una parte per il tutto

L’intento della Lettera è quello di presentare il cuore come il simbolo reale dell’affezione e dedizione appassionata di Gesù per i suoi fratelli; il luogo da cui scaturisce la Parola di Dio – il suo amoroso palpito – agli uomini come ad amici per intrattenersi con essi e invitarli ed ammetterli alla comunione con sé (Dei Verbum 1).

«Il cuore ha il pregio di essere percepito non come un organo separato, ma come un intimo centro unificatore e, allo stesso tempo, come espressione della totalità della persona, cosa che non succede con altri organi del corpo umano. Se è il centro intimo della totalità della persona, e quindi una parte che rappresenta il tutto, possiamo facilmente snaturarlo se lo contempliamo separatamente dalla figura del Signore.

L’immagine del cuore deve metterci in relazione con la totalità di Gesù Cristo nel suo centro unificatore e, contemporaneamente, da quel centro unificatore, deve orientarci a contemplare Cristo in tutta la bellezza e la ricchezza della sua umanità e della sua divinità» (DN 55).

Così il Sacro Cuore è anche il simbolo reale della umanità di Dio in Gesù Cristo che ci viene incontro soccorrevole ed ospitale; l’umanità di un cuore fidente, sempre aperto e da cui fluisce, attraverso il Figlio, l’amore inesauribile del Padre. Più di tutti Gesù ha vissuto la vita, l’esclusione e la morte degli uomini, degli ultimi; sapendo questo si potrà essere come lui cuore aperto, umanità ospitale. «Senza questa passione per l’uomo galleggeremmo come pezzi di ghiaccio sulla corrente della nostra epoca» (Pierre Teilhard de Chardin).

Cuore è quella parola che l’uomo userà sempre perché è quel principio in cui l’uomo rimane con sé e al tempo stesso confina con Dio, il cui cuore sconfina e sprofonda nel cuore del mondo come suo mistero. È nel cuore che l’uomo è inquinato, torbido, oppure limpido, trasparente; nel cuore gioisce o si dispera, maledice o benedice; è il luogo del bene e del male, del suo pianto e del suo sorriso, del suo nascondersi o manifestarsi, terra desolata o giardino segreto, roveto ardente di intimità e rivelazione; nel cuore l’uomo si perde e si ritrova, si chiude o si dona, ferito viene guarito da un altro cuore:

«In diverse modalità il Cuore di Cristo è stato presente nella storia della spiritualità cristiana. Nella Bibbia e nei primi secoli della Chiesa appariva nella figura del costato ferito del Signore, come fonte della grazia o come richiamo a un intimo incontro d’amore» (DN 78).

Il cuore di Cristo: maestro degli affetti

La Lettera di papa Francesco si compone di cinque capitoli. Nel I° troviamo: L’importanza del cuore; Che cosa intendiamo per cuore; Ritornare al cuore; Il cuore riunisce i frammenti (DN 2-3; 9; 17). Nel II° capitolo il papa ritrae il profilo di Gesù, il modo con cui egli ha amato e ci ama: Gesti e parole di amore come Gesti che riflettono il cuore e così da rivelare Il suo sguardo su di noi e Le sue parole ancora per noi: la sua stessa vita pro nobis.

Nel capitolo terzo Questo è il cuore che ci ha tanto amato (Dn 48) e in quelli successivi si dà risonanza e si sviluppa un interessante percorso spirituale e storico del formarsi del culto del Sacro Cuore radicato nella tradizione biblico-patristica e poi manifestato nella mistica e spiritualità francese e nelle sue varie correnti che hanno il loro background nelle rivelazioni di s. Margherita Maria Alacoque (Verosvres, 22 luglio 1647 – Paray-le-Monial, 17 ottobre 1690).

Stranamente non è ricordato nella Lettera P. Teilhard de Chardin. Lo sottolineo perché nei Tre racconti alla Benson, del tempo della Guerra 1915-18, quando era portaferiti al fronte, vi troviamo il racconto del Quadro scritto contemplando un dipinto del Cuore di Gesù, in cui il Cristo gli si rivela come colui che è presente.

Un testo che diviene l’orizzonte entro cui si delinea l’esperienza della fede di P. Teilhard: il presente vissuto come memoria che attinge continuamente alla sua sorgente cristica; il Cristo come colui che è atteso e così apre l’orizzonte al futuro in un contesto senza futuro: la guerra: il Cristo veniente.

Con questi ultimi tre capitoli si offe e si apre alla fede uno spazio agli affetti, una guida esperienziale di tanti credenti per vivere nell’attualità l’esperienza spirituale personale, l’impegno con Cristo come impegno civile ed ecclesiale, comunitario e missionario.

L’umanità di Dio è nascosta nel cuore del Figlio amato e attraverso la ferita di quel cuore con la sua parola ci ammaestra, mentre con il suo silenzio ci fa conoscere la presenza e l’amore del Padre: «L’immagine del cuore ci parla di carne umana, di terra, e perciò ci parla anche di Dio che ha voluto entrare nella nostra condizione storica, farsi storia e condividere il nostro cammino terreno» (DN 58).

Scrive papa Francesco che «la spiritualità della Compagnia di Gesù ha sempre proposto una “conoscenza interiore del Signore per meglio amarlo e seguirlo. Sant’Ignazio ci invita, nei suoi Esercizi Spirituali, a metterci davanti al Vangelo che ci dice che “il costato [di Gesù] fu ferito con la lancia e venne fuori acqua e sangue”. Quando l’esercitante si trova davanti al costato ferito di Cristo, Ignazio gli propone di entrare nel Cuore di Cristo. Questa è una via per maturare il proprio cuore per mano di un “maestro degli affetti”, secondo l’espressione usata da San Pietro Favre in una delle sue lettere a Sant’Ignazio» (DN 144).

«Il fuoco», l’ignoto del cuore (DN 24)

«Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9)» (DN 211). Nell’iconografia classica del Sacro Cuore questi è sormontato da una fiamma ardente come a ricordare l’esperienza del Roveto ardente, attraverso cui Dio chiama Mosè per inviarlo a liberare il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e proporgli la sua alleanza.

Il fuoco che arde senza consumare l’altro fa del cuore il luogo di una comunicazione con l’Inatteso, con l’Ignoto, con colui che lo fa partire verso un altrove e un nuovo inizio. L’ignoto del cuore per l’uomo è quel “Tu” che lo rivela a se stesso, dice la sua identità e missione.

Scrive papa Francesco che «colui che interroga il fuoco capisce di essere il “tu” di Dio e che può essere un “sé” perché Dio è un “tu” per lui. Il fatto è che solo il Signore ci offre di trattarci come un “tu” sempre e per sempre. Accettare la sua amicizia è una questione di cuore e ci costituisce come persone nel senso pieno del termine», (DN 25).

L’espressione ricordata dal papa “l’Ignoto del cuore” è presa da un testo di Michel de Certeau: «Qualcosa di inaspettato comincia a parlare nel cuore della persona, qualcosa che nasce dall’inconoscibile, rimuove la superficie di ciò che è noto e vi si oppone. È l’origine di un nuovo “ordinamento della vita” a partire dal cuore. Non si tratta di discorsi razionali che bisognerebbe mettere in pratica traducendoli nella vita, come se l’affettività e la pratica fossero semplicemente conseguenze – dipendenti – di un sapere assicurato» (DN 24).

Cor ad cor loquitur

Con la parola cuore l’uomo designa l’esperienza che ha del suo “centro eccentrico”, la sua struttura relazionale e dialogica. Uditore e portatore della parola, dona attraverso di essa il suo amore. Il cuore è costitutivo del suo poter essere in sé, del suo uscire da sé stesso e ritornare in sé, non già attraverso una dialettica, ma attraverso gli affetti che sono la conoscenza del cuore dialogico: cuore dialogico, cuore che parla al cuore.

E nella lettera si ricorda San John Henry Newman che «scelse come proprio motto la frase “Cor ad cor loquitur”, perché, al di là di ogni dialettica, il Signore ci salva parlando al nostro cuore dal suo Sacro Cuore. Perciò Newman trovava nell’Eucaristia il Cuore di Gesù vivo, capace di liberare, di dare senso ad ogni momento e di infondere nell’uomo la vera pace» (DN 26).

Così papa Francesco è convinto che il mondo può cambiare a partire dal cuore: «Solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli, perché anche la pacificazione è compito del cuore».

Un Dio sensibile all’umano, quello che si rivela nel cuore del Cristo, amante della vita che nulla disprezza di quanto vive, soffre, muore.

«Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale. Prendere sul serio il cuore ha conseguenze sociali.

Come insegna il Concilio Vaticano II, “ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino”.  Perché “gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo”.

Di fronte ai drammi del mondo, il Concilio invita a tornare al cuore, spiegando che l’essere umano “nella sua interiorità, trascende l’universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino”» (DN 28-29).

Il cuore, «pensoso palpito»

Per Ungaretti le ragioni della poesia sembrano essere proprio le stesse ragioni del cuore; egli portava nelle parole l’immenso nel cuore: «M’illumino d’immenso», il suo dolore e la sua luce il suo restringersi e il suo dilatarsi oltre le tenebre. Così nel cuore «l’unico fuoco della mia speranza» e parole «per dirmi che sei fuoco/ Che consuma e riaccende»; dentro al cuore dimorano «non ore vane».

Cuore sospeso, inquieto cuore disperso, crudele; un cuore piagato: «Ma nel cuore/ nessuna croce manca /È il mio cuore/ il paese più straziato».

Il desiderio del cuore:

«era il battito del mio cuore che/ volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei/ miei maggiori di una terra disperatamente amata».

La preghiera del cuore:

«dovrebbe toccar il cuore della gente di questo secolo, – scrive Ungaretti – nel quale non c’è casa che non sia stata visitata dal dolore di questi nostri tempi, nei quali, in mezzo alla cupidigia, e in modo che, a memoria d’uomo, per numero di moltitudini compromesse e accavallarsi di rivolgimenti, non ha riscontro, si son fatti largo l’egoismo e la rassegnazione, di questi anni, nei quali son così visibili la fralezza e la maestà dell’uomo» (Vita d’uomo, XLI).

Nel cuore le ragioni della speranza

Attraverso la parola scrive ancora Ungaretti: «si trattava di cercare ragioni di una possibile speranza nel cuore della storia stessa: di cercarle, cioè, nel valore della parola» (Ragioni d’una poesia, ivi, LXXXIII).

«Il poeta d’oggi ha il senso acuto della natura, è poeta che ha partecipato e che partecipa a rivolgimenti fra i più tremendi della storia. Da molto vicino ha provato e prova l’orrore e la verità della morte. Ha imparato ciò che vale l’istante nel quale conta solo l’istinto…

Ecco come dal poeta è colta oggi la parola, una parola in istato di crisi – ecco come con sé la fa soffrire, come ne prova l’intensità, come nel buio l’alza, ferita di luce. Ecco un primo perché la sua poesia sanguina, è come uno schianto di nervi e delle ossa che apra il volo a fiori di fuoco, a cruda lucidità che per vertigine faccia salire l’espressione all’infinito distacco del sogno. Ecco perché si muove la sua parola dalla necessità di strappare la maschera al reale, di restituire dignità alla natura, di riconferire alla natura la tragica maestà» (ivi, LXXVII-LXXVIII).

Oggi il poeta sa e risolutamente afferma che la poesia è testimonianza d’Iddio, anche quando è una bestemmia. Oggi il poeta è tornato a sapere, ad avere gli occhi per vedere, e, deliberatamente, vede e vuole vedere l’invisibile nel visibile. Oh, egli non cerca di violare il segreto dei cuori. Egli sa che spetta solo a Dio leggere infallibilmente nell’abisso dei singoli e conoscere veramente il passato, il presente e l’avvenire. Egli poi sa anche che il cuore umano non è quella buca che credono i libertini piena di lordura. Egli sa che nel cuore dell’uomo non si troverebbe che debolezza e ansia – e la paura, povero cuore, di vedersi scoperto» (ivi, LXXX-LXXXI).

Il segreto del poeta nel palpito del cuore

Il segreto del poeta:
Solo ho amica la notte.
Sempre potrò trascorrere con essa
D’attimo in attimo, non ore vane;
Ma tempo cui il mio palpito trasmetto
Come m’aggrada, senza mai distrarmene.
Avviene quando sento,
Mentre riprende a distaccarsi da ombre,
La speranza immutabile
In me che fuoco nuovamente scova
E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce
(ivi, 253).

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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