Con voi
«Il Papa è con voi»: questo il saluto di Francesco per la VIa Giornata mondiale dei Poveri diffuso dal suo Osservatore di Strada, che sarà distribuito domani dai poveri in piazza San Pietro. «Abbraccio ciascuno di voi che portate sulle spalle, sul cuore il peso dell’esclusione. Quello che per il mondo è scarto per Cristo è bellezza».
Proprio domani, domenica 13 novembre, le comunità cristiane ricorderanno questa giornata. I poveri, da sempre sono nostra provocazione e ricchezza, perché nel loro vuoto e nella loro esclusione sono i portatori di Cristo.
«I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me»: questo detto di Gesù è riportato da tutti e quattro gli evangelisti (Mc 14,7; Mt 26:6-13; Gv 12:1-8; Lc 7:36-50) a testimonianza dello stretto legame che Gesù stesso instaura tra sé e i poveri, ai quali affida la Sua presenza nella storia.
Gesù, infatti, non solo sta dalla parte dei poveri, ma ha voluto condividere con loro la stessa sorte. Così la sua condizione, la spogliazione di Cristo e quella dei poveri sono una grazia da ricevere: la grazia della sua presenza come quella del vangelo e del pane spezzato sulla mensa eucaristica; grazia da accogliere come la nostra stessa vita, come forza di risurrezione per la nostra stessa vita.
Nel mensile dell’omonimo quotidiano del Papa è riportato pure il suo messaggio che ha per titolo un testo paolino: «Gesù Cristo si è fatto povero per voi (2 Cor 8,9)».
«Dovunque si volga lo sguardo, si constata come la violenza colpisca le persone indifese e più deboli… Davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede attraverso il coinvolgimento diretto…
Se vogliamo che la vita vinca sulla morte e la dignità sia riscattata dall’ingiustizia, la strada è la sua: è seguire la povertà di Gesù Cristo… La solidarietà, è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra».
Una Giornata che arriva da lontano
È stata istituita da papa Francesco il 20 novembre 2016 con la lettera apostolica Misericordia et misera [Qui] − diffusa al termine del Giubileo straordinario della misericordia; fu però in una precedente occasione – egli disse – di avere avuto l’intuizione di una giornata per i poveri.
Era l’11 novembre, memoria liturgica di san Martino di Tours, dieci giorni prima della chiusura del giubileo e papa Francesco era nell’Aula Paolo VI, presenziava al Giubileo delle persone socialmente escluse. Erano presenti nell’aula quattromila persone senza fissa dimora, alcuni delle quali raccontarono la loro vita.
Infine alcuni clochards, ponendogli le mani su una spalla e su un braccio, pregarono con lui. Tra loro c’era anche Étienne Villemain, fondatore nel 2010 dell’Associazione Lazare, dedita alla solidarietà nei confronti dei senza fissa dimora che gli chiese: «Santità, non potrebbe istituire una Giornata mondiale dei poveri?». Il Papa ascoltò le sue parole e sorrise.
Due giorni dopo, il 13 novembre, nella Basilica di San Pietro, Francesco presiedeva la Messa conclusiva del Giubileo delle persone socialmente escluse e all’omelia disse: «Vorrei che oggi fosse la “Giornata dei poveri”».
Così una settimana dopo quel desidero diventò realtà: «Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfr. Lc 16,19- 21), non potrà esserci giustizia né pace sociale».
Sono così arrivate a sei le giornate mondiali dei poveri, come i sei giorni della creazione, come quelli della nostra settimana: l’agire di Dio nella sua alleanza con la creazione e con noi, chiamati alla fraternità e alla cura della terra, è anche un nostro agire, nostra responsabilità da vivere nella quotidianità perché la nostra umanità non impoverisca di speranza e di vita: nostro “impegno con Cristo”.
I temi delle giornate dei poveri
- Non amiamo a parole ma con i fatti (2017) [Qui]
- Questo povero grida e il Signore lo ascolta (2018) [Qui]
- La speranza dei poveri non sarà mai delusa (2019) [Qui]
- “Tendi la tua mano al povero” (cfr. Sir 7,32) (2020) [Qui]
- «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7) (2021) [Qui]
- Gesù Cristo si è fatto povero per voi (cfr. 2 Cor 8,9) (2022)
Con questa giornata il Papa chiede un approccio differente alla povertà. Lo stesso che già aveva auspicato nelle precedenti sue esortazioni e lettere encicliche:
«Non si tratta (…) di avere verso i poveri un comportamento assistenzialistico, come spesso accade; è necessario invece impegnarsi perché nessuno manchi del necessario. Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto.
Pertanto, “nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. […] Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale”» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 201).
«È urgente trovare nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali “concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che unisca i popoli” (Enc. Fratelli tutti, 169).
Bisogna tendere invece ad assumere l’atteggiamento dell’Apostolo che poteva scrivere ai Corinzi: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza» (2 Cor 8,13).
Non lasciarti rubare il cuore dalla paura
Scriveva don Primo Mazzolari [Qui] al tempo del miracolo economico italiano 1958-1963: «Pare assai comodo non vedere i poveri. Quella dei poveri, come quella di Dio, è una presenza scomoda. Sarebbe meglio che Dio non fosse; sarebbe meglio che i poveri non fossero: poiché se Dio c’è, la mia vita non può essere la vita che conduco; se i poveri ci sono, la mia vita non può essere la vita che conduco.
Non fa paura il povero, non fa paura la voce di giustizia che Dio fa sua, fa paura il numero dei poveri. Io non ho mai contato i poveri, perché i poveri non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano…
Invece, la paura non ha mai suggerito la strada giusta. Ieri la paura pagò i manganellatori: oggi non vorrei che foraggiasse i reazionari, invece d’incominciare finalmente un’opera di giustizia verso coloro che hanno diritto alla giustizia di tutti» (La parola ai poveri, La Locusta, Vicenza 1960. 24; 36-37).
C’è una povertà che fa vivere e libera la vita e c’è una povertà che rende schiavi e fa morire. Occorre pertanto mettersi a cercarla, partendo dal non lasciarti anestetizzare, paralizzare il cuore e con il cuore la libertà di amare e di accogliere coloro che vengono da lontano e di sollevare chi è vicino e vive in povertà e ristrettezze; rialzando lui risolleverai anche te e quelli con te.
Se si mantiene fisso lo sguardo su Gesù, se si impara a guardare con i suoi occhi scoprirai che i poveri non porteranno via a te qualcosa, ma sarai tu invece a rubare il loro tesoro più prezioso: il vangelo che è in loro, il Regno di cui sono eredi e che da sempre è annunciato a loro.
Accade che quando li incontri è proprio il vangelo che silenziosamente, nascostamente è annunciato anche a te: i poveri sono ad un tempo gli evangelizzati e gli evangelizzatori delle comunità cristiane anche oggi.
La ricchezza che loro portano è proprio la stessa ricordata da Paolo: «Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).
Povero per noi
Il testo paolino è tratto da una vicenda che vede protagonisti l’apostolo Paolo e la comunità di Corinto da lui fondata. Si trattava di rispondere ad una richiesta di aiuto da parte delle comunità cristiane di Gerusalemme, per far fronte alla loro povertà legata alla carestia che aveva colpito la regione e provocato una moltitudine di poveri e affamati.
Così Paolo, per aprire i cristiani della comunità alla solidarietà, invita i fedeli a volgere il loro sguardo a Gesù, alla smisuratezza del suo amore per noi. A guardare a colui che ha assunto su di sé la condizione umana in tutte le sue fragilità e povertà, per poter condividere con noi la ricchezza della sua vita risorta generatrice di fraternità.
Scrive il Papa: «Penso in questo momento alla disponibilità che, negli ultimi anni, ha mosso intere popolazioni ad aprire le porte per accogliere milioni di profughi delle guerre in Medio Oriente, in Africa centrale e ora in Ucraina. Le famiglie hanno spalancato le loro case per fare spazio ad altre famiglie, e le comunità hanno accolto con generosità tante donne e bambini per offrire loro la dovuta dignità.
Tuttavia, più si protrae il conflitto, più si aggravano le sue conseguenze. I popoli che accolgono fanno sempre più fatica a dare continuità al soccorso; le famiglie e le comunità iniziano a sentire il peso di una situazione che va oltre l’emergenza.
È questo il momento di non cedere e di rinnovare la motivazione iniziale. Ciò che abbiamo iniziato ha bisogno di essere portato a compimento con la stessa responsabilità.
La solidarietà, in effetti, è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà» (Messaggio, 4; 5).
Povertà che uccide e povertà che libera
Scrive ancora papa Francesco: «La povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita.
È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta.
Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi.
Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento.
La povertà che libera, al contrario, è quella che si pone dinanzi a noi come una scelta responsabile per alleggerirsi della zavorra e puntare sull’essenziale. In effetti, si può facilmente riscontrare quel senso di insoddisfazione che molti sperimentano, perché sentono che manca loro qualcosa di importante e ne vanno alla ricerca come erranti senza meta.
Desiderosi di trovare ciò che possa appagarli, hanno bisogno di essere indirizzati verso i piccoli, i deboli, i poveri per comprendere finalmente quello di cui avevano veramente necessità.
Incontrare i poveri permette di mettere fine a tante ansie e paure inconsistenti, per approdare a ciò che veramente conta nella vita e che nessuno può rubarci: l’amore vero e gratuito. I poveri, in realtà, prima di essere oggetto della nostra elemosina, sono soggetti che aiutano a liberarci dai lacci dell’inquietudine e della superficialità» (Messaggio, 8).
Andare dai poveri per costruire una cosa nuova
Ancora una pagina provocante, così ancora attuale di don Mazzolari: «Diteci allora dove si può conoscere il povero. Dove sta di casa: dove soffre e attende che qualcuno gli si metta vicino: dove si prepara la redenzione o il perdimento dell’uomo.
I destini del mondo si maturano in periferia. Nelle piazze e nei parlamenti si fanno gli affari e la politica; ma l’umanità si degrada o si eleva in periferia, ove molti vanno a far questua di voti o di peggio, come se il dolore potesse essere sfruttato al pari della fatica senza che gridi vendetta a Dio» (La parola ai poveri, 52).
Non può nascere fratellanza se prima l’uomo non rinasce in umanità. E continua: «chi non sente l’amore dell’uomo non può, avere fratelli; e chi non arriva al fratello rischia di cancellare anche l’uomo… Prima del guadagno, c’è l’uomo: prima del diritto al guadagno, c’è il diritto alla vita».
Perché avvenga e maturi questa coscienza è necessario nuovamente ascoltare Cristo nel povero, vederlo nuovamente incarnato in ogni persona e dire come Tommaso, l’incredulo credente: “Sei tu Signore ti riconosco”.
Una nuova città e una cittadinanza solidale, come pure una chiesa rinnovata ed una ecclesialità sinodale capace di annuncio e di incarnazione del vangelo ai poveri, si iniziano a costruire “fuori delle mura”, varcando in uscita la soglia dalle chiese, andando verso quelle periferie spirituali, esistenziali, sociali che sono pure “intra moenia”.
«Bisogna andare dai poveri – rilancia ancora don Primo – È più facile magari andare in chiesa e forse è anche più comodo. I poveri non s’incontrano lungo il corso, o sulle piazze, molto meno nei comizi, ove spesso si alterano i loro connotati, come se il Cristo fosse quello visto dai farisei, da Erode, da Pilato, da Giuda.
Bisogna andare là dove il povero nasconde la sua sofferenza e la nostra ingiustizia. Il più delle volte non ha neanche una casa: “fui senza tetto e non mi accoglieste” (Mt 25, 43)… Il povero – ogni povero – si presenta al cristiano con un diritto di precedenza: col volto e il diritto di Cristo: “Avevo fame, avevo sete, ero senza casa …”.
Chi non capisce il povero non capisce Cristo: chi lascia fuori il povero lascia fuori Cristo, che ancora una volta va a morire fuori delle mura. Le paure del mondo borghese non mi fanno paura: mi fa paura che Cristo vada a morire fuori della città.
Noi abbiamo cattedrali magnifiche, insegne cristiane ad ogni passo, ma se Cristo è in agonia fuori delle mura, coloro che costruiranno la nuova città sono fuori delle mura dove Cristo è in agonia» (La parola ai poveri, 38; 50; 54).
Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]
Sostieni periscopio!
Andrea Zerbini
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
Lascia un commento