Skip to main content

Poveri ma brutti, il ritratto sulle famiglie della Banca d’Italia.

L’indagine sulle famiglie italiane[1] della Banca d’Italia appena uscita con i dati relativi al 2022, mostra un paese impoverito. Nessuno di noi nei gloriosi anni ’70, ispirati dall’idea di progresso, si sarebbe mai aspettato che ci saremmo trovati in condizioni così pessime, non solo per i soldi ma per tutto il resto (che in questo articolo lasciamo perdere perché parliamo solo di soldi). Recita trionfalmente lo studio: “il reddito medio annuo familiare e quello equivalente sono cresciuti in termini reali dell’1,4 e 1,8% rispetto al 2020”, ma poi sommessamente deve aggiungere: “anche se risultano ancora inferiori a quelli osservati nel 2006 prima della crisi finanziaria globale (del 10% e 5%, rispettivamente)”.

Poiché tutto il reddito disponibile delle 26,5 milioni di famiglie (che hanno in media 2,3 componenti) è di circa 1.200 miliardi di euro, significa che gli italiani hanno perso in 20 anni circa 120 miliardi di reddito. Ma non tutti ci hanno perso perché il 20% delle famiglie più abbienti (e soprattutto i ricchi) che hanno il 45,5% del reddito, hanno continuato a crescere e ciò significa che per l’ 80% delle rimanenti famiglie italiane che producono un reddito di 660 miliardi, la perdita è stata di circa il 18-20% in media, e più si è poveri più la perdita è grande.

I redditi da capitale sono cresciuti (al solito) più del Pil e del lavoro (+5,7%) e hanno contribuito a difendere chi li ha, cioè quel 10% di famiglie abbienti che possiede i 2/3 di tutto il patrimonio finanziario del paese (la finanza è ancora più concentrata della ricchezza[2].

La crescita (media) sul 2020 è dovuta anche ad un anno (quello della pandemia) dove i redditi sono calati e occulta il fatto che le medie mitigano i forti aumenti di chi ha redditi alti con chi li ha stazionari o in calo. Peggiorano pensionati e dipendenti poveri, ma migliorano gli autonomi. Scrive la Banca d’Italia per “indorare la pillola”: “Per effetto di questi andamenti, il reddito medio delle famiglie con principale percettore pensionato è peggiorato in termini relativi, passando tra il 2020 e il 2022 dall’86 all’82% della media generale. Nel complesso, la posizione relativa dei nuclei con la persona a più alto reddito lavoratore dipendente è rimasta sostanzialmente stabile (dal 109% al 108%). Per le famiglie che dipendono maggiormente dal lavoro autonomo, invece, il reddito medio familiare è divenuto ancora più elevato rispetto alla media (dal 147% al 149%)”. Continuando ad alzare la flat tax (15% di imposte) per i lavoratori autonomi (fino a 75mila euro di redditi all’anno), il reddito reale di questi lavoratori cresce anche perché aumenta l’evasione fiscale (le sotto dichiarazioni sono cresciute dal 2021 al 2022 da 90 miliardi a 101 miliardi, +9,1%)[3].

Nel biennio, l’indice di Gini (che indica quanto cresce o cala la disuguaglianza) misurato sui redditi equivalenti è aumentato dal 32,8% del 2020 al 33,6% del 2022. Se si considera invece la ricchezza netta pro-capite esso sale al 66%, un dato mostruoso che indica quanto sarebbe importante una tassazione sui patrimoni oltre un certo ammontare (come sta pensando di fare anche in Francia il primo ministro Barnier) e come propongono Ocse, G20 e molte Istituzioni mondiali da anni.

Analizzando la distribuzione delle famiglie per decili vediamo che il 10% delle famiglie più povere (1° decile) guadagna in media 9mila euro all’anno (sono quelle che Istat classifica come poveri assoluti che sono appunto il 9,7% delle famiglie italiane), seguite da quelle che guadagnano 15.500 euro e dal 3° decile che guadagna 19.877 euro. Queste ultime famiglie sono di fatto i poveri relativi (23% delle famiglie dice Istat) che assieme ai poveri assoluti formano il terzo più povero degli italiani che guadagnano da 9mila euro (stiamo parlando di famiglie non di singoli) a poco più di 19mila euro. Poi segue il 10% delle famiglie operaie che guadagnano 24mila euro seguiti da un ceto assimilabile agli operai (insegnanti, etc.) che prendono 28.225 euro. Siamo sempre a livelli modesti anche col 6° e 7° decile, che guadagna rispettivamente 32.874 euro e 38.789. Bisogna far parte dell’ 8° decile per guadagnare 46.502 euro e del 9° per avere 57.945 euro. E’ il nostro ceto medio impoverito, come del resto è avvenuto per tutti gli altri. Solo il 10° decile può dirsi ricco, quello del 10% delle famiglie che guadagnano 105.298 euro in media all’anno e che detengono il 28% del reddito nazionale.

Uno spaccato di un paese impoverito in modo impressionante rispetto a quello che era l’Italia solo 30 anni fa, se si considera il potere d’acquisto di questi redditi.

Come abbiamo visto, il reddito medio è cresciuto per i lavoratori autonomi il triplo (+2,8%) rispetto a quello dei dipendenti (+0,8%), mentre cala quello dei pensionati (-2,6%) e soprattutto per di chi contava su trasferimenti pubblici statali (poveri, disabili, etc.: -15,4%). Dopo il brusco calo registrato durante la pandemia, nel 2022 la spesa media familiare è tornata ad aumentare del 5,7% in termini reali rispetto al 2020, sostenuta soprattutto dalla componente dei beni durevoli. La spesa delle famiglie appartenenti al quinto (20%) più alto della distribuzione del reddito è aumentata di circa l’11%, in connessione con il forte recupero degli acquisti più voluttuari e di lusso, mentre quella delle famiglie appartenenti al quinto più basso ha continuato a diminuire (-2%). E ciò spiega la crescente presenza di marchi di lusso che lavorano per quel 10% di famiglie che hanno redditi che vanno da 80mila euro a un milione all’anno.

 

Il recupero della spesa (in aumento sul 2020, anno della pandemia) è stato solo parzialmente compensato dall’incremento del reddito; ne è conseguita una riduzione del risparmio familiare[4], pari in media al 7%, nonostante che la rilevazione dica che più della metà delle famiglie ha avuto un risparmio nullo: questa quota sale al 70% per le famiglie appartenenti al quinto più basso della distribuzione del reddito e scende al 28% per quelle appartenenti al quinto più alto.

 

La ricchezza e la sua distribuzione

La ricchezza media netta era nel 2022 di 296mila euro a famiglia (comprende anche il valore della casa che in Italia cresce poco), in crescita a prezzi costanti dell’1,8% rispetto al 2020; quella mediana (che separa la metà meno ricca delle famiglie dalla metà più ricca) era pari a 152mila euro ed è invece diminuita del 2%. La quota detenuta dal 10% più abbiente è salita di circa 2 punti, al 52%. Se consideriamo il 30% più ricco esso possiede il 77,2% dell’intera ricchezza nazionale.

Il 10% più povero possiede solo lo 0,1%, del resto sappiamo dall’Istat che i poveri assoluti in Italia sono nel 2023 il 9,7% della popolazione (5,694 milioni, di cui 1,7 stranieri) che corrispondono grosso modo al 1° decile (10% della popolazione), 20mila in più del 2022 (5,674 milioni), ma la percentuale delle famiglie povere assolute che hanno un “capofamiglia” operaio sale dal 14,7% del 2022 a 16,5% del 2023 (era del 2,8% nel 2006). Tra tutte le famiglie povere con occupati salgono dall’1,9% del 2006 all’8,2% del 2023. Una crescita dovuta ai bassi salari e all’elevata inflazione degli ultimi anni che li avvicina ai poveri assoluti con capofamiglia disoccupato/a (20,7%). Il dato più elevato è nelle famiglie di stranieri (35,1%) quattro volte quella degli italiani. La Calabria è la regione con il 27% di popolazione in povertà assoluta seguita da Puglia e Campania, ma è al Nord che la povertà sta crescendo (+ 115mila famiglie povere tra Trentino A.A., Emilia-R., Lombardia e Piemonte). Stiamo parlando di poveri assoluti così calcolati dall’Istat: per un adulto (di 30-59 anni) che vive solo e risiede in comune centro dell’area metropolitana in Piemonte, la soglia di povertà è pari a 932 euro mensili; in Sicilia è pari a 757 euro mensili; se risiede in comune centro dell’area metropolitana della Lombardia, a 1.217 euro; mentre se risiede in un piccolo comune della Puglia tale soglia è pari a 717 euro. Se quindi cresce l’occupazione in Italia[5], di pari passo crescono i poveri[6], permane una vasta economia sommersa e crescono i lavoratori poveri. E ciò spiega perché cresce il lavoro nero tra le famiglie[7]. Alla situazione di bassi salari nel lavoro regolare si aggiunge il lavoro irregolare che è ancora nel 2022 pari a 3 milioni di unità d lavoro (2,986 milioni lo stima Istat), seppure in calo di mezzo milione rispetto al 2019 per via della “bonifica in edilizia”[8].

Si conferma quindi come siamo passati in 50 anni dalla società dei 2/3 alla società di 1/3, nel senso che solo un terzo delle famiglie beneficia (in termini di soldi) di questo modello di sviluppo e 2/3 si vanno impoverendo anche nei decili del ceto medio (6, 7°, 8°).

Questa figura evidenzia in un’ottica di lungo periodo (1987-2022) i redditi delle famiglie di alcuni decili (suggeriti dalla Banca d’Italia). Le due linee più alte sono il 9° decile (quello appena sotto i ricchi che stanno al 10°) che rappresenta il ceto medio alto e il 3° quartile (ceto medio), entrambi in caduta. Seguono media e mediana, mentre le due linee più basse sono il 1° quartile e il 1° decile, in lieve ripresa ma sotto i livelli del 1989 e del primo decennio del 2000.

 

Per quanto riguarda la proprietà della casa, è noto che gli italiani sono molto legati all’idea di averne una propria, quindi appena possono la comprano. Tutte le famiglie con un minimo di possibilità sono proprietarie di casa[9]. Nella colonna successiva ho indicato (è una mia stima) il numero di seconde case possedute in base ai quinti. Come si poteva immaginare il 40% dei più abbienti possiede 4,7 milioni di seconde case (su 5,6 milioni che sono in totale in Italia). Un fenomeno che si estende (anche se molto meno) tra le famiglie povere, le quali sono più spesso in affitto. Politiche che favoriscono la seconda casa sono ovviamente regressive, com’è stato col superbonus, mentre quelle che favoriscono case popolari e affitti contenuti sono il modo migliore per aiutare poveri e operai (che ancora esistono). I lavoratori dipendenti in affitto nelle grandi città (specie se giovani o donne sole con figli) sono annoverabili ormai tra i lavoratori poveri[10]. In Italia l’8,5% di chi è in affitto in città spende più del 40% del proprio reddito (10,6% la media UE, Grecia e Danimarca sono le più costose con 27% e 22%, Housing in Europe, 2023) e nessun piano esiste a differenza degli anni ’60 e ’70.

Se si considera invece solo il patrimonio finanziario (azioni, obbligazioni, depositi bancari) il 10% più ricco detiene i 2/3 (64%) di tutta la ricchezza finanziaria, il 2° decile più ricco il 12,1%, il 3° decile il 7,1%. In sostanza il 20% più ricco detiene il 76,1% e il 30% più ricco 83,2%, mentre il restante 70% degli italiani possiede il 16,8%. Il gruppo dei più ricchi si è difeso meglio dall’inflazione in quanto i rendimenti finanziari (gestiti da banche e fondi specializzati) hanno reso negli ultimi 3-4 anni più dell’inflazione.

La quota di famiglie indebitate è rimasta stabile al 26%. Il 25% delle famiglie più povere hanno una rata media di 3.754 euro all’anno (che incide del 21% sul loro reddito), la rata annua del 25% delle più ricche è 8.718 euro (che incide del 14,5% sul loro reddito). E più la famiglia ha un reddito elevato più aumenta la percentuale delle famiglie che si indebitano per acquistare una casa, come dimostra il mercato delle case di proprietà che è più dinamico di quello degli affitti (per la mancanza di case in affitto). Il che indica quanto sarebbe necessario un programma di edilizia pubblica popolare (sono 800mila le case attuali ma almeno la metà inabitabili)[11].

Per la povertà relativa usiamo alcuni dati relativi agli individui a basso reddito, pari al 60% della mediana in serie storica. Come si vede nella tabella allegata crescono dal 19,6% del 2006 al 23,9% del 2022, in lieve calo rispetto al periodo 2012-2016 (26,9%) nel quale si era dispiegata la recessione italiana dopo il 2008. Il dato sale al 41,5% per gli stranieri ma rimane alto anche per gli italiani (22,4% e in crescita sul 2006). E’ più basso al Nord (14,3%) ma è quasi raddoppiato rispetto al 2006, in quanto probabilmente include molti stranieri che hanno lavori stagionali e precari, di cui il Nord ha sempre più bisogno.

In conclusione una società in cui finanza ed economia (il nuovo “Dio quattrino” al posto del “Dio trino”) generano sempre più disuguaglianza, inquinamento, distruzione della Natura e i cui vantaggi (in termini solo di soldi) vanno a sempre meno persone.

 

[1] Campione di 9.641 famiglie (erano 6.239 nel 2020) viene svolta ogni 2 anni dalla Banca d’Italia https://www.bancaditalia.it/media/notizia/indagine-sui-bilanci-delle-famiglie-italiane-nell-anno-2022/ (

[2] Per esempio sono 3 milioni gli italiani che posseggono bitcoin per circa 2,5 miliardi che sono tassati (in caso di plusvalenze) al 26% e non si vuole portarli al 42%. Sono in gran parte nel portafoglio azionario del 20% delle famiglie più ricche.

[3] Vedi il rapporto Istat sull’ “Economia non osservata” (sarebbe il lavoro nero e irregolare, le fatture non fatte per 101 miliardi) che è pari al 10% del totale dell’economia. Il lavoro irregolare pesa per 69 miliardi e altri 20 miliardi sono per droga e prostituzione.

[4] Le motivazioni del risparmio sono la volontà di mettere da parte risorse in vista della vecchiaia o per fronteggiare eventi inattesi o incerti; le famiglie più abbienti vi aggiungono il sostegno economico per i figli eredi.

[5] L’occupazione è cresciuta negli ultimi 12 mesi di 494mila unità (agosto 2024 su agosto 2023), ma non dobbiamo dimenticare che siamo al 62,3% di tasso di occupazione, quando nei paesi europei floridi è prossima all’80% e che non sono giovani e donne a beneficiare dii questo “boom” ma adulti e anziani con bassi salari.

[6] Nel 2023 il reddito di cittadinanza è stato ridotto a 7 mesi per le famiglie “occupabili” e nel 2024 si vedranno probabilmente gli effetti della riduzione dell’”assegno di inclusione” (ora si chiama così) che passa da 1,4 milioni di famiglie a 700mila.

[7] Le famiglie sono da un lato impoverite, dall’altro hanno sempre più bisogno di colf e badanti, che sono il doppio dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (1,5 milioni), di cui la metà in nero. E l’immigrazione irregolare e anche la non regolarizzazione dei 600mila immigrati presenti in Italia favorisce sia le imprese che le famiglie che cercano lavoratrici e badanti in nero.

[8] Permane alto in agricoltura (17% sul totale occupati), nei trasporti, turismo e commercio (15%) e cresce nei servizi alla persona, colf , badanti dove è al 39%.

[9] 94% nel quinto delle famiglie più ricche, 86% nel 4° quinto, 79% nel 3° quinto e 69% nel 2°. Solo il 1° quinto (20%) delle famiglie più povere scende al 43% come proprietari di casa.

[10] L’affitto medio pagato dalle famiglie povere in Italia è di 351 euro al mese, 435 euro quello delle famiglie operaie.

[11] Sarebbe stato molto più efficace a favore dei ceti deboli se al posto dell’incentivo del superbonus (122 miliardi di spesa) si fossero ristrutturate tutte le 800mila case popolari facendole salire di classe energetica e poi costruendole o, meglio, ristrutturandone altre 400mila per una spesa media di 100mila euro cadauna, considerando che metà sono ben messe.

 

Cover photo: Cristo che porta la croce, dettaglio, Hieronymus Bosch

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *



Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it