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Ferrara film corto festival

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Biografia inedita di Picasso, raccontato da Annie Cohen-Solal attingendo dal fascicolo di Polizia, che lo spiava come pericoloso in quanto straniero

Una curatrice d’arte fuori dagli schemi, vulcanica, passionale e a caccia degli aspetti sociologici e umani ancor prima di quelli artistici, che è riuscita ad aggiungere un tassello appassionante e sconosciuto alla biografia di uno dei massimi artisti del Novecento come Pablo Picasso. Lei è Annie Cohen-Solal, ospite del Festivaletteratura di Mantova 2024 nella giornata di giovedì 5 settembre. L’incontro è stato preceduto dall’inaugurazione della mostra “Picasso a Palazzo Te. Poesia e Salvezza” da lei stessa curata nelle sale del centro d’arte mantovano, progettato e decorato da quel grande protagonista del Rinascimento e del Manierismo cinquecentesco che è Giulio Romano.

L’esposizione mantovana
“Picasso a Palazzo Te. Poesia e Salvezza”
Succession Picasso by Siae 2024 (foto G.M.Pontiroli)

Annie ha raccontato con enfasi un “Picasso esule” in cui ha senz’altro ritrovato qualcosa della sua storia di ragazza nativa d’Algeria, all’epoca colonia francese, arrivata quattordicenne in Francia ed educata alla cultura francese, ma senza riuscire a risultare “mai abbastanza integrata agli occhi delle compagne ‘completamente’ francesi” . Sul palco del Festivaletteratura – ritta in piedi “alzata, come fossi al timone di una barca” – al centro della piazza Castello costruita all’interno del palazzo Ducale di Mantova, Annie ha parlato tutto d’un fiato, bypassando il botta e risposta d’uso con il conduttore, l’editor di Marsilio suo collaboratore e amico Michele Fusilli.

Ammaniti, Cohen-Solal e Fusilli
Festivaletteratura di Mantova (foto GioM)

L’autrice del libro “Picasso. Una vita da straniero”, realizzato grazie a numerose fonti d’archivio finora inedite, ha offerto un racconto inaspettato e originale del pittore cubista, creatore di “Guernica” e star dei musei di tutto il mondo, mettendone in luce la storia privata di artista outsider. Il testo, vincitore del Premio Femina Essai 2021 e definito dalla critica “rivoluzionario”, intreccia due dimensioni: quella della critica dell’arte e quella di studio sociologico sull’immigrazione, che uniti danno forma a una narrazione sviluppata come una sorta di indagine poliziesca su Picasso.

Annie Cohen-Solal all’inaugurazione della mostra al Te

“Ritrovare il maggiore artista del Novecento marchiato perché straniero – dice l’autrice – non fa riflettere forse sugli attuali rigurgiti d’ordinaria xenofobia?”. Il testo segue le orme di Picasso sotto forma di giallo. La base di partenza è infatti il fascicolo di un commissariato alla periferia di Parigi, dove per decenni sono stati annotati spostamenti, iniziative e notizie su Picasso, non in quanto artista, ma in quanto persona straniera e sospetta. “La polizia – dice Annie – guardava quel ragazzo arrivato a 18 anni da Barcellona come un elemento pericoloso per la Francia in cui è venuto, come fanno i ragazzi, seguendo gli amici”, che erano artisti e bohémien. Un Paese dove ha scelto di vivere e lavorare per il resto della sua vita. Eppure, dopo quarant’anni di residenza e mentre già aveva un successo mondiale, si è visto negare la naturalizzazione francese.

Con stupore scopriamo che il genio di Picasso è stato recepito, accettato e apprezzato dalla Francia solo molto tardivamente. Annie racconta, ad esempio, che l’artista aveva voluto regalare ai musei parigini uno dei suoi primi quadri cubisti, il celeberrimo “Les Demoiselles d’Avignon”, ma questi rifiutarono l’opera dichiarata incompatibile con il “buon gusto francese” . Per questo motivo il quadro finì invece al Moma, il Museum of Modern Art di New York, negli Stati Uniti, “dove Picasso venne subito apprezzato, considerato e acquistato da ammirati collezionisti”.

Annie Cohen-Solal illustra la mostra su Picasso a Palazzo Te (foto GioM)

Oltre a Fusilli della casa editrice Marsilio, sul palco con Annie è salito lo scrittore Niccolò Ammaniti, arrivato in ritardo dichiarando di essere venuto “solo per Annie, perché altrimenti non esco mai di casa. E infatti sono nervoso!”.

Ammaniti ha raccontato il primo incontro tra lui e la critica d’arte. Una conoscenza avvenuta per caso, poiché si sono trovati a sedere vicini sul treno diretto a Roma. Da questo incontro casuale è scaturita prima un’amicizia e poi la collaborazione con la stesura del testo introduttivo del libro, in cui Ammaniti racconta la sua versione di Picasso.

“Amo i quadri e le opere d’arte – ha raccontato Ammaniti divertito – ma non sono un grande conoscitore di critica. Non sapevo cosa scrivere, di mio, su Picasso. Poi mi è venuto in mente quanto il suo nome avesse avuto importanza per me da ragazzino, quando al mare indossavo anche una maglietta come Picasso per via dello ‘scoglio Picasso’. È così che chiamavamo la roccia da cui facevamo a gara di tuffi, a Positano. Perché si raccontava che l’artista si tuffasse da lì, dove l’acqua è così bassa che solo i bambini e i ragazzini riescono a non finire con la testa contro il fondale. Per noi quel tuffo era una gara rischiosa, in cui ci gettavamo con un’inclinazione di quarantacinque gradi gridando ‘Picasso!’ per invocare la salvezza di lui che, benché grande e imponente, si narrava fosse riuscito nell’impresa”.

Pubblico all’incontro su Picasso esule (foto GioM)

Il dialogo tra i due autori è stato godibilissimo e spettacolare. Come il racconto di quel Picasso che la Polizia spiava vedendolo come un criminale e che il romanziere-bambino invocava come un talismano. Annie e Niccolò si sono rivelati davanti al pubblico come grandi intrattenitori non solo nella scrittura, ma anche nel racconto del loro primo incontro, piuttosto bizzarro.

A farli conoscere è stata una questione di calzini. “Ero seduto in treno vicino a questa signora – ha ricordato l’autore di ‘Io non ho paura’ – e avevo notato i begli occhi chiari di lei e quelli del suo compagno, tutti intenti invece sullo schermo del computer dove stava scrivendo. A un certo punto lei si è complimentata con me per le calze che indossavo, facendo notare quanto erano belle, mentre mi faceva notare che quelle del marito non erano un granché. Le ho guardate e ho concordato che in effetti avevo dei bei calzini, che oggi ho indossato ancora per l’occasione [e li ha mostrati al pubblico, ndr]. ‘Lui è un genio’, mi ha spiegato Annie indicando Marc Mezard ‘e dobbiamo andare all’Accademia dei Lincei che lo ha eletto nuovo membro dell’istituzione scientifica per l’importanza dei suoi studi di fisica statistica. Ma credo che servirebbero delle calze più belle’. Io ho spiegato che avremmo potuto comprarle non appena arrivati a Roma. Dopodiché lei mi ha raccontato: ‘Io sono una scrittrice famosa in Francia’ e io ho detto una cosa che non mi ero mai azzardato a dire prima, cioè che ‘Anch’io sono uno scrittore famoso’. Ah, ah!”.

Ridono entrambi, ricordando che a quel punto sono andati a guardare reciprocamente i propri nomi su Google, si sono scambiati i numeri di telefono e… poi i calzini! Inevitabile – secondo Annie a quel punto – che dovesse essere Ammaniti a firmare il testo introduttivo del libro su Picasso che stava per pubblicare in Italia.

L’opera di Picasso sulla locandina della mostra “Picasso a Palazzo Te di Mantova”

“Contenta?”, ha chiesto Niccolò. “Certo – ha concluso la ‘scrittrice famosa’ – perché il testo ha quell’originalità di narrazione dell’infanzia che ritorna in tutti i tuoi romanzi”. Un tratto che ben si abbina con l’esuberanza fanciullesca di una signora che arringa il pubblico con l’entusiasmo di una ragazzina. E che, nella sua opera, ripercorre controcorrente le tappe di un altro ragazzo, di origine spagnola, spiato come un outsider sovversivo e che, in effetti, ha finito per rivoluzionare l’intera storia dell’arte.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, MN 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, BO 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici UniFe, Mimesis, MI 2017). Ha curato mostra e catalogo “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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