“Non c’è Vascello che eguagli un Libro | per portarci in Terre lontane | né Corsieri che eguaglino una Pagina | di scalpitante Poesia – | è un Viaggio che anche il più povero può fare | senza paura di Pedaggio – | tanto frugale è il Carro | che porta l’Anima dell’Uomo.“
(Emily Dickinson)
IL VIALE DEI TIGLI
Prende vita dalle foglie
dal profumo del viale di tigli
e dall’ombra sulle ortensie viola
la mia infanzia
Di quel tempo mi sfuggono
i limiti e i contorni
vedo mia madre
e dietro di lei i fiori
e dietro i fiori niente
tra polvere e odore di refettorio
sento l’eco dei miei passi
Dell’amore
ricordo l’infinito passato
e se i fiori del mio giardino
ignorano l’inverno
ai miei sogni chiedo
di indovinare il tempo
Nell’oscurità
scruto un orizzonte nuovo
un niente mai aperto
(Rita Bonetti)
*
Non mi importa di farlo,
devo solo mischiare le realtà, gli uomini e le storie.
Mi faccio abusare emotivamente
per appartenere anche solo per un attimo
a qualcosa o qualcuno.
Mento continuamente solo per dimenticarmi di me.
Mi dispiace. Dove sei. Dove siete. Dove sono.
Vuoto.
Per la prima volta dopo un’eternità
mi sono svegliata pensando che devo trovare uno scopo.
Ma di nuovo sto già dormendo.
Mi ridesto e stanno parlando
ma non di me perché non mi riconosco.
Non ricordo.
Scrivo.
Mi piace scrivere.
Arte!?!! Non saprei.
Vuoto.
Desideravo tanto avere dei bambini.
Ho provato ma il mio ventre li ha espulsi.
Il nulla.
Bevo per non esistere.
Non sono capace di amare, non amo, non mi amo.
Odio quello che sono diventata e ho paura di me stessa.
Continuano a parlare e mi vogliono,
al buio, in silenzio, di nascosto.
Non sono neanche un oggetto da esibire.
Sono il meno di niente.
Un oltraggio alla mia intelligenza
tutto quel parlare del nulla.
Corpi senza cervello, bocche che vomitano suoni stonati.
Dio come sono patetica.
Ma io non credo in dio.
Sono sola ma non ho paura di questo.
Ho paura degli incontri
che mi fanno pesare questa parola in mezzo all’affollamento.
Questo treno vuoto che è la mia vita
va troppo veloce per fermarsi alle troppe fermate.
Non sarò legata a nessuno per sempre
perché non ho una storia da condividere.
E allora sorrido. Sorrido e rido.
Sempre.
IL GRANDE LECCIO
Il grande leccio cadendo non ha emesso alcun gemito
solo il tonfo sordo del tronco tra le felci
e qualche lacrima di linfa a profumare la scure
eppure è ancora così verde di giovani foglie
e le radici, profonde, sono ben salde al suolo
resta a memoria il moncone del fusto reciso:
è un grido disperato che non emette suono,
ma a sera nel camino i rami parlottano tra loro
e una canzone triste si leva dalla fiamma
ha la forma di una silfide che danza
avvolta da scintille e geme con quella voce antica
a cui più nessuno crede a parte poeti e boscaioli.
tra le rocce…un fiore,
un ciuffo d’erba,
nonostante il caldo,
annunciano la vita:
la notte li ha nutriti.
Deserto verticale
appare intorno, ci
sembra scomposto, ma
nasconde la speranza.
Il divino si manifesta qui con
la parola che salva, con ordine…
Da quell’anfratto ogni
azione diviene per noi preghiera.
dal piede, la terra
dalla ruota, l’abbraccio
ma tu computer, che ne sai
del vento, della terra
dimmi
che sai tu
del ricordo che arde
della perla nel sogno schiusa
del manto nero di stasera
di un giorno buffo
che afferra la gamba nuda
che ne sai
Dove si cela la crudeltà dell’uomo?
Nella sua mente, nel cuore o nelle mani?
Nel passato oscuro d’incomprensione
o nell’incertezza di un domani?
Dove si nasconde parere e la parola?
Perché preme ad uscire allo scoperto,
perché la sua lama vuol ferire gola
di chi di morte ha già sofferto?
E mentre malevolenza oscura cammino
una luce rischiara la nostra via:
cos’è che ci può cambiare destino
se non Amore e Poesia ?
inumidito dal pianto
reliquia di un rischio
che assomigliava all’amore
il tempo sfugge alla gioia
ma è immobile al dolore
sui margini del tramonto
il pescatore a reti vuote
che sia illusione quell’attimo
ora gonfio di nostalgia
che sia vertigine l’amore
nell’illusione nella follia
Se tu, rincasando alla sera, quando le cicale
sono al culmine dello squarciare l’aria – con
l’acuto cantare, che è delle chimere d’estate –
e tu ne trovassi, della stagionale muta, le spoglie
di una di loro, sull’uscio di casa:
raccoglile!
Poi, se puoi, posale sul bel ripiano di legno
grezzo, coi panni bianchi che sanno di pulito:
per quando – giunta per intero alla sua fine –
sarà stanca di indossare la sua veste ingannevole;
quella che fu, irrimediabilmente connaturata,
al suo incurante mutare.
Sostieni periscopio!
Pierluigi Guerrini
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
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