Parole a capo
“ricordi d’infanzia” e altre poesie di Sonia Caporossi
Tempo di lettura: 4 minuti
“La poesia inizia là dove finisce l’ovvietà.”
(Wislawa Szymborska)
Da Taccuino dell’urlo (Marco Saya Edizioni, 2020)
XV.
nell’assenza
{indesiderata, inerte}
sparge bruciore di :: fumo :: sui pianali del pensiero
quanto di lei gli rimane nel {sogno}
di un’indecenza pagana
nel suo rituale che lo condanna all’attesa
è l’essere scabro delle mani chiuse a pugno
che dentro, nel palmo, nel centro di tutto
concentrano il suo nome-odore-lignaggio
nell’ignobiltà ostentata del peso pericardico
che grava su quel petto illuso di visioni
come se la vedesse a un orizzonte di senso perduto
sorridente, estatica
chiamare il suo nome nel vuoto.
*
ω.
alla fine lui resta in silenzio
nell’abbraccio addormentato
rimando scabro di un lembo di pelle
rabberciato {lungo i bordi} nella fame di poesia
alla fine rinuncia all’amore
si prende in carico l’infarto
l’assassinio autoindotto del cuore
in questa quieta decisione
tanto lo sa che ritornerà
il desiderio del suo {fuoco greco}
perché l’amore non serve poi a tanto
::
per scrivere necessita una rabbiosa solitudine
e un istinto meno che umano, e stanco
di ripensarsi interi
dopo la distruzione.
Da Taccuino della madre (Edizioni Progetto Cultura, 2021)
ricordi d’infanzia
gli altri bambini scendevano a giocare sulla spiaggia
i pomeriggi risuonavano di grida e tonfi di pallone
quante facce li osservavano da queste bianche mura
ecco il cobalto vagare nel vago ricordo del mare
nuvole d’ebano e cenere sulle loro mani sporche
sulla rotondità perfetta e nuda della terra
rimanevo in casa a guardarli senza invidia
dallo spiraglio australe della finestra spalancata
non ci si può aspettare altro che uno sguardo passeggero
non c’è rimasto altro che un fotogramma sbiadito
non anelavo certo al calore della sabbia
non all’asprezza infetta delle ginocchia sbucciate
desideravo alle mie spalle soltanto le carezze
che priva d’interesse mia madre non mi dava
*
veglia
dormo sulla branda tra le pareti bianche
mia madre sta morendo da sola insieme a me
tagli trasversali su cortecce di bambù
lungo le venature molli della carne
la sapida chirurgia della ferita infetta
infiamma lattiginosa le caverne del mio cuore
si sparge come sangue sulla coperta bianca
come speranze vuote, trafitte nell’assenza
le luci brulicano nell’infrarosso del cielo
invadono l’orizzonte nell’olio lunare di un pianto
io mi terrifico inerme di questo assorto silenzio
non tollero la visione dello squarcio antiestetico a lato
annullo le certezze con cui ci si infonde coraggio
in un prolasso fluente di pus e falsità
“ti voglio bene, mamma, ti voglio bene, è vero…”
ma lei già non mi sente, non è più lì con me
per questo io ora so bene che per ricominciare
bisogna talvolta usare la bieca parola fine
Da Taccuino della cura (Terra d’Ulivi Edizioni 2021)
«ricordamelo tu, se proprio vuoi, chi sono
la nudità dell’essere invoca l’apparire
il vuoto dello specchio mi assiste incuriosito
mentre distillo in pianto le mie perplessità
cos’è la {nostalgia}, necrosi di un istante
pellicola di sangue ormai rappreso
membrana che si stacca rilassata tra le dita
dal cavo delle mani, dal morso dei {ricordi}
che cosa è la sostanza di un riconoscimento
e quanto può far {male} nel male fatto a un altro
per quanto ci risulti scartandone il pacchetto
ricordamelo tu che cos’è un dono
e nonostante il sole che circoscrive il volto
sebbene il suo calore ci riconosca vivi
rimane solo il {gelo} che di umano non ha nulla
e il taglio del cordone nella culla
l’attesa che rimargini {ferite} troppo antiche
nella clausura asfittica di un atrio d’ospedale»
φ
respirare il folle abbaglio dei colori
di un {tramonto} dentro una livida siccità
le luci si rivoltano nell’amplesso di un {istante}
stanche nuvole nel cielo come botti affastellate
si dipingono un dettaglio e poi sgretolano via
la farina intemperante di una vita ritrovata
dentatura marzapane di un {demiurgo} addormentato
Inedito
A Maria Laura
Avvolta mentre dormi nel sudario del mio abbraccio
Sei la pelle che non sfioro
La bocca che non bacio
La testa che non tocco
(se il mio sfiorarti solo ti facesse trasalire…)
ma nella compulsione inaspettata
che indulge alle carezze sulle spalle
la tua pelle impalpabile di miele
mi abbarbica all’attesa del risveglio:
e quando tu spalanchi figurale
nell’oro senza prezzo dei tuoi occhi
la voglia di baciarmi con il sale
che brilla lungo i bordi delle labbra
sei la resurrezione di ogni senso
che subito nel corpo incalza e preme
sei la Sandgirl che getta via la sabbia
e si licenzia dal suo pio mestiere:
conduci nell’onirico il mio giorno
sei la diuturna estasi del sogno.
Sonia Caporossi (Tivoli, 1973) è musicista, poetessa, prosatrice, critica letteraria e saggista. Ha pubblicato numerosi libri. Tra gli ultimi ricordiamo il saggio critico Le nostre (de)posizioni. Pesi e contrappesi nella poesia contemporanea emiliano-romagnola, con E. Campi, Bonanno, Acireale 2020; la curatela su G. Leopardi, L’infinita solitudine. Antologia ragionata delle poesie, Marco Saya 2020; la raccolta di monologhi filosofici Opus Metamorphicum, A&B Editrice 2021; la trilogia poetica Taccuino dell’urlo, Marco Saya 2020, finalista al Premio Montano 2020; Taccuino della madre, Progetto Cultura 2021; Taccuino della cura, Terra d’Ulivi 2021. Dirige per Marco Saya Edizioni la collana di classici italiani e stranieri La Costante Di Fidia. Collabora con Poesia Del Nostro Tempo, Versante Ripido, Bibbia d’Asfalto e col festival Bologna In Lettere. Ha diretto per molti anni Critica Impura e Poesia Ultracontemporanea. Il suo blog personale è disartrofonie. Vive e lavora a Cesena.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
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Cover: Carlo_Erba,: Le_trottole_del_sobborgo,_che_vanno,_1915.
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Pierluigi Guerrini
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