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Matteo Pazzi: un piccolo viaggio tra tempo e poesia

Rivedendo le tante uscite della rubrica [Parole a capo] ho notato una caratteristica dominante, ma non cercata. La presenza di autrici ed autori che vivono in piccoli paesi o in piccole città della provincia italiana. D’altronde, anche Ferrara e i paesi, le comunità che ne compongono il territorio contribuiscono a comporre questo “humus provinciale”. L’autore di cui vogliamo parlare oggi e di cui abbiamo già pubblicato alcune poesie in “Parole a capo” nel 2020 [Vedi qui] è Matteo Pazzi, un provinciale doc. Nato ad Este, in provincia di Padova e residente da tanti anni a Voghiera (FE). Senza assolutizzare il mio pensiero, ritengo che la provincia possa offrire lo sfondo migliore per “leggere” la società, il mondo, partendo dalle dinamiche che ci stanno a fianco.

Qualche tempo fa, Fabrizio Nelli l’autore di “Blues di provincia” rispondeva, in un’intervista che “in provincia i ritmi sono più lenti, le azioni sfocate, i contrasti attenuati. La provincia è un luogo universale che si contrappone alla città, un microcosmo con caratteristiche comuni simili in molte zone geografiche”. Anche Luciano Bianciardi, in un piccolo libro del 1957 “Il lavoro culturale”, pur fortemente ironico ma portatore di alcune tipizzazioni e caratteristiche prettamente provinciali, scriveva che “uno scrittore dovrebbe vivere in provincia perché è più facile lavorare, perché c’è più calma e più tempo, ma anche perché la provincia è un campo di osservazione di prim’ordine. I fenomeni sociali, umani e di costume, che altrove sono dispersi, lontani, spesso alterati, indecifrabili, qui li hai sottomano, compatti, vicini, esatti, reali”. 

In un’intervista apparsa su Periscopio alcuni anni fa[Qui] , Eleonora Rossi, insegnante e poetessa, chiedeva a Matteo delle informazioni di approfondimento su un’opera dalle sembianze enciclopediche. Stiamo parlando di “Contro” (Ed. Amazon, Progetto “Sconfinamento John Doe”), un progetto tuttora in corso, un’impresa “ai confini della realtà”. Matteo ne parlava così. “Contro” è un insieme di eteronomi, cioè personalità poetiche autentiche e complete, ispirate all’arte del maestro Fernando Pessoa che era solito scrivere lettere a se stesso. Creava intorno a sé un mondo fittizio, si circondava di amici e conoscenti che non erano mai esistiti. Gli eteronomi di Matteo (che al momento dell’intervista erano una sessantina e formavano un gruppo di volumi di oltre 1400 pagine) sono tutti CONTRO e hanno un’attualità che va oltre i confini del tempo, entra nei luoghi/non luoghi del quotidiano e prova a smuoverci, interrogarci…
Sono contro chi dice che tutto è finito. Sono contro chi per decenni ci e mi ha fatto sentire una nullità. Sono contro chi sostiene che sia stato già detto e scritto tutto. Sono contro chi spara giudizi solo per il gusto di ricondurre la complessità del mondo a una bacheca virtuale. Sono contro chi apre la bocca solo per dare aria. Sono contro chi umilia le altre persone, magari sfruttando la miserabile piccola posizione di potere più o meno meritatamente acquisita. Sono contro chi non permette all’altro da sé di crescere per paura che il discepolo superi il maestro. Sono contro chi ha paura della diversità perché non capisce che è quella sua paura ad essere l’unica vera diversità. Sono contro chi non ha immaginazione e odia chi ce l’ha”.

Negli anni, Matteo Pazzi ha fatto molte tappe di un lungo viaggio poetico e narrativo. Qualche tempo fa, ho ritrovato una delle sue “soste” editoriali “Compendio del cacciatore disarmato“, Ed. Simple, 2008.
A conclusione di questa riflessione a distanza con Matteo, ecco alcuni testi tratti da questo libro.

Il cacciatore senza memoria

Io ricordo;
la campagna e l’inverno,
compassi di nebbia
fra le magre stelle polari
dei nudi alberi da frutto –

arrivo – ancora una volta
è un piccolo paese

un gruppetto di case
simili a pezzetti di pane
sulla schiena
di operose formiche

m’incammino verso
l’unico bar del luogo,

una persona anziana e sconosciuta
appena mi vede entrare
getta a terra il cappello
e si tappa la bocca con le mani

“Il mio bar si chiama Dio”
dice il proprietario
da dietro il bancone

“dove stai andando?” mi chiede

“Vivere spesso
ha il sapore di un partire oggi
e arrivare ieri” gli rispondo

la persona anziana e sconosciuta
raccoglie il cappello
e me lo porge.

 

Alberi, navi cariche di tempo

Alberi, navi cariche di tempo,
ramo dopo ramo come spiragli
di un altrove incapace,
il cielo è una ruota
che corre sopra le labbra di una lama

e le nuvole simili a un orlo piatto,
i lampioni si spengono,
chiodi luccicanti cadono
dentro il polso del nuovo giorno.

 

Il viaggio del cacciatore disarmato

 

La campagna svestita
spianata come un fucile,
scendo,
una piccola stazione…

La nebbia a riccioli
imbavagliava le zolle
di terra

il mattino ancora basso
come un pendolo
che non oscilla
fra le lamiere contorte
della lunga notte invernale;

il treno riparte
e mi lascia.

Non dovevo arrivare qui,
ne sono certo…

il viaggio è sempre
qualcun altro

estranea lotteria
e prigione consanguinea.

In lontananza
le quattro case del paese,
isolati specchi abbandonati
nel cuore di una carezza innocente.

Ora mi appare chiaramente
la superstizione di quel mondo:

ascolto
proprio dove
non sapevo arrivare.

 

Quando la luna è in alto

Quando la luna in alto
un bianco foro di proiettile,
strada polverosa di ferite in catene
o macerie di tempo
che ogni povera mano edifica
o nasconde.

 

L’ombra del campanile

 

L’ombra del campanile
getta radici di banche rapinate
sul viso dei passanti, la piazza
si sta svuotando (sono seduto al tavolino
di un bar) – chiudo gli occhi:
il frullio d’ali (due libertà
che s’incontrano) di un piccione
rincorso da un bambino.
Ho freddo, l’inverno è un ago bianco
in un pagliaio
ricoperto di neve…
…è come se io
non esistessi più…
la piazza ora è vuota
e la chiave di violino del campanile
spiega alla sera incipiente
la stolida indifferenza di un treno
che non dobbiamo prendere…

 

la piazza si svuota, Ferrara

 

la piazza si svuota, Ferrara
e la camicia di forza delle mura
e la parodia affaticata
di secoli e secoli
mascherati da marionette
senza fili,
qui solo la diserzione
ha senso – sì, cercare con lo sguardo
non l’ordine del capitano
bensì i tuoi occhi
eredità simile al cielo
non una condanna impietosa
ma lo spartito per un violinista
pazzo di musica

 

Matteo Pazzi, 47 anni, residente a Voghiera (Fe). Ha pubblicato diversi volumi poetici. Ne citiamo alcuni: Il ponte randagio & altre poesie (2015); “Ventiquattro poesie”, casa editrice Montedit ,“Il Pasto”, Este Ediction,  “Compendio del cacciatore disarmato” Ed.Simple, “Bestiario dell’ Estate” Kolibris, una breve raccolta di micro-racconti intitolata “Il magazziniere fenomenologico”, “Chiuso per Lotta” (Prospettiva editrice), Contro (2015). Molti suoi lavori sono apparsi in riviste (Poesia, Soglie, Ellin Silae, Il vascello di carta, Il Segnale, Un Po di versi, ecc…). Nel 2015 è uscito per la casa editrice Antipodes di Palermo il romanzo ironico Angeli in culo alla balena bianca.

NOTA REDAZIONALE: “Parole a capo” è una iniziativa dell’Associazione culturale “Ultimo Rosso”. Per rafforzare il sostegno al progetto invito, nella massima libertà di adesione o meno, a inviare un piccolo contributo all’IBAN: IT36I0567617295PR0002114236

La redazione di “Parole a capo” informa che è possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica. 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 262° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

 

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Pierluigi Guerrini

Pier Luigi Guerrini è nato in una terra di confine e nel suo DNA ha molte affinità romagnole. Sperimenta percorsi poetici dalla metà degli anni ’70. Ha lavorato nelle professioni d’aiuto. La politica e l’impegno sono amori non ancora sopiti. E’ presidente della Associazione Culturale Ultimo Rosso. Dal 2020 cura su Periscopio la rubrica di poesia “Parole a capo”.

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