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Questo numero di “Parole a capo” è dedicato ad un’opera poetica piena di rimandi ad una vita vissuta a due. Un percorso intimo, profondo che Marta Casadei ha compiuto accanto al compagno di una vita. “Quello che resta” (Ed. La Carmelina, 2024) è un’opera prima che parla di ricordi, di invecchiamento assieme, di presenze ed assenze, di piccole complicità, di progetti comuni, di vuoti, del tanto amore che resta, che c’è stato e che ancora resterà nel tempo.
Nella prefazione, Piero Stefani esordisce chiamando in causa la poesia “Invecchiare“. “Quando si è in due, se si cade l’altro ti rialza, dice la parola antica, ma chi solleva sa di essere a propria volta confortato dalla constatazione che il suo essere stato lì non era privo di senso. Anche quando le forze si affievoliscono e non si è più in grado di alzare il proprio coniuge o quando non si sa più giudicare fino a che punto la propria presenza sia percepita dall’altro, rimane sempre la possibilità di stare accanto. Poi cessa anche il comune invecchiare e subentra il grande distacco. Nell’ordine del tempo “ciò che resta” riguarda innanzitutto il proprio rimanere soli”.

INVECCHIARE

Ci si incurva piano piano
non te ne accorgi…
finché d’un tratto
sempre più cose sono irraggiungibili:
la lampadina fulminata
il pacco del caffè sullo scaffale
più alto… Per altre poi
viene meno la forza e non riesci
ad aprire un vasetto sottovuoto
a sollevare la tanica dell’acqua
e ti occorre la sporta con le ruote
per fare spesa.
E la memoria ti tradisce, prima
di quando in quando e poi
sempre più spesso.
Una scoperta amara il tradimento
del corpo… e tu mi soccorrevi
mi toglievi il disagio e la paura
anzi, il decadimento inevitabile
e necessario
diventava occasione di un bacio
e di un sorriso complice
un poco scaramantico.
Era bello in fondo
invecchiare insieme
e scoprire i tanti modi
di inventarsi l’amore:
nella cura reciproca
nell’insaponarci la schiena
nel prevenire un desiderio
nell’intuire l’un l’altro i pensieri
in un’idea espressa all’unisono.
E nella tenerezza
di piccoli gesti
come quando prendevi
l’accappatoio dal gancio
per me ormai troppo alto
e mi aiutavi ad infilarlo
con le mani tremanti;
ci voleva del tempo
ma era il tempo per me
di un abbraccio dolcissimo
di una lunga carezza
delicata, occhi chiusi
a fermare il tempo.
Ora che sei inciampato nella morte,
in questa casa
straniata
dove non c’è niente
a mia misura, io mi ritrovo
inadeguata a tutto, prigioniera,
impigliata nella vita.

Dal ripercorrere vicende, emozioni, esperienze, col filtro della memoria ho tratto giovamento emotivo e accettare la realtà è stato piano piano possibile. La dolente memoria della persona che più mi era stata cara, all’inizio era tremendamente acerba e non lasciava spazio ad aperture di speranza. Il tempo lentamente l’ha resa sopportabile fino a farla diventare una dolce compagnia” (Marta Casadei).

La lettura si presenta difficile non per il linguaggio o per le parole usate ma perché senza fronzoli, per la forza dei sentimenti messi in campo che coinvolgono emotivamente, che vanno dritti al cuore. Con l’andare del tempo si restringe il libero arbitrio, o almeno ci sembra. Montaigne scriveva che “la riflessione sulla morte è riflessione sulla libertà”. La si guarda in umiltà, “in timore e tremore” come diceva San Paolo.

 

LA SEDIA VUOTA

Non avverto profumi né sapori.
Sulla tavola nuda consumo
distratta il mio pasto da sola
senza arte né grazia; di fronte
la tua sedia vuota
restituisce, muta, sensazioni.
Volti e volti mi sfilano davanti
camionisti e rappresentanti di commercio
chini sul piatto, sguardi assenti
taciturni e soli.
Stanchi sorrisi di presentatrici
di quanto più mirabolante e nuovo
offra il mercato
e di professoresse segaligne,
visi rugosi e sogni adolescenti.
Su quelle rassegnate solitudini
quasi avevo pudore
di essere in due a gustare parole
al tavolo con la cartapaglia
del menù a prezzo fisso.
Era il lusso che ci regalavamo
nei nostri giorni speciali,
quelli da ricordare,
rivalsa a buon mercato.
La mente e il cuore inseguono ricordi,
emozioni passate, ma le mani
si muovono sul filo di abitudini
remote mentre tagliano la mela
ponendone metà proprio davanti
alla tua sedia… dove manca il piatto.
Una gioia di lacrime improvvisa
un calore avvolgente
(ne avevano rubato la memoria
i giorni duri che ti han portato via)
e ti ho rivisto seduto al tuo posto
dividere con me cibo e parole.
E’ stato il nostro rito
taciuto e rispettato
mangiare insieme in sala nelle feste
e nella ferialità della cucina.
Ci aspettavamo anche se era tardi
e, tutta nostra, una consuetudine,
piccolo segno di alleanza:
facevamo a metà l’ultimo frutto…
era come godere
un intimo sapore condiviso.
Era un dono reciproco a sancire
intesa e pace e complicità.
Era conferma di una comunione
irriducibile…
un gesto che nessuno ha mai notato…
ritrovarlo così ha colorato
il film in bianco e nero dei miei giorni.
E non sarà che una cosa da niente
come la morte tagli quel legame.
Tu non sarai mai più troppo lontano
non lascerai mai più la sedia vuota
e sarai qui con me, sono sicura.
Da domani
stenderò la tovaglia di bucato
e apparecchierò con molta cura
e indugerò un po’ seduta a tavola,
e potrò assaporare i tuoi pensieri
insieme ai miei:
ancora e sempre un unico sapore,
nel tempo che mi resta della vita.

 

PARLARNE CON TE

Cammino guardo leggo penso vedo
incontro osservo mi stupisco fremo
mi indigno mi ricordo di qualcosa
o di qualcuno. Vivo…
Ho un lampo di memoria, una banale
curiosità…
Mi riprometto
di parlarne con te appena torno
(o appena torni) e capita
che affretti il passo verso casa
per raccontarti una qualche novità.
A volte
ti do la voce: ma lo sai? ricordi?
E ci metto del tempo a realizzare…
tante le cose rimaste in sospeso
troppa la vita rimasta da dire.

 

E QUANDO ANCH’IO

 

E quando anch’io passerò il confine
con timore e tremore,
fra tutti quelli che mi hanno amata
vorrei che fossi tu a venirmi incontro
col tuo largo sorriso e le tue mani.
Vorrei sentire per prima la tua voce.
Chissà se ci potremo
abbracciare davvero.
E ti farò un rimprovero
(ci sei abituato!)
per avermi lasciata
per tanto tempo sola e spaventata.
E ridendo dirai che come al solito
non ho capito niente. E mi dirai
dello stupore per tutto il coraggio
che non sapevo di avere
e per le cose nuove inaspettate
e sorprendenti che mi hanno consolato,
che anche così la vita ha regalato.
E mi dirai che tutte erano state
le tue carezze all’anima
che la tua tenerezza
aveva mosso a compassione Dio.

 

Marta Casadei si descrive così: ”Sono nata a Riccione moltissimi anni fa. Da oltre 50 anni vivo a Ferrara, una città che adoro. Qui mi sono dedicata alla famiglia maturando un grande amore per i bambini e la consapevolezza del diritto di tutti i piccoli ad avere una famiglia, per cui ho scelto di dedicarmi per molti anni all’affido familiare. Per questo ho abbandonato la passione giovanile dello scrivere per riprenderla adesso in età avanzata. Per me è una terapia alla solitudine e risponde al bisogno di mettere insieme dei ricordi da lasciare ai figli. Non ho velleità artistiche, il mio è uno stile datato però a volte si compie il miracolo di un incontro di anime e diventa senza tempo e bello”. Alcune sue poesie sono uscite su “Parole a capo” il 20 aprile 2023.

La redazione di “Parole a capo” informa che è possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica. 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 250° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

 

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Pierluigi Guerrini

Pier Luigi Guerrini è nato in una terra di confine e nel suo DNA ha molte affinità romagnole. Sperimenta percorsi poetici dalla metà degli anni ’70. Ha lavorato nelle professioni d’aiuto. La politica e l’impegno sono amori non ancora sopiti. E’ presidente della Associazione Culturale Ultimo Rosso. Dal 2020 cura su Periscopio la rubrica di poesia “Parole a capo”.

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