Parole a Capo
Arianna Vartolo: “Lo stigma della mosca” e altre poesie
Tempo di lettura: 3 minuti
“Non bisogna lasciare che la fatica entri nel cuore. Può darsi che la fatica controlli il tuo corpo, ma fai del tuo cuore una cosa tua.”
(Haruki Murakami)
È il corpo stesso quando saturo di liquidi
a lasciarsi scivolare addosso
quelli nuovi ricevuti dall’esterno.
Come fosse cosparso di unguenti e invece
sono gli intenti purificatori a farsi resistenti
all’acqua che scende sull’osso dello sterno.
La pelle si rende superficie d’eccezione
per quel bisogno che parla secondo obbligo espresso:
sembra quasi equazione di tensioni e rilasci
l’andare dritto della goccia – senza mai
deviare – nell’incavo liscio tra inguine e coscia.
Il toccare lo stato ultimo di compromesso
cui ogni forma esatta è chiamata ad arrivare.
*
A forma di mezzaluna è il segno
dell’unghia che sulla carne rimane
appena sotto al costato: ricordi ti abbiano insegnato essere
quello il punto adatto dove fare pressione.
Se il diaframma è contratto
diceva tutto rischia di finire
spostato altrove.
Eppure non è mai stato un dramma
per te svegliarsi col dolore – un respiro mancato.
Infila dunque diceva le dita
e spingi con forza fin dentro le ossa,
fin oltre quel setto stretto di vano
– fossa cava dove arginare
ogni pensiero che fosse deglutito.
Insieme a quel poco di vino rimasto per cena.
*
La fine di giornata: è la luce che rimane
sulla tovaglia usata.
*
Lo stigma della mosca
Il dormire delle mosche è morire
apparente su una parete bianca.
Tenti spostando con mano pendolare
la prima luce l’ombra la luce
sugli occhi composti della mosca domestica
a testarne lo stato vigile, o il rigido trapasso:
nessun palpito del labbro inferiore – dei suoi palpi
mascellari che tanto riconosci quando passa l’insetto
muovendoli a pasteggiare sulla tovaglia usata.
La mosca come tutti ha uno stigma,
sulla pleura – appena sopra il prosterno, con cui le è permesso
respirare: nulla che preveda
l’espiare una colpa, un’estasi di salvezza.
La fermezza del corpo esiguo suggerisce
non venire o andare niente per quei fori anteriori: il suo stare
ambiguo tra sonno eterno e veglia, mentre fuori alla finestra resta
il giorno. E tu che guardando cominci a sanguinare.
*
A volte sistemo le cose
davanti allo specchio, forse a cercare
forme di moltiplicazione; a tentare il conto
di ciò che sempre rimane
in sospeso e sempre
sbagliare. Non c’è tempo speso
che dica quanto sia
importante il riflettere su tale misura non lineare;
il capire quando sia
ultima quella ratio cui si cede
– cui si crede ogni volta di arrivare.
Arianna Vartolo è nata nel 1998 a Roma. L’aiuto a non morire (Cultura e Dintorni Editore, 2019) è la sua opera prima in versi. Compare nell’antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni Novanta per Giuliano Ladolfi Editore (2019). Di lei è stato scritto, tra gli altri, su ClanDestino, Pangea, Laboratori Poesia – della cui redazione fa inoltre parte dal 2021. Alcuni suoi inediti e lavori sono apparsi su riviste cartacee e online tra cui Atelier e Inverso (per cui ha collaborato), nonché su La bottega della Poesia del quotidiano La Repubblica – Roma. Nel 2021 è rientrata tra i finalisti del Premio di Poesia Città di Borgomanero – Achille Marazza e del XXII Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Guido Gozzano”. Poesie di Arianna Vartolo sono state pubblicate in Parole a Capo il 6 ottobre 2022.
La redazione di “Parole a capo” informa che è possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica.
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Pierluigi Guerrini
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