Il libro è purtroppo troppo poco conosciuto, ma è forse una delle ferree critiche all’universalismo occidentali. Che cosa significa e perchè è rivoluzionario?

Pluriversum. Verso la democrazia delle culture, Jaka Book, 2018

Sì, è davvero un libro rivoluzionario e la lunga introduzione di Serge Latouche scritta dopo la morte di Panikkar (1918-2010) è davvero potente e sa mettere in luce il maggior problema che abbiamo oggi: “l’impostura rappresentata dall’universalismo occidentale”. Latouche e Panikkar si erano conosciuti personalmente e il francese ricorda bene l’amico denunciare quello che oggi viene chiamato e deprecato come il Pensiero Unico. Perché oggi abbiamo un Pensiero Unico? Perché esso si manifesta nell’unica Narrazione della Globalizzazione o occidentalizzazione del Mondo?

Raimond Panikkar, come sappiamo, era nato da padre indiano e madre spagnola e nella sua lunga carriera di accademico, teologo e intellettuale interculturale, ha denunciato con forza che “esistono sistemi di pensiero e culture tra loro incompatibili e incommensurabili” che si traducono in modi di vivere diversi. Ciò significa che se ammettiamo un super sistema, cioè un punto di vista superiore, il pluralismo viene distrutto e destinato a rimanere (come oggi avviene) come mero folclore ad uso turistico.

In ogni caso “è sufficiente dare un’occhiata alla stampa quotidiana, per rendersi conto del feroce etnocentrismo che caratterizza non solo il 90% dell’informazione”, ma si badi bene, anche gli studi e gli articoli culturali, come la maggior parte della produzione accademica.
Come fa notare Latouche, la critica di Panikkar alla globalizzazione e all’economizzazione del mondo lo avvicina a pensatori radicali come Jacques Elull e Ivan Illich, ma in lui il teologo ha spesso occultato il filosofo. Da qui la necessità di mettere insieme alcuni suoi articoli e saggi ormai introvabili in un volume (Pluriversum. Verso la democrazia delle culture, pubblicato in Francia nel 2013 e in Italia nel 2018) che dia più forza a questo pensiero anche in ambito laico.

Panikkar ha chiarito con forza che la Scienza non è né neutrale, né universale e che la tecnologia moderna è “il cavallo di Troia” dell’occidentalizzazione del mondo. In questo senso il filosofo catalano ha molti punti di contatto con Tiziano Terzani, e su ciò ho già scritto estesamente (G.Germani, Il mito del Progresso in Panikkar e Terzani, in AA.VV. La decrescita tra passato e Futuro, Napoli, 2018).

Il tema fondamentale affrontato nel volume da Panikkar e Latouche è quello dei diritti umani. In questo articolo importantissimo del 1982, Panikkar ha dichiarato che essi non sono universali, ma sono concetti occidentali. In che cosa consistono?

Il concetto di diritti umani è una delle “finestre sul mondo”, cioè quelle idee che presuppongo intere e diverse cosmovisioni. Come sottolinea Latouche, la dichiarazione del 1948 non nasce da un dialogo, ma scaturisce dal protestantesimo liberale e si è diffusa come imposizione occidentale. Non per niente il Mahatma Gandhi, interpellato nel 1947 dal segretario dell’ONU, dichiarò ufficialmente che non conosceva un diritto che non nascesse da un dovere precedentemente assolto. Quindi si rifiutò di partecipare alla stesura della Carta Diritti dell’Uomo. (Cfr. G. Germani, Verità della decrescita, Castelvecchi, p. 73 sgg.)

Il concetto di Diritti Universali dell’Uomo presuppone quello di individuo che, come Latouche ha sottolineato in altri studi – nasce in Europa all’inizio dell’Ottocento e non esisteva prima. In altri contesti, l’uomo era una rete di relazioni complesse, perché una persona è tutto il tessuto che le sta attorno. L’idea di individuo è frutto di un riduzionismo tipico del pensiero moderno.

Ugualmente Scienza ed Economia sono due dimensioni del nocciolo duro dell’Occidente che quest’ultimo considera universali ma che in realtà impone con forza. “L’odierna società paneconomica è assolutamente intollerante – scrive Panikkar – nei confronti di qualunque attività umana (ad esempio la contemplazione) che non sia produttiva”, cioè economica e finalizzata a un risultato economico.

L’adozione della nozione di diritti universali – sottolinea Panikkar – è “una continuazione della sindrome coloniale”, cioè la credenza che alcune idee (Dio, Chiesa, Impero, civiltà occidentale, scienza, tecnica moderna) siano così alte da poter esser diffuse su tutta la terra. Ma si tratta di una presunzione, direi immatura e puerile. Ci sono inoltre molti postulati che stanno alle spalle della nozione dei diritti. I Diritti dell’Uomo, per come li conosciamo, difendono l’individuo di fronte alla società in generale, e dallo Stato in particolare. Quindi si postula che l’essere umano è un individuo e la società una sorta di sovrastruttura. Ma si postula anche che gli esseri umani siano autonomi rispetto al cosmo; che l’uomo sia superiore a tutti gli altri esseri senzienti, che la società non sia il riflesso di un ordine prestabilito o divino, ma esclusivamente la somma di individui liberi. Tutti questi postulati sono semplicemente assenti in altre culture, mentre “continuano ad essere usati come un arma politica”.

Molto illuminante a questo proposito è la riflessione sul concetto indiano di Dharma, che significa ordine etico, legge, caratteristica delle cose, verità, moralità, giustizia.Il dharma -scrive Panikkar – è ciò che tiene insieme, che dà coesione e quindi forza ad ogni cosa, alla realtà e in ultima analisi ai tre mondi ( triloka).Il mondo in cui la nozione di Dharma occupa un posto centrale e che pervade tutto, non ha alcun interesse a mettere in evidenza il “diritto “di un individuo contro un altro o di un individuo nei confronti della società, ma si preoccupa piuttosto di accertare il carattere dharmico ( giusto, vero, coerente) o adharmico di una cosa e di un’ azione nell’insieme del complesso. Qui il punto di partenza non è l’individuo ma la totalità nella sua complessa concatenazione del reale”.
Questa prospettiva indiana – messa in luce da Panikkar – è particolarmente importante, perché la fisica stessa, da Einstein in poi ma soprattutto da Heisemberg, Bhor, Bohm, ha chiarito che non esistono sostanze indipendenti e separate come abbiamo ingenuamente creduto da Newton e Cartesio.

Il nostro mondo è oggi schiacciato da un lato dall’ipertrofia dei nazionalismi e dall’altro dall’omologazione del mercato globalizzato. La “democrazia della culture” di cui parlano gli autori, secondo te, può essere realizzabile? Se sì a partire da quali presupposti?

Lo Stato Sovrano come sappiamo è uno dei frutti del pensiero occidentale illuminista. Gli Stati Sovrani hanno circa due secoli, ma quanto potranno durare? Panikkar propone “come alternativa la bioregione che consiste in regioni naturali in cui le mandrie, le piante, gli animali, le acque, e gli uomini formano un insieme unico e armonico”.
Questa prospettiva molto ecologista è l’unica che può prospettare un futuro all’Ecosistema che ci ospita (cfr.A.Naess), il quale al contrario è totalmente minacciato dal sistema scientifico industriale, con gli enormi rischi oggi evidenti. Il sistema scientifico-tecnico-industriale costituisce appunto il Pensiero Unico, il super sistema che sta distruggendo culture millenarie e che sta alla base della globalizzazione, del cosiddetto “Progresso” e insieme del collasso climatico.

Nel libro si parla addirittura della necessità non solo di liberare l’essere umano dalle strutture sociali che lo opprimono, ma anche dalla sua liberazione da quel tempo che divora tutta l’esistenza umana e monopolizza tutto il suo essere generando alienazione e perdita della dignità. Di quale tempo parlano e quale tempo dovremmo vivere?

E’ necessario prendere coscienza che ci sono varie idee del tempo e quella che oggi diamo per scontata, non è universale, né comune a tante altre culture. Come scrive Latouche: “la concezione del tempo nel quale si vive ha un ruolo fondamentale nel determinare il modo in cui si conferisce senso a ciò che si vive. Un’immersione nella concezione circolare del tempo che si trova in numerose culture modifica la prospettiva “. Andrebbe sottolineato con forza che “esiste una concezione giudeo-cristiana-marxista contemporanea” ed è questa che dà alla morte quell’aspetto di frustrazione e di interruzione (cattiva o sbagliata) perchè impedisce la realizzazione dei nostri progetti.
Se si abbandona l’idolatria per il tempo lineare, perde senso la separazione tra vita attiva e vita contemplativa. La riflessione di Panikkar e con lui di tutta la cultura degli indiani, ci invita a riconsiderare la concezione occidentale della Storia. Come aveva ben compreso anche Tiziano Terzani, “la storia non li ha mai interessati. Non l’hanno mai scritta; non ci hanno mai riflettuto molto sopra. Per loro quel succedersi di fatti è come sabbia sollevata da folate di vento: mutevole e irrilevante”.

Un ‘altra idea che ha un impatto fortissimo sulla politica e la nostra attualità, è quella di “sviluppo” – definita da Latouche, nel nostro testo, un’impostura. “Questo termine – precisa Panikkar – suggerisce un insieme di valori – quali la concezione di una forma specifica di progresso, di tempo lineare, di una dipendenza tra i beni materiali e il benessere umano e via dicendo – che non sono degli universali transculturali”.
La distinzione tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo fu lanciata infatti dal presidente americano Truman nel 1949. Fu precisamente da allora che – come ci ricorda Panikkar in un altro testo – tramite la parola ufficiale delle Nazioni Unite, che l’80% dell’umanità venne considerato “sottosviluppato” o “in via di sviluppo”. Questi Paesi “sottosviluppati” non hanno però creato il collasso climatico! Dobbiamo riflettere!

Le nostre società opulente devono riscoprire il valore della Verità. Quale verità?

Certamente si, e tutte le prospettive di pensiero a cui abbiamo accennato sopra, lo richiedono. Per capire la Verità, occorre studiare più Gandhi, piuttosto di Marx.
Concludo con un pezzo molto bello di Latouche tratto dal suo ultimo libro “Lavorare meno, lavorare tutti, non lavorare affatto “(Bollati Boringhieri, 2023): “La compressione del tempo è un effetto fondamentale della distruzione del mondo concreto provocata dal produttivismo della società della crescita.

In Occidente l’invenzione dell’orologio in pieno Medioevo, è stato il punto di partenza dell’artificializzazione del mondo e dunque della sua desacralizzazione. Questo strumento di imbrigliamento del reale inaugura la rivoluzione dei Tempi moderni. Diventando meccanico e reversibile, il tempo comincia a perdere la sua “concretudine”. Non è più legato ai cicli solari e lunari, al ritmo delle stagioni e dei raccolti, dei cambiamenti e degli avvenimenti. I punti di riferimento del vissuto non sono più forniti dal compito (seminare, falciare, raccogliere, potare gli alberi da frutto ecc.), né i ritmi dalle feste religiose o profane, ma da un meccanismo astratto. Il tempo diventa una grande omogenea che non ha più legami con il vissuto, trasformato a sua volta, sempre più, in una massa informe. A quel punto tutte le attività si fondono nel lavoro, tutti i valori nel denaro.

Il lavoro, il tempo e il denaro si trasformano così in una stessa e unica sostanza, sulla quale il mercante può speculare. Si sopprimono i giorni festivi, si introduce il lavoro della domenica, il lavoro notturno e ovviamente il lavoro delle donne e dei bambini. Contato e scambiato, il tempo diventa l’oggetto centrale dell’economia. Bisogna produrre sempre di più in un tempo determinato. Bisogna accelerare i ritmi della vita e ridurre i tempi di durata (comprese quelle della vita degli oggetti). Fuorviata dalla religione della crescita, la modernità è costretta ad adattarsi alla velocità, sinonimo di potenza, di audacia, di progresso, di risultati, di record, di controllo del tempo e dello spazio. Per questo, l’idea che le innovazioni tecniche potrebbero permettere di abolire il lavoro rimanendo nello stesso contesto generale è una grande mistificazione.”

Questo articolo è uscito con altro titolo su Pressenza del 7 febbraio 2025

In copertina: Raimon Panikkar  (foto Officina Filosofica