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Ferrara film corto festival

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Onda nera in Germania: quando la guerra travolge l’economia, l’intolleranza travolge l’integrazione.

 

Con la vittoria di AFD (Alternatve für Deustchland, destra) di Bjorn Hoecke e di BsW di Sahra Wagenknecht (sinistra) in Sassonia (4 milioni di abitanti) e Turingia (2,1 milioni)  – che hanno ricette opposte sulle questioni sociali, ma condividono due temi oggi centrali per gli elettori: a) far pace con la Russia e stop armi all’Ucraina; b) fine dell’immigrazione illegale; – entrano in crisi il modello tedesco e l’intera Europa.

La vittoria è stata schiacciante nei due Länder dell’Est. Turingia: Afd 32,8%, BsW 15,8%. Sassonia: Afd 30,6%, BsW 11,8%. L’unico partito tradizionale che tiene è la CDU (moderati di centro). Tra un anno si vota in Germania e se SPD non cambia candidato (e soprattutto politiche) la probabilità che vada in crisi il governo “semaforo” federale tedesco è altissima (Verdi e Liberali sono quasi spariti). Se dovesse succedere, la stessa Von der Leyen in Europa ne uscirebbe “dimezzata”.

Si tratta di una svolta elettorale prevedibile per un paese che aveva fondato il suo sviluppo su tre fattori che, dopo l’esplosione del conflitto in Ucraina, sono venuti meno:

a) la collaborazione con la Russia (materie prime e gas a basso prezzo in cambio di tecnologia tedesca); b) il forte export verso la Cina e i paesi Brics; c) le tecnologie di qualità ma consolidate come il motore endotermico e invece ancora deboli nei settori del digitale e del green deal (elettrico).

Con la guerra ed il conseguente sostegno incondizionato all’Ucraina – 100 miliardi stanziati per la difesa – queste scelte entrano in profonda crisi, tanto più se economia e welfare in crisi lo sono già da due anni (crescita zero e quattro degli ultimi sette trimestri in recessione). E’ caduto ovviamente l’export verso la Cina (-11,5% nei primi 7 mesi del 2024), azzerato quello con la Russia; il gas oggi costa il doppio. Un altro fattore che aveva favorito la Germania era stato l’afflusso massiccio di manodopera straniera (7,9 milioni dal 2010) che aveva contribuito alla crescita dell’occupazione, delle entrate e del Pil, ma aveva anche creato problemi di integrazione nelle varie comunità e di concorrenza, in particolare, coi lavoratori tedeschi più poveri: quelli dell’Est.

Angela Merkel era consapevole dei rischi insiti in queste scelte, ma lavorava su un accordo di lungo periodo con la Russia e la Cina, nella speranza che gli Stati Uniti consentissero, gradualmente, alla Germania (e forse anche all’Europa) di crescere e diventare un “polo” internazionale autonomo (tra Usa e Cina). Speranze che si sono rivelate vane e che sono implose allo scoppiare della guerra Ucraina-Russia.

Entrando in crisi il “modello Germania”, le conseguenze economico-sociali più pesanti ricadono come al solito sulla parte più povera che si trova nei Länder dell’est; ciò spiega la rivolta degli elettori in Sassonia e Turingia. La maggior parte dei media parla di vittoria della destra xenofoba (anche se BsW è un neo partito radicale di sinistra) ma anche di Putin: come se una pace con la Russia – anche a costo di avere due regioni russofone del Donbass non più ucraine e però una Ucraina indipendente – equivalesse alla fine delle nostre libertà.

Rimane invece del tutto aperto il tema di un’ Europa autonoma, capace di svolgere nel mondo un ruolo propositivo (e anche equilibratore) tra Stati Uniti e Cina. Si tratta di un problema che alcuni media sembrano reticenti a nominare, ma che ha già portato alla crisi del macronismo in Francia e che avrà ripercussioni anche sull’Italia. E’ vero infatti che l’estro e la creatività degli imprenditori italiani ci rende meno vincolati (rispetto ai tedeschi) nell’interscambio con Cina e Russia, ma è pur vero che una crisi della manifattura tedesca avrà effetti rilevanti anche su quella italiana. Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna fanno pienamente parte del limes tedesco: moltissime aziende, servizi e intraprese del turismo sono strettamente integrati all’economia tedesca.

Nessuno si aspettava il gesto di grande generosità fatto da Merkel per accogliere un milione di rifugiati siriani, ma certi “fardelli” si possono sostenere se ci sono contestualmente pace e sviluppo. Se vengono a mancare entrambi i fattori, tutto si rovescia nel suo contrario.

 

Photo cover tratta dal sito europa.today.it

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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