Olimpiadi 1, quello che non ci manca:
il (positivo) modello italiano
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Olimpiadi 1, quello che non ci manca: il (positivo) modello italiano
Chi ha vinto le Olimpiadi di Parigi? I media dicono gli americani e i cinesi a pari merito per medaglie d’oro (40), nonché 126 in totale per gli Usa e 91 per la Cina; ma se consideriamo la popolazione, in realtà a vincere anche quest’anno è stata la Nuova Zelanda che ha vinto 47 medaglie (di cui 10 d’oro) con una popolazione inferiore ai 5 milioni di abitanti. In questa mia speciale classifica fatta in base agli abitanti seguono Australia, Ungheria, Giamaica. In questa classifica ho considerato 3 punti per l’oro, 2 per l’argento e 1 per il bronzo e rapportando la somma che risulta agli abitanti, l’Italia è al 18° posto (era al 17° a Tokyo). Tra i grandi paesi meglio dell’Italia fanno Francia, Regno Unito e Sud Corea, ma veniamo prima di Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Spagna e Brasile.
Classifica in base al totale delle medaglie (oro=3 punti, argento= 2, bronzo =1) e totale in rapporto agli abitanti (clicca sulla tabella per il dettaglio)
Avanzano i paesi poveri e africani anche se, per ora, alimentano i paesi ricchi di molti dei propri atleti (vale anche per la Russia, vedi la pallavolista Ekaterina Antropova, italiana da un anno o Andy Diaz Hernandez, cubano 3° nel salto triplo) i quali da giovani vengono individuati dai “cacciatori di talenti”, e migrano volentieri verso i paesi ricchi che offrono loro volentieri cittadinanza, soldi e supporto sportivo, e li inseriscono nelle nostre scuole superiori, che sono di fatto “obbligate” a promuoverli. Circa metà delle medaglie italiane sono di immigrati o figli di immigrati. E’ (in apparenza) paradossale che la vincitrice dell’ultimo podio – la maratona femminile, gara simbolo delle Olimpiadi – sia l’ olandese Sifan Hassan, una musulmana che porta il velo sul podio olimpico. Da un lato ciò dà la misura della crescente presenza di immigrati e figli di immigrati nei paesi ricchi e del crescere del multiculturalismo nelle società occidentali, dall’altro provoca la reazione sempre più forte di una parte dei cittadini (vedi le recenti manifestazioni nella, un tempo tollerante, Gran Bretagna) rispetto ad una immigrazione che viene ritenuta troppo rapida e portatrice più di svantaggi che di vantaggi.
Una delle caratteristiche delle “vecchie” Olimpiadi è che potevano partecipare solo i dilettanti e non i professionisti. Col tempo ci si è resi conto che la manifestazione avrebbe assunto maggior valore se avessero potuto partecipare tutti i migliori atleti. Oggi partecipano di fatto anche i professionisti (per citare solo i più ricchi, dai tennisti a Lebron James, il giocatore Usa di basket pagato 40 milioni di dollari all’anno). Le Olimpiadi hanno così mostrato quanto siano in parte gonfiati certi miti, sport e tornei, come quello dei professionisti basket NBA Usa, la cui squadra ha battuto di pochissimo la piccola Serbia nelle semifinali, dopo essere rimasta sotto di 10 punti (ed aver toccato anche il meno 17) per 3/4 della partita e aver vinto solo nell’ultima fase, anche a causa del ridotto numero di giocatori della Serbia che hanno pagato la penuria di cambi rispetto allo squadrone americano, oltre che un paio di scelte arbitrali molto discusse (95 a 91 il risultato finale).
L’Italia ha conquistato 12 medaglie d’oro (2 in più di Tokyo) ed è interessante vedere come l’ottimo risultato sia il prodotto di un modello pubblico di supporto agli sport “minori”. Pur non avendo sponsor o società sportive che possono mantenere gli atleti nelle categorie con minori spettatori (che minori non sono), ha adottato una strategia che potremmo definire “pubblica”: gli atleti migliori vengono assunti tramite concorso pubblico – riservato a chi ha raggiunto determinati risultati a livello nazionale o internazionale – da alcune organizzazioni militari o civili in qualità di volontari in ferma prefissata di 4 anni (polizia, esercito, marina, aviazione, guardia di finanza, vigili del fuoco). Ciò garantisce a questi atleti la libertà di allenarsi a tempo pieno nei centri sportivi senza dover lavorare, con uno stipendio analogo a quello dei colleghi. Al termine della carriera agonistica gli atleti possono rimanere in servizio e qualificarsi come istruttori, allenatori, preparatori atletici, massaggiatori presso i centri sportivi nazionali, oppure partecipare ai concorsi interni e progredire nella carriera. Il maggior numero viene assorbito dalla Polizia di Stato (Fiamme Oro) con 101 atleti, seguito dalla Guardia di Finanza (Fiamme gialle) con 54. Seguono: Esercito 39, Carabinieri 33, Aeronautica 25, Polizia penitenziaria (Fiamme azzurre) 23, Marina 18, e Vigili del fuoco (3 atleti delle Fiamme rosse). Ciò ha consentito a ben 296 atleti sui 403 italiani (73%; erano il 70% alle precedenti Olimpiadi di Tokyo) di partecipare alle Olimpiadi di Parigi assieme ad altre 207 compagini nazionali, di vincere 40 medaglie (12 ori, 15 argenti e 12 bronzi) e di portare più atleti (403 contro 384). Il modello organizzativo dell’Italia, sempre più imitato anche dai paesi poveri, dimostra che senza una organizzazione pubblica avremmo alle Olimpiadi solo gli atleti sponsorizzati dalle grandi società private e dagli sponsor, limitando non solo le vittorie ma la partecipazione allo sport di migliaia di giovani (basta fare un confronto coi pessimi risultati nel calcio).
Le Olimpiadi sono un evento di valore mondiale e mostrano come lo sport possa essere trattato ancora come un bene comune, oltreché essere una straordinaria forma di sviluppo umano e di apprendimento, capace di superare ogni divisione. Peccato che si siano voluti penalizzare gli atleti della Russia, Bielorussia, Iran, etc. cioè l’”asse del Male” (anche se poi molti hanno gareggiato sotto la bandiera di altri Stati come Germania, etc…). Mentre noi occidentali saremmo l’”asse del Bene”: la cosa avrebbe certamente indispettito Pierre De Coubertin, che riprese a far disputare i Giochi nel 1896, dopo che l’imperatore romano cristianizzato Teodosio li aveva fatti cessare nel 393 d.C. perché ritenuti uno spettacolo pagano. Erano nati ufficialmente nel 776 a.C., anche se la loro origine è probabilmente più antica, quando veniva premiato non chi arrivava primo ma chi svolgeva l’esercizio (corsa, lancio del disco, lotta, etc.) con più armonia. Alle gare non erano ammessi stranieri, schiavi, persone disonorate e le donne, alle quali era vietato persino assistere alle gare.
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Andrea Gandini
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