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Tra le prime file dell’Arci Officina Meca c’è tensione. Pufuleti, l’artista che si stava esibendo, è appena tornato nel backstage. “Me ne torno a casa, mi faccio una maschera e mi masturbo che godo di più”. È rimasto solo Wun Two (il produttore della musica di Pufuleti) sul palco. Pufuleti, prima di sparire dietro alle quinte, gli ha detto qualcosa in tedesco. Al che Wun Two ha interrotto il pezzo che stava suonando e ha messo un beat generico, di quelli che si mettono alla fine.

“O Ferrara futurista, avvicinatevi”, con questa invocazione Pufuleti aveva cominciato il suo concerto dieci minuti prima. Le persone, con una certa discrezione, avevano fatto un passo in avanti, poco convinti, lasciando delle vie di fuga fra loro e lui.

“Siete fatti di cocaina?”, aveva continuato il musicista, riferendosi all’impaccio che non svaniva. “Siete dritti… rigidi come dei pali. Molto di destra Ferrara”, e così dicendo aveva imitato la postura, mettendosi in posa come un soldatino.

Allora, Pufuleti sparisce oltre il sipario, lasciando gli spettatori da soli con Wun Two.

La sensazione, dicono dei ragazzi, è che conoscendo l’artista potrebbe davvero essersi arrabbiato e aver deciso di mandare all’aria l’evento. È a questo punto che il pubblico risponde all’ultimatum… Pu-fu pu-fu pu-fu! Battiamo le mani e gli chiediamo di tornare, di andare avanti.

Pufuleti allora salta fuori, ha lasciato il giubbotto nel backstage questa volta e adesso indossa solamente una felpa Usual stile anni ’90 con il cappuccio.

“Ancora un po’…”

Wun Two tocca la console, cambia musica e Pufuleti ricomincia a rappare.

Ma da dove viene questo artista che mescola più di quattro lingue nei suoi testi? Mentre elaboriamo una risposta, un uomo alto e grosso, più grande di età degli altri presenti, si fa largo, mi mette una mano sulla spalla, passa oltre, arriva sotto al palco e scambia un cenno con Pufuleti. Gli offre una canna appena accesa, ma l’artista fa segno di aspettare. “Un minuto”, sembra dire con l’indice alzato, “vediamo come si comportano adesso”.

Ci ammassiamo sotto al palco, e alla fine dei pezzi facciamo rumore. In pochi, pochissimi, però conoscono i suoi testi. C’è un fan che canta le canzoni assieme a Pufuleti. È a pochi centimetri da lui e come il suo idolo è in grado di passare, in maniera sorprendente, dall’italiano al francese, ancora; dal tedesco all’inglese, ancora… e dallo spagnolo all’arabo.

Per il resto, negli occhi della gente c’è una sincera curiosità, ma le bocche di rado si aprono per cantare dei versi.

Lasciamo Pufuleti rappare. Si esibirà per altri quaranta minuti, fin quando annuncerà che “la prossima è l’ultima, ho finito di farvi del male”, canta la traccia e prima di andarsene sentenzia: “Adesso basta, voglio il mio cachet”.

Lasciamo che porti avanti la sua esibizione, fumando una sigaretta dietro l’altra.

“Vacci piano con quelle cigarette”, gli dice qualcuno. Pufuleti non aspettava altro: “Chi sei, il mio medico? Vieni con me in Germania a farmi da medico…”

Separiamoci, dunque, dalla performance che è andata in scena sabato 9 novembre all’Arci Officina Meca di Ferrara (nel loro spazio alla base dei grattacieli di via Cavour), in occasione dell’uscita del suo ultimo album, Perle ai porci.

Aveva pubblicato altri tre album nello stesso stile: Tumbulata (etichetta: Legno), Catarsi Aiwa Maxibon (Legno/La Tempesta) e Rammbock (C.o.t.a./Legno).

Nelle prossime righe cercheremo di ricostruire quello che sappiamo di lui.

 

Notizie biografiche e altri fatti

Pufuleti non è molto conosciuto, ma i suoi appassionati hanno sviluppato una sorta di culto nei suoi confronti. La sua riservatezza, la difficoltà di reperire informazioni per rispondere alle domande che vengono da farsi dopo averlo scoperto, ne alimentano il mito. “Pufuleti è unico, ha uno stile tutto suo” sento commentare alla fine del concerto.

Nato in provincia di Agrigento nel 1989, vive in Germania dal 1993. Precisamente nello stato della Saar, melting-pot culturale, al confine con Francia e Lussemburgo e non distante dal Belgio.

In casa parlava siciliano, l’italiano lo imparava dalla televisione commerciale e il tedesco dallo slang dei suoi coetanei.

Il suo immaginario rispecchia una cultura-pop italiana assorbita via cavo. Due personalità che cita nei suoi testi sono, per esempio, Alberto Castagna e Fabrizio Frizzi. In ambito internazionale, le sue reference sono altrettanto spiazzanti. Kevin Tighe (attore americano), Albert Schmiege (pittore non vedente), Georg Trakl (poeta espressionista di inizio ‘900)…

D’altro canto, sembra non conoscere quello che diamo per scontato. Una interessante intervista radiofonica, per la sua rarità, che Radio Raheem ha registrato con lui, ha come argomento di conversazione iniziale il seguente tema: Pufuleti non conosce Guè Pequeño. “No, mi dispiace, non conosco questo Guè Pequeño”, diceva l’artista originario di Agrigento, scatenando lo stupore e insieme l’ammirazione del conduttore.

Al di là del fatto che sia vero, oppure che si trattasse di uno statement di diversità, nel corso della puntata era stato un buono spunto per finire a parlare di un altro artista hip hop, in questo caso statunitense, che con Pufuleti condivideva l’attitudine di essere molto selettivo nello scegliere chi e che cosa ascoltare.

Aveva raccontato lo speaker di Raheem che MF DOOM per trovare la propria identità artistica aveva smesso di ascoltare rap per cinque anni. Per ripulirsi da tutto quello che aveva assorbito.

È importantissimo”, era intervenuto Pufuleti. “Non ci si può nutrire di troppa roba”.

Un possibile punto di partenza per ricercare le influenze musicali di Pufuleti è andare a sbirciare nelle sue playlist di Spotify (“umi ghosts”, “february masamune” e “no goals no more cry babies”). Gli artisti che compaiono più spesso sono The Alchemist, MIKE, Pink Siifu, YUNGMORPHEUS ed Earl Sweatshirt.

Per ricostruire una mappa degli ascolti, dobbiamo ritornare al Wun Two che a inizio articolo avevamo lasciato sul palco di Officina Meca, mentre Pufuleti decideva se c’era calore a sufficienza per continuare l’esibizione.

Se trovare dettagli su Pufuleti era stato difficile, reperirne sul suo beatmaker supera le mie forze. Sappiamo che Wun Two è tedesco e che, come Pufuleti, vive in una zona della Germania circondata dalla natura e dai boschi. Durante l’intervista a Raheem, Pufuleti lo aveva descritto come uno dei suoi più cari amici. A livello artistico diceva di considerarlo di fama internazionale e che specialmente in Germania aveva influenzato profondamente la scena hip hop.

È un punto di riferimento nel settore dei beat lo-fi e, di recente, ha scritto e prodotto una canzone (“Brick by brick”) per Conway the Machine. Conway, oltre a essere uno dei favoriti di Pufuleti, è tra i fondatori della Griselda Records, uno dei fenomeni più importanti nel mondo hip-hop underground.

Pufuleti e Wun Two, sabato sera, hanno occupato il palco di Meca in modi diversi: il primo a suon di colpi e ultimatum, il secondo sorridendo ai fan dal primo momento e ringraziandoli, verso la fine, per l’accoglienza che gli avevano riservato.

Anche artisticamente i due si completano bene. “Lui è stato una svolta per me”, aveva detto Pufuleti a Vice. “Mi ha scritto per mandarmi i beat in un periodo in cui non sapevo da che cazzo di parte cominciare con me stesso, e mi sono ritrovato”.

Nel concludere questo articolo, mi accorgo che, per cercare di risolvere l’enigma Pufuleti, mi sto addentrando nel rompicapo ancora più laconico di Wun Two.

Se qualcuno volesse venirne a capo, avrebbe bisogno di doti da detective. Più facilmente, entrambi i misteri rimarranno insoluti.

In copertina e nel testo: Pufuleti in concerto a Officina Meca, Ferrara – Fotografie di Alessandro Spoto.

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Emanuele Gessi

Cresciuto a Ferrara, ha vissuto a Torino per fare l’università, poi ha trascorso un periodo in Danimarca per lavoro e volontariato.

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