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Officina Claudio Cavazza

Non ricordo quando è morto Claudio Cavazza. Ho chiesto ad alcuni amici comuni. Niente.
Sappiamo solo che era di Agosto. E di Agosto ne sono già passati tanti e io arrivo tardi. Arrivo troppo dopo.

Claudio non era un tipo tanto simpatico. Chi gli voleva bene doveva impegnarsi.
Litigioso, aggressivo (a parole), polemico, logorroico e pesante come alcuni comunisti di una volta. Fedele alla linea per purezza d’animo verso i suoi ideali non certo per obbedienza.

L’ho conosciuto quando la ex Iugoslavia si è frantumata. In quel periodo molte anime diverse della città, ma con una sorprendente sintonia, avevano creato il Coordinamento Ferrara per la Pace.
E come rappresentante di se stesso, cane sciolto ma sostenitore delle buone cause del branco, c’era anche Claudio.

Voi gente per bene che pace cercate,
la pace per far quello che voi volete,
ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra,
vogliamo vedervi finir sotto terra,
ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato,
nessuno più al mondo dev’essere sfruttato.
(Contessa di Paolo Pietrangeli)

Alle riunioni faceva uscite provocatorie: armi, azione, non solo manifestazioni pacifiche ma al dunque, nella pratica, era il primo ad “esserci”.
Aveva un fisico bestiale, due mani grandi, forti che usava per costruire e inventare. FARE!

Poco adatto alla vita famigliare, era un padre che per il figlio ha donato tutto.
Sempre in cerca di una nuova innamorata, ma troppo esigente per trovare la donna giusta.
Si doleva di non essere colto, ma leggeva tanto come un autentico intellettuale e sempre cose serie di politica, sociologia, storia contemporanea, economia.

Ha tentato più volte, con tenacia e pazienza, di alfabetizzarmi alla politica. Poi si è arreso e mi ha assecondato nel mio mondo fatto di confidenze e sentimenti.
Ma oggi lo voglio ricordare, perchè con le sue grandi mani coraggiose ha costruito case, acquedotti, coltivato caffè, mais, andando lontano in diversi paesi del Sudamerica.

Aveva cominciato, ancora ragazzo, partecipando chissà come alla guerra d’indipendenza algerina, depositate le armi, operaio scomodo e ribelle, è diventato padrone di se stesso, creando una sua impresa artigianale, si è dedicato a esperienze locali alternative e di estrema sinistra, che non bastavano alla sua esigente caparbietà.

Vicino alla pensione, stanco di una Emilia Romagna stinta e deludente, si è trasferito a La Spezia, perchè lì c’era ancora chi si batteva da vero comunista. Ha ristrutturato una bella casa a colpi di martello, portando su e giù cariole come vagoni merci. Una casa di pietra a pochi chilometri dal mare, ma al mare non c’è mai stato, non c’era tempo per oziare, assolutamente meglio parlare con la gente.

Compagni, avanti, il gran partito
Noi siamo dei lavorator
Rosso un fior c’è in petto fiorito
Una fede c’è nata in cor
Noi non siam più nell’officina
Entroterra, nei campi, in mar
La plebe sempre all’opra china
Senza ideale in cui spera
(da: L’internazionale)

Quando c’era da fare “una rivoluzione” lui c’era sempre e, direi, pur con tante battaglie vinte, alla fine ha perso, restando, comunque, un combattente indomabile.

È morto solo. A Città del Messico. In ospedale, quando il suo corpo e il suo cuore da gigante ha ceduto.
Arrivava dal Guatemala, dopo aver vissuto e cooperato nel Chapas, con la convinzione che era lì il terreno favorevole per sconfiggere il capitalismo occidentale e le dittature e le povertà del mondo. Aveva questa fiducia rinnovata dalla storia dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e del Subcomandante Marcos,

Tu amor revolucionario
Te conduce a nueva empresa
Donde esperan la firmeza
De tu brazo libertario
(Hasta Siempre, Comandante di Carlos Puebla)

Ha toccato con mano un sistema in cui si sottolineava l’importanza di essere autonomi rispetto a un governo ingiusto e corrotto. Gli piaceva che non volessero vivere di assistenza, ma grazie a progetti di autoproduzione. Le Aguascalientes (amministrazioni territoriali indigene) vietavano di coltivare e commerciare droga e di trafficare migranti e impegnavano gli abitanti a curare la natura. Le decisioni erano prese con un sistema collettivo e la criminalità trovava poco spazio per infiltrarsi. Gli sembrava di aver ritrovato il comunismo militante.

De pie, luchar
Que vamos va a triunfar
Avanzan ya
Banderas de unidad
(da: El pueblo unido jamàs serà vencido di Sergio Ortega)

Ma dai suoi racconti o dall’idea che mi sono fatta io ascoltando, la storia non è andata proprio così. Io, che non ho voluto leggere i suoi libri o accompagnarlo, non so neppure spiegare bene cosa è successo davvero.
So che, anche lì, ha litigato con i campesinos e i rivoluzionari addomesticati del luogo, perchè all’interno delle Aguascalientes nel tempo si erano abituati al fatto che progetti solidali e dollari li portavano i gringos, che i narcos non si potevano toccare.

Eppure, anche se neppure a loro era del tutto simpatico per il suo assolutismo, ha portato commercio, coltivazioni più redditizie, orti e sistemi rudimentali ma sufficienti di irrigazione, artigianali acquedotti per avere l’acqua in casa, realizzando tutto con pochi danari e molta perizia. Non si è arreso, ha studiato economia e agricoltura, ha cercato alleati esperti in queste cose e ha cercato di educare e dare l’esempio.

Claudio Cavazza, ospite a Storiedimondi, Cies Ferrara

Con le sue grandi mani sapeva fare tutto.

De acero son
Ardiente batallón
Sus manos van
Llevando la justicia y la razón
(da: El pueblo unido jamàs serà vencido di Sergio Ortega)

Il suo corpo da gigante sapeva fare sforzi sovrumani. La sua intelligenza creativa sapeva risolvere ogni difficoltà pratica.
Ma è morto.
Pare in Agosto.

Voleva che la sua vita potesse essere raccontata ma, anche Alberto Melandri, che si era preso la briga di scrivere la non comune vita di questo ingombrante amico è morto, e adesso non si riescono a trovare i pezzi.

Claudio bestemmiava come solo sa fare un comunista di altri tempi, era arrogante, scomodo, stancante e della sua vita pare non ci sia una testimonianza, se non evanescente, tragicomica per un uomo concreto, che dava sostanza e forma ai suoi ideali.

Il mio desiderio per lui? Realizzare un Laboratorio Artigianale o intitolare una Associazione che promuove l’intelligenza delle mani e del costruire con il nome Officina Claudio Cavazza.

Su, lottiam, l’Ideale nostro alfine sarà
L’Internazionale, futura umanità
Su, lottiam, l’Ideale nostro alfine sarà
L’Internazionale, futura umanità
(da: L’internazionale)

Per leggere gli articoli di Giovanna Tonioli su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

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Giovanna Tonioli

Giovanna Tonioli da molto tempo si occupa di Dipendenze Patologiche nel servizio pubblico. A lungo, come educatrice, ha pensato di fare uno dei mestieri più belli perchè coraggioso, avventuroso, “stupefacente” come le storie delle persone. Il battesimo lo deve a Marco Cavallo e, sull’onda del pensiero della Psichiatria Democratica, le piace abbattere le porte chiuse e lottare contro tutte le forme di stigma; è testimone delle più svariate umanità. Si è laureata in Psicologia clinica, si è specializzata presso l’Istituto di Psicoterapia Espressiva di Bologna ed è socia di Art Therapy italiana. Lavora a Ferrara. L’incontro con l’arte terapia è stata una svolta importante sia personale che professionale – ma Marco Cavallo lo sapeva già – e così come libero professionista svolge l’attività di Psicoterapeuta Espressiva, dove l’arte, la creatività e l’estetica si sposano con la psicoanalisi, le neuroscienze, la mente con il cuore delle persone. Una terra di mezzo, uno spazio transizionale in cui le parole possono incontrarsi con tutte le forme espressive, il rigore con la curiosità e il gioco, la disciplina con l’immaginazione. Giovanna è anche un mezzo (e sottolinea “mezzo”) soprano, una sfocata fotografa, un’artista naif. Vive in provincia di Ferrara, precisamente alla Cuccia, una piccola casa in uno sperduto borgo di campagna, con i suoi cani che nel tempo si avvicendano, ma che, sempre, sono a loro modo grandi maestri di vita.

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