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NOTE FERRARESI. L’inquinamento dell’aria, i lavaggi e gli alberi

Alcuni giorni fa due articoli usciti su quotidiani importanti ci hanno ricordato che l’aria che respiriamo tutti i giorni è una delle peggiori d’Europa. Il quotidiano britannico The Guardian ha dato rilievo internazionale al nostro territorio dichiarandolo per l’appunto uno dei più inquinati d’Europa, mentre il Sole 24 Ore ci ha informato che a Ferrara le medie annue relative al livello di Pm 2,5 hanno registrato una crescita di oltre sei punti percentuali, confermandola come una delle città tra le più inquinate non solo d’Italia, ma d’Europa.

A tale riguardo l’Assessore all’Ambiente di Ferrara in una intervista sulla stampa ha associato l’inquinamento dell’aria della città e, più in generale, della pianura padana alla particolare conformazione naturale del territorio.

Leggendo, mi è tornato alla mente Winston Churchill, Primo Ministro della corona britannica, quando commentò il fenomeno del Great Smoke che interessò Londra nel 1952. Quell’anno, la stagnazione dei fumi sulla città fu causata dall’inversione termica generata da un anticiclone che, nel periodo invernale, alimentava spesso nebbie e foschie. Le nuvole spesse intrappolarono i fumi di tutto ciò che usava carbone come energia motrice: dai camini delle case alle fabbriche, dai treni a vapore ai transatlantici.

Tale evento non fu un’eccezione; simili situazioni erano ricorrenti in inverno, anche se più brevi di quanto accadde nel 1952. Le fonti ufficiali parlarono di circa 4.000 morti, seppure ulteriori ricerche stimarono poi circa 12.000 decessi per malattie cardiache e respiratorie, casi di polmonite e influenze.

Tuttavia, il Primo Ministro dichiarò che si era trattato di morti naturali e insistette nel continuare a bruciare carbone per dare l’illusione di un’economia solida. Non disse, ovviamente, che gran parte delle morti avevano riguardato l’East London, la parte più povera della città, e che i venti e le correnti d’aria che arrivavano prevalentemente da ovest, dove crescevano i quartieri benestanti e più salubri, spostavano i fumi e lo smog sui quartieri popolari orientali.

L’Assessore Balboni, pur riconoscendo che le cause di questo inquinamento della pianura padana e di Ferrara dipendono in grande parte dalle caldaie a combustione, dai gas di scarico delle auto e dal comparto produttivo – e aggiungerei anche dagli allevamenti intensivi (del resto cause note da decenni) –, imputa alla particolare conformazione del nostro territorio questo ristagno di aria inquinata.

Che questo sia un carattere della Padania lo sappiamo da secoli; certo un tempo l’emissione di gas climalteranti non era ai livelli di oggi ma, per restare nel Regno Unito, nel 1963 il rapporto Traffic in Town di Colin Buchanan, tradotto e divulgato anche in Italia, mise in guardia dai potenziali danni causati dall’automobile, suggerendo al contempo modi per mitigarli o eliminarli, tra cui il contenimento e la diminuzione del traffico da bilanciare con la riqualificazione urbana, il potenziamento della mobilità pubblica e la costruzione di nuovi corridoi verdi.

Insomma, una strategia composta da scelte basate sull’intreccio di politiche di mobilità, di contenimento delle espansioni, di rafforzamento non episodico del verde urbano. Questa riflessione è continuata nei decenni successivi, arricchendosi di numerose esperienze, fino a giungere alle politiche orientate verso città car freegrazie a un fortissimo potenziamento del trasporto pubblico e della mobilità attiva. In sostanza, il primo passo da compiere – o programmare – è eliminare le cause e, nel frattempo, mitigare.

Quindi, ritornando a quanto prospettato dall’Assessore all’Ambiente, temo che la pulizia delle strade e la messa a dimora di alberi, seppur soluzioni positive, non siano sufficienti. Mi par di capire che anche i dati del progetto Air Break dimostrino un peggioramento della qualità dell’aria.

Si può contribuire a risolvere tale problema solo se lo si rende strutturale, agendo in maniera sinergica sulle diverse cause. Per quanto riguarda la mobilità, si tratta di potenziare il trasporto pubblico per chi vive in città e per chi ci viene da fuori, pensando a dei parcheggi scambiatori lungo le principali direttrici di ingresso (e non sotto le mura) collegati con navette e, perché no, in futuro anche con il tram.

La mobilità ciclistica va trasformata in un sistema di circuiti interconnessi (anche con il trasporto pubblico) e non una sommatoria di segmenti. È necessario aprire dei tavoli comunali, intercomunali, metropolitani, regionali e nazionali, dove affrontare, con risorse e progettualità, il tema del trasporto pubblico metropolitano, specie quello elettrico, invece di continuare a costruire autostrade e ponti arditi.

Certo, la soluzione non sarà immediata eppure, è necessario iniziare a parlarne, informare i cittadini non solo sulla qualità dell’aria, ma anche sulle scelte (visto che la qualità continua ad essere pessima) che una comunità, consapevole dei rischi a cui sta andando incontro, deve assumere in termini di mobilità e, più in generale di modello di sviluppo.

Il Sindaco di Ferrara (sempre il 3 ottobre sulla stampa) è stato chiaro quando ha dichiarato che per lui Ferrara è una sorta di grande ‘Circo Barnum’, quindi un immenso baraccone di eventi che mettono addirittura in secondo piano il restauro del campanile albertiano della Cattedrale.

E sulla mobilità cosa pensa? È intenzionato a dare attuazione al PUMS, ad ampliare le zone 30 e le ZTL, potenziare il trasporto pubblico per ridurre il traffico automobilistico di attraversamento che rende la città ostaggio delle auto e pericolosa per ciclisti e pedoni?

Diversamente, diventa retorico parlare di transizione ecologica. Se vogliamo sopravvivere, questo percorso va intrapreso con maggiore decisione e vigore, poiché riguarda certo le politiche, ma anche la consapevolezza (di noi cittadini) che qualcosa dovrà cambiare, anche nelle nostre abitudini e comportamenti.

La politica deve stimolare e agevolare questo processo di presa di coscienza e non soffiare sugli egoismi e i comportamenti individuali. Se vogliamo affrontare il problema della transizione ecologica, dell’inquinamento dell’aria, dei cambiamenti climatici dobbiamo passare dall’“io” al “noi”.

Non ci sono appartenenze partitiche che tengono e, come sostiene Gustavo Zagrebelsky, per governare crisi strutturali come quella che stiamo vivendo, servono politiche e azioni, e non i sedativi inoculati attraverso ricerche e approcci scientisti che girano attorno ai problemi, o i ricorsi a strategie comunicative tranquillizzanti o edulcorate.

Infine, nella parte terminale della sua intervista l’Assessore fa riferimento ad un generico forum europeo, dove verrà presentato il “modello” Ferrara.

Spero che nei prossimi giorni, tale modello ci venga spiegato, anche per capirne i punti di forza, visto che i parchi vengono trasformati in autopiste per eventi di massa, che muoversi in bicicletta significa passare da un segmento all’altro, cercando di farsi meno male possibile, che ormai le automobili si sono appropriate del centro storico, con strade residenziali trasformate in autostrade a scorrimento veloce con gare notturne di velocità, come Corso Isonzo o Via XX Settembre (l’elenco potrebbe essere più lungo ed esteso a periferie e frazioni), che, infine, lo spazio pubblico tende sempre più ad essere privatizzato.

Un “modello” è qualcosa che può divenire un punto di riferimento, di riproduzione, di imitazione e anche di emulazione, come è stato per l’addizione Erculea, di cui ritroviamo tracce in giro per il mondo. Se la Ferrara di oggi è un “modello”, significa che la via verso la transizione ecologica è un vicolo cieco.

Per leggere gli articoli di Romeo Farinella su Periscopio clicca sul nome dell’autore

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Romeo Farinella

Romeo Farinella, architetto-urbanista e professore ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara. Si occupa di problematiche urbane e paesaggistiche da almeno trent’anni. Prima di approdare a Ferrara ha vissuto in diverse città, tra cui Roma e Parigi e quest’ultima è diventata uno dei suoi temi principali di ricerca. Oltre a Ferrara ha tenuto corsi anche in Francia (Lille, Parigi), Cina (Chengdu), L’Avana e São Paulo e Saint Louis du Senegal. È stato direttore per alcuni anni del Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale di UNIFE.

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