NOTE DISORDINATE DI UN URBANISTA SUL FUTURO DI FERRARA
Il Parco Urbano Giorgio Bassani: l’addizione verde
La vista della colata di asfalto dei nuovi “stradelli” larghi circa sei metri (una strada a due corsie) del parco urbano Giorgio Bassani conferma che non si tratta di manutenzione stradale. Non è nemmeno l’adeguamento di un’area verde: è una scelta politica, forse una provocazione.
Uso questo termine perché il parco urbano, oltre a essere un’area verde, è in fondo anche un simbolo di questa città: è stato chiamato l’«addizione verde». Non è un bosco o una foresta, ma in tutti questi anni ha fortemente rafforzato la sua componente naturale e la sua biodiversità e costituisce un punto di partenza straordinario per costruire un vero bosco urbano, intrecciato con pratiche agro-ecologiche, che lo potrebbero rendere un diffuso e articolato servizio ecosistemico.
Ciò lo renderebbe il riferimento centrale di una futura trama verde e blu in grado di mettere in relazione centro, periferia e frazioni, puntando sulla qualità ambientale, paesaggistica e sulla mobilità ciclabile. Insomma, uno spazio da contemplare attraversandolo in silenzio, dove non tutto è immediatamente visibile, grazie ai giochi delle masse alberate e ad una campagna arricchita di vegetazione, ma dove la Porta degli Angeli e le mura, le ciminiere del petrolchimico, le masse edificate del Barco, di Pontelagoscuro o Francolino, ci rammentano che la città lo attornia.
Come ci insegna Leopardi, l’esperienza della percezione non si esaurisce nella vista immediata dell’immenso, ma si alimenta grazie all’esperienza del limite, della soglia, del passaggio da una dimensione all’altra che, generando stupore, diviene sublime. Le nuove strade di bitume di fatto trasformano il parco in un’area «fiere e mercati», come si diceva un tempo, per ospitare eventi e chissà cos’altro; comunque chi le ha progettate è a digiuno delle più basilari cognizioni di architettura del paesaggio (ricordo che le panchine si progettano con lo schienale, e si ombreggiano, in particolare nei parchi frequentati da persone anziane e da molte persone che amano sedersi all’ombra per leggere un libro).
I Parchi nel mondo
Nei social sta girando il messaggio di un avvocato (nel CDA della Fondazione Teatro Comunale), che ha affermato che tutti i parchi hanno le strade asfaltate; quindi, che cosa vogliono i contestatori di Save the Park? Perché rompono le scatole? In realtà le parole che ha usato sono più scurrili, forse è così che si parla nelle riunioni in Teatro, in ogni caso chi ha «postato» questo testo ha citato parchi non comparabili con quello ferrarese, perché tutti dentro ad aree urbane e non al limite esterno come il nostro.
Il Central Park di New York è grande quanto Ferrara dentro le mura ed è uno snodo di strade ciclabili che connettono quartieri diversi consentendo agli abitanti anche di recarsi al lavoro. A Londra, Hyde Park è appena più piccolo di Ferrara ed è attraversato da strade, mentre nell’Englischer Garden di Monaco vi sono addirittura sedi di istituzioni che devono essere raggiungibili.
A Parigi la quasi totalità dei parchi è in “stabilisée“, quindi terra compatta a granulometria variabile, per essere drenante (che si poteva usare anche a Ferrara al posto del bitume). L’asfalto o il bitume non si usa più, anche perché è un indicatore di consumo di suolo. Solo a Berlino il Tempelhof Park ha un grande asse asfaltato, ma è un ex aeroporto, oggi trasformato in parco e luogo di eventi. Questo dovrebbe insegnare qualcosa.
A queste considerazioni si sono poi aggiunte le recenti banalità di Moni Ovadia, il quale, per giustificare la risistemazione del Parco urbano (operata dalla Fondazione Teatro Comunale, di cui l’attore è consulente, e che forse si sta trasformando in società di ingegneria visto che asfalta strade), ha addirittura tirato in ballo le origini del teatro, a cielo aperto. Chissà se si riferisce ai riti dionisiaci, quindi pagani, basati su componimenti lirici dal ritmo, noti come “ditirambo”, che portavano anche al sacrificio di capre e capretti?
I luoghi per gli eventi
I termini usati per inquadrare i “rompi……” di cui parla il consigliere del teatro comunale o altre persone vicine all’amministrazione, evidenziano un astio nei confronti di chi non la pensa alla stessa maniera di chi sta governando la città. Sono toni quasi infantili, tipici del ragazzino prepotente che ha alle spalle un padre importante.
Spesso chi esercita un potere legittima il suo essere diventato potente con la foto di rito (la photo opportunity) dove abbraccia la star del momento, che ha nel contratto anche la foto con il committente (che sia Springsteen o Morandi fa lo stesso).
Del resto, una star illumina chi è nei suoi paraggi, ma è una luce effimera, un effetto momentaneo, non si passa alla storia per questo, al massimo si attraversa velocemente la cronaca. Premetto che in questo lungo dibattito sul diritto alla città e allo spazio pubblico, e l’imposizione di grandi eventi da parte dell’amministrazione comunale, nessuno si è mai dichiarato contrario agli eventi, si sono solo suggeriti altri luoghi. Questo è un punto di partenza da ribadire.
Ricerca scientifica e valutazione dei risultati
Le ragioni serie di chi si è opposto sono state ridicolizzate in nome di una euforia della leggerezza divenuta nuovo standard di felicità e spensieratezza (che in sé è del tutto lecita e condivisibile), ma espressa spesso attraverso una volgarità oratoria contro chi si opponeva, senza mai prendere in considerazione le argomentazioni, come se gli «ambientalisti» volessero togliere ai ferraresi il diritto al divertimento.
Una importante ricerca, a detta del sindaco, afferma che il concerto di Springsteen ha avuto un indotto di 10 milioni di euro. Bene, a beneficio di chi? Quali categorie di cittadini hanno tratto beneficio? Quali settori e quartieri della città hanno goduto di questi denari?
Trovo singolare che si dia conto di una ricerca condotta da ricercatori solo attraverso la sintesi giornalistica derivante dalle parole di un amministratore. La mia esperienza mi dice che una ricerca viene di norma presentata in una conferenza stampa o in un seminario dai ricercatori stessi, mentre il committente spiega il perché ha commissionato questo lavoro.
Vengono precisate le metodologie, la scelta degli indicatori, la griglia di valutazione adottata, insomma una ricerca, specie se di interesse pubblico, deve creare le condizioni per essere capita in profondità, ma anche per essere contestata, non ponendosi mai come una verità rivelata, come ci ha insegnato Karl R. Popper.
Ad esempio, l’indotto milionario ci sarebbe stato anche se il concerto si fosse svolto in un altro luogo? Avremmo avuto un risparmio senza i lavori di ripristino del parco urbano? E il disagio per la cittadinanza è economicamente valutabile? In ogni caso una analisi costi-ricavi con una ripartizione tra pubblico e privato sarebbe stata utile, altrimenti si prosegue “un tanto al chilo”.
Ferrara Summer Festival: ricaduta sull’occupazione
Le star del Ferrara Summer Festival stanno facendo tournée in questo momento in tutta Italia; i concerti ferraresi non sono quindi un’esclusiva. Si presume quindi che il pubblico venga da località vicine, usa la città e probabilmente lascia poco denaro. Anche in termini occupazionali il risultato sembra effimero: qualche posto precario nella ristorazione o nella sorveglianza, che svanirà con la fine degli eventi.
Tra l’altro le narrazioni esaltate dell’amministrazione sugli effetti benefici di questi eventi dovrebbero essere arricchite da dati sulla provenienza del pubblico che non sembra restare in città, probabilmente sono solo passaggi momentanei, come dicevamo. I dati sul turismo presentati in questi giorni non rassicurano ed evidenziano una realtà diversa da quella che viene raccontata. Chissà se nel quadro conoscitivo del PUG, in corso di elaborazione, queste dinamiche sono misurate? Sarebbe interessante una bella presentazione pubblica dello stato di salute della città, ma è una richiesta vana.
Ferrara Summer Festival: inquinamento acustico
Va segnalato anche un altro aspetto affrontato alcuni anni fa in una ricerca del CNR, ovvero che l’inquinamento acustico, oltre alla nostra salute, danneggia anche il patrimonio architettonico-paesaggistico e ci sono ricercatori che studiano la protezione dei beni culturali dagli effetti delle vibrazioni meccaniche circostanti, incluse quelle percepite dall’orecchio umano come rumore (es. un concerto da 100 decibel).
Alcuni anni fa nel Duomo di Milano furono installati dei sensori acustici per misurare e proteggere il monumento dai rumori. È stato fatto per la cattedrale e il campanile? Sarebbe interessante conoscere il parere di chi si occupa di conservazione e restauro dei monumenti.
Sicuramente il rumore eccessivo crea problemi alla salute, all’udito e all’equilibrio psico-fisico, di chi non riesce a dormire, come denuncia anche chi abita in zona darsena. Non è difficile quantificare il disagio essendo noto che i concerti normalmente oscillano tra i 100 e i 120 decibel mentre a 110 decibel si possono verificare danni all’udito anche dopo soli due minuti di esposizione.
Ferrara Summer Festival: effetti economici sulle attività commerciali
Ormai il dibattito riguardante la città su social e stampa locale è molto ricco, ma viene probabilmente percepito come un fastidio, trovo invece che sia una spia di dinamicità in una città da sempre definita silente e introversa (dagli stessi ferraresi).
In realtà, in questi giorni si sta leggendo di tutto sulla stampa locale, spesso con errori o grandi approssimazioni. Tornando alla piazza, parlando con molti commercianti del centro, gli effetti degli eventi sulle loro attività sono nulli se non controproducenti, anzi molti ferraresi (dicono questi commercianti di cui ometto il nome) non vanno neanche più in centro e la logica del concerto è che il pubblico verso le 18 inizia ad entrare nell’arena e quindi non interagisce più con la città.
Le mie sono considerazioni “da bar”, perché non ho dati statistici, ma misurano l’umore. L’immagine del commercio in centro non trasmette l’idea di una città prospera, certo si mangia e beve molto, ma sull’asse che dal Castello va a Porta Reno (ma anche nelle vie Mazzini e Garibaldi) le insegne chiuse da anni testimoniano una difficolta del commercio, vi sono anche due storici caffè chiusi da tempo immemorabile.
Alcuni marchi di abbigliamento prestigiosi e attrattivi hanno lasciato parecchi anni fa il centro storico (al contrario di altre città più dinamiche) per localizzarsi in un centro commerciale, dove i turisti non vanno. Chi propugna la «città dei 15 minuti», come strada verso la prossimità del commercio e dei servizi, deve essere consapevole che, per realizzarsi, nelle nostre città vanno chiusi (o ridimensionati) i centri commerciali, altrimenti è solo retorica o greenwashing comunicativo.
Inoltre, la crisi climatica ci pone nella condizione di ripensare anche il disegno degli spazi pubblici e delle strade per assorbire gli effetti generati dagli eventi meteorici estremi, aspetto segnalato da un gruppo di cittadini che vivono il problema ormai ricorrente dell’allagamento dei loro quartieri.
Ci aspetta un grande lavoro di adeguamento delle nostre città che, se ben indirizzato, costituisce una grande opportunità per migliorarle, anche con lavoro qualificato. Nel frattempo, percorrendo il vallo delle mura i segni del degrado di questo straordinario spazio sono sempre più evidenti: il percorso è molto degradato e pericoloso, il prato andrebbe gestito che non significa sfalciare tutto, ma mettere un po’ di ordine visto che molte panchine non sono più praticabili, molti tratti delle mura sono infestati da erbe e muschi e tra non molto non saranno più visibili.
Mobilità urbana
Dagli interventi sulla stampa letti in questi giorni, diversi rappresentati di enti economici, professionali ed esperti si sono espressi sul futuro della città e sono emerse questioni strutturali, come ad esempio la mobilità, ma anche molta confusione.
Il presidente dell’Ordine degli Architetti, dopo aver giustamente ribadito che il listone non è lo spazio adatto per grandi concerti ripetuti, ha addirittura dichiarato che per far vivere la città bisognerebbe aprirla totalmente alle auto, perché così fanno a Città della Pieve, in Umbria (7 mila abitanti), ma Ferrara dovrebbe confrontarsi con città come Utrecht, Bordeaux, Siviglia, Avignone che vanno in tutt’altra direzione.
Inoltre, l’odore di benzina che si respira sempre a Città della Pieve, e che viene citato come fattore di dinamicità, è dannoso alla salute, e le polveri sottili sono cancerogene, mentre nel 2035 non dovrebbero più essere vendute auto con motori termici come ha stabilito la Commissione Europea.
Il tema della mobilità urbana è strategico se si vuole transitare ecologicamente verso un futuro decarbonizzato. Ma lo è se si investe sul trasporto pubblico e ciclabile; in realtà a livello nazionale questa consapevolezza è affossata da politiche che continuano a identificare il futuro della mobilità nell’automobile privata. A Ferrara quali sono le politiche di futuro in termini di trasporto pubblico?
Internazionalizzazione di Ferrara: il ruolo dell’Università
Si è parlato molto anche della internazionalizzazione della città, ma Ferrara lo è da secoli e all’estero è molto più conosciuta di quanto si creda, ovviamente per la sua storia, la sua cultura e la sua università. La città era nei percorsi del Grand Tour, grazie all’Ariosto e al Tasso e quale città di provincia in Italia può vantarsi di avere avuto tra i suoi concittadini figure come Giorgio Bassani e Michelangelo Antonioni? Mi fermo qui.
Oggi la città potrebbe diventare un grande campus in grado di distribuire su tutto il territorio comunale gli effetti culturali ed economici indotti dal suo ateneo. Ma è un processo che va pianificato, mettendo attorno ad un tavolo stabilmente tutti gli attori coinvolti ed elaborando un progetto strategico di internazionalizzazione incentrato su «Ferrara Città-Campus».
L’università, oltre ad essere una delle principali imprese della città, è anche uno straordinario attore di rigenerazione urbana in maniera diretta (visto che è proprietaria e/o gestrice di edifici e spazi) e indiretta (viste le dinamiche sociali, economiche e culturale indotte: dagli studenti che richiama in città, dall’attivismo del suo corpo docente e dai numerosi eventi internazionali che organizza).
Certamente bisogna affrontare in maniera strutturale diversi problemi, in particolare la mobilità pubblica e ciclabile e l’alloggio che sono punti critici cha da tempo gli studenti segnalano, in tutta Italia (oltre alla carenza di spazi).
Si è tenuto recentemente un seminario organizzato da ASCOM sul tema del fabbisogno abitativo, non solo studentesco, e sono emersi temi importanti, ma anche alcuni limiti che, nella visione strategica che citavo, potevano essere affrontati prima.
Il tema è nazionale, e non solo ferrarese, ma l’impressione è che si tratti di processi lunghi, mentre le proposte da parte dei privati sembrano deboli, incentrate su richieste di detassazione, quando delle misure in realtà ci sono già, come il canone calmierato o la cedolare secca, che però non vengono sfruttate perché probabilmente gli affitti brevi fanno più comodo.
L’amministratore delegato di Nomisma ha fornito un quadro chiaro dei punti critici, indotti anche dal non aver affrontato il tema “alloggi” per tempo, e ribadisce giustamente che ci sarebbe bisogno di un intervento pubblico, ma l’impressione è che a Ferrara, ad esempio, nessuno abbia associato il tema degli studentati pubblici ai fondi del PNRR (spero di essere smentito), mentre un rischio è che si possa creare tensione tra chi ricerca alloggi in locazione e le esigenze abitative degli studenti.
Il ricorso al Co-housing residenti/studenti proposto da CIDAS può essere un palliativo dall’effetto molto limitato, per tante ragioni, come dimostrano esperienze di altre città. Si tratta di numeri piccoli, in ogni caso il contributo di un’azione di tale tipo potrebbe essere più efficace se inserito dentro la prospettiva strategica di cui parlavo prima, ma che pare al momento non prendere forma.
A livello nazionale nel dibattito sul PNRR emerge la mancanza totale di una politica pubblica per il diritto allo studio, mentre sono stati dati milioni di euro di fondi pubblici a gestori di studentati privati, che praticano una politica dei prezzi non certo calmierata.
Il recente piano per la casa del Comune di Bologna, presentato ad aprile scorso, ha programmato 200 milioni per i prossimi 5 o 10 anni, per circa 3 mila alloggi dedicate alle fasce più marginali, agli studenti, a chi cerca un affitto a canone agevolato: una esperienza di grande interesse come, del resto, il recupero dell’area delle Vele a Scampia, Napoli, dove i fondi PNRR sono stati utilizzati per avviare un grande progetto di rigenerazione urbana insieme ad associazioni, comitati e cittadini e che vede l’università come attore importante.
Infine, la distribuzione degli studenti al di fuori delle mura pone seri problemi di mobilità pubblica, che dovranno prima o poi essere affrontati seriamente, come dicevo sopra. Ferrara insomma è una città che potrebbe diventare un campus esteso, dove la vita universitaria si intreccia virtuosamente con quella della città, dove la dimensione locale si alimenta di scambi internazionali ma bisogna pianificarlo, non lo diventa da sola.
L’impressione è che in città l’università venga vista come una opportunità economica per alcuni, ma anche come un corpo un po’ distaccato dalla città e dalla sua vita sociale e culturale. Questo è quanto mi sento spesso ribadire nei vari consessi democratici e partecipativi dove vengo invitato.
Governare la complessità
Insomma, le questioni emerse in città, in queste settimane, sono rilevanti non solo localmente. In questo momento storico lo sono ancora di più perché, per garantirci la sopravvivenza, dobbiamo necessariamente «decarbonizzare» il nostro ambiente e le nostre menti. Questo significa anche mettere in discussione le nostre abitudini e i nostri modelli di sviluppo, forse molti non ne sono ancora consapevoli.
Rientrati dalle vacanze, vista la ricchezza del dibattito, delle opinioni espresse da vari attori, visti anche i tanti silenzi di soggetti e cittadini, con ruoli importanti, che non si sono mai espressi, potrebbe essere interessante se le testate giornalistiche ferraresi organizzassero alcuni momenti di confronto pubblico, o una giornata di dibattito, sereno, tranquillo, argomentato, su come potrebbe cambiare Ferrara nella prospettiva della transizione ecologica, consapevoli che il futuro di Ferrara e del pianeta, non è riconducibile solo alle logiche del mercato, che il futuro del mondo non può essere appannaggio degli interessi del «privato», con il «pubblico» nel ruolo di facilitatore, e che nemmeno il “soluzionismo“ tecnologico può regolare tutti i problemi.
La transizione ecologica richiede a tutti delle scelte di campo e la tecnica, se deve essere oggettiva, non significa che debba essere neutrale rispetto a scelte che si intrecciano con i problemi sociali e delle disuguaglianze. Probabilmente la risposta è nel governo della complessità e non nel pensare gli elementi (lavoro, mobilità, cultura, diritti, ecc.) in sé stessi, ricercando soluzioni individuali o per settore.
Se vogliamo rendere i nostri stili di vita, i modi di produzione e di organizzazione sociale compatibili con la necessità di mantenere abitabile il pianeta bisogna iniziare a disinquinare il dibattito pubblico, demolendo le false promesse o le illusioni. È necessario essere lucidi su questi temi per il bene di chi verrà dopo di noi.
Ferrara: il culto dell’asse urbano
Una riflessione finale su Ferrara. Stiamo parlando di una città storica unica per le sue caratteristiche urbane. La piazza Trento Trieste e il largo del Castello costituiscono il punto di contatto tra due modelli di città: quella lineare, medioevale e l’addizione erculea. Quest’ultima è l’adattamento ad una città reale, ad un sito geografico particolare, di un modello teorico rinascimentale.
Ferrara è la città dove prima di altre il culto dell’asse diviene fatto architettonico e urbano allo stesso tempo (il Corso Ercole I° d’Este). Il culto dell’asse urbano è uno dei grandi temi che il pensiero architettonico e urbano italiano ha dato al mondo, partendo da Ferrara, passando per la Roma di Sisto V°, transitando per il barocco, arrivando a Versailles per essere poi enfatizzato dalla Parigi di Haussmann.
Panos Koulermos, professore greco di architettura alla UCLA di Los Angeles, quando mi vedeva mi ricordava sempre che Ferrara è l’unica città dove dal centro si vede (idealmente) la campagna, e questa ancora esiste dentro la città, fattore che stupisce sempre chi riesce a scovarla.
Il Corso e prima ancora Via Savonarola (addizione Adelarda), sanciscono la nascita della via “palazziale” che poi verrà esaltata dalla Strada Nuova di Genova, mentre l’architetto Sebastiano Serlio, portato alla corte di Francia dal Cardinale Ippolito II d’Este, costruendo a Fontainebleau per il prelato la residenza della Grande Ferrare, fisserà per un secolo i caratteri degli hôtel particulier costruiti dall’aristocrazia parigina a Parigi e in Francia.
Non mi dilungo sulla Ferrara novecentesca. Ecco perché Ferrara è già internazionale, questo patrimonio va trasformato in un progetto consapevole e non effimero. Ferrara non è un evento (il che non significa che non possa ospitarli nei posti adatti) è un palinsesto intrecciato di storia materiale e immateriale.
Ferrara, come scrisse lo scrittore francese Michel Butor , è una città sognata che non ha mai avuto del tutto luogo e quindi il quadrivio e altre parti sono dei morceaux réels d’une ville rêvée. Credo sia necessario ripartire da questo sogno per costruire una visione di futuro fondata sui problemi di oggi, drammatici, per contrastare la trasformazione di un sogno in un incubo.
Sostieni periscopio!
Romeo Farinella
Commenti (14)
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Analisi impeccabile, grazie
Leggere questo articolo mi ha dato respiro! Immaginare che Ferrara possa, in continuità con la sua storia, incamminarsi con passo deciso verso una serie di interventi sistemici all’altezza delle grandi sfide in cui siamo immersi, in primis la transizione ecologica. E che questa possa farsi coniugando bellezza, leggerezza, soddisfazione dei suoi cittadini …
Bella anche la proposta che alla fine dell’estate si possa organizzare uno o più eventi sulla visione della città. Ferrara 2030? Ferrara 2050?
Un testo concettualmente complesso ma di lettura agevolissima per la sua adesione al concreto dei temi e dei problemi e la gradevole sensazione che nulla venga lasciato al telodicoiochenesopiùdite.
Bene prof. Farinella. Solo dalla cultura e dall’università può venire una visione di città che superi le ristrette vedute indotte dalle ambizioni personalistiche, di bottega e di partito della classe politica attuale.
“Quest’area che sarà fatta vivere il più possibile con eventi”:queste le parole dell ass. Gulinelli alla inaugurazione domenica di quella che è una nuova area eventi in luogo dell “antico parco urbano G. Bassani”.Quindi prima(di loro) era un area morta, una vasta plaga paludosa e malarica, con fumi e miasmi portatori di febbri e quanto altro.
Quel “il più possibile ” denota una pervicacia degna di altre e più utili urgenze cittadine. Ferrara è sopravvissuta a terremoti veneziani papalini bombardamenti:sopravviverà anche ai nuovi sgangherati edificatori.
Un articolo strutturato e scritto molto bene, nulla da eccepire. Ma per quanto riguarda i contenuti invece sono assai lontano dal condividere una visione di questo tipo, in quanto ho come la sensazione che aleggi sempre una sorta di “conservatorismo” tipico di chi sente Ferrara come sua, e non accarezza l’idea che le cose possano cambiare con l’evolversi degli usi e dei costumi.
Io sono arrivato a Ferrara da universitario nel 2008, e ci sono rimasto a Ferrara poiché ora l’ho trasformata nella mia casa.
In 15 anni che sono stato su Ferrara, passando da studente universitario a dirigente d’azienda, posso con assoluta certezza confermare che gli ultimi due anni siano stati indiscutibilmente i più vivi ed i più moderni. Sia chiaro: a me non importa chi o quale amministrazione fa cosa, non è intelligente ridurre a tifo da stadio il proprio pensiero politico. Ed io non sono nemmeno mai stato vicino al pensiero di destra (in particolar modo della lega) ma quello che è successo a Ferrara è un bene secondo me, non siamo più quella città snob e radical chic che si crogiuola nel prestigio storico e nel fascino decadente che ha sempre avuto.
Ferrara adesso fa gola, il Summer festival ha avuto ripercussioni nazionali ed internazionali di forte impatto, e non si dica che è un evento fatto per “i giovani” perché la rassegna ha coperto tutte le fasce d’età.
Tantissimi ragazzi, tantissimi universitari del domani, ricercatori, professori, professionisti sono passati per Trento Trieste a godersi un concerto in una cornice più unica che rara, e molti di questi probabilmente possono aver maturato l’idea che, tutto sommato, fare l’università a Ferrara o venire a lavorare qua, non è per niente male.
Pensiero impensabile qualche anno fa (epoca pre-covid), io ho visto l’esodo di tanti miei amici che sono SCAPPATI da una città che vantava il numero mensile medio di prescrizioni antidepressive (Xanax per esempio) più alto dell’Emilia Romagna.
Con umiltà, se fosse possibile, vorrei provare a dare un consiglio: per una volta sarebbe utile semplicemente “restare a guardare” invece di muovere critiche immediate, dare il tempo alle persone di fare, sbagliare ed imparare dai propri errori. Una volta si diceva “ai posteri l’ardua sentenza”, ma sfortunatamente la posterità è un lusso che questa società non è molto incline a concedere.
Mi è piaciuto leggere questa lunga riflessione. Concordo con le tesi dell’autore, ma più di tutto apprezzo il tono tollerante, la mancanza di animosità verso chi pensa diversamente e, in questo caso, agisce diversamente, mostra una diversa “visione”. Grazie
perfettamente d accordo con quanto scritto. Il voto di rivolta dei ferraresi contro chi ha governato la città in questi ultimi decenni, è secondo me giustificato dal modo in cui è stata amministrata la città negli anni passati. Decisamente male. Ma chi governa è secondo me non solo un colore politico, ma soprattutto deve essere persona intelligente e capace. Qui fino ad ora sono stati fatti gli interessi di ” alcuni” commercianti. E’ ciò è senz altro positivo….se però non si danneggiano o non si fa nulla per tutti gli altri ferraresi. La fine dell addizione verde, con relativi sotterfugi, va in questa direzione: tutto ciò che esiste a Ferrara deve essere sacrificato nella logica del commercio: il parco. la darsena, la piazza..e non è finita. Tutto il resto non conta nulla. Ma il benessere dei cittadini non si misura solo sui panini o birre vendute.
Un bel pezzo che guarda seriamente le esigenze della città. Complimenti!
Devo fare un appunto per quanto riguarda la riqualificazione commerciale cittadina.
Il commercio al minuto negli ultimi trenta anni é passato dalla esplosione dei centri commerciali, alla creazione di outlet city per poi sfociare nel commercio online.
É quest’ultimo che in questi anni la sta facendo da padrone, conquistando il gradimento dei consumatori.
Outlet prima di centri commerciali a ruota saranno destinati a un sempre più rapido declino.
Proprio in questa situazione di evoluzione del mercato, il commercio locale ha necessità di trovare nuovi indirizzi.
Una attenta amministrazione già dovrebbe aver individuato il tipo di sviluppo utile alle attività al minuto e iniziato a favorire la creazione di eccellenze locali e prodotti artigianali attraverso corso di formazione per nuovi imprenditori e riconversione di attività esistenti.
Non troppo in là nel tempo, le attività che svilupperanno maggiormente saranno: in primo luogo l’enogastronomia, in tutte le sue declinazioni; tutte le altre attività artigianali in grado di favorire lo sviluppo di un prodotto caratteristico e di nicchia, esempio le sartorie in luogo di negozi di abbigliamento casual (manufatti acquistabili online).
Soprattutto in una città come Ferrara, dove esiste la necessità di un forte turismo a carattere culturale, richiede una maggiore sinergia con attività commerciali e artigianali che rafforzino questo indirizzo.
Analisi complessa ma impeccabile che condivido in pieno. La visione di lungo respiro della visione della città nel suo complesso da la misura della cultura di chi l’amministra.
Un’analisi lucida, colta e non faziosa. Rende evidente la mancanza di un progetto che coinvolga la città nella sua completezza, un progetto di lungo respiro.
E’ tutto da condividere, soprattutto per la “visione. Ma esiste un modo per ovviare agli errori di un’ amministrazione?(fra cui l’asfaltatura al parco Bassani e’ un esempio lampante!).
Breve e sintetica analisi che diventa un indicazione progettuale, una traccia metodologica per ri-pensare Ferrara . Apprezzo molto la sintesi tra realtà e sogno che genera una fascinazione immaginaria la quale genera la necessità del “viaggio”: quel turismo che assieme al tempo si riesce a creare.
Condivido pienamente la colta e ineccepibile analisi che fa una sintesi fra realtà e sogno per quello che riguarda la nostra città.
Ero amica di Paolo Ravenna e ho nostalgia dei suoi progetti su Ferrara: sembravano sogni, invece divennero realtà.