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NON È MALTEMPO, È CRISI CLIMATICA .
Verso la manifestazione regionale del 26 ottobre a Bologna

In molti, tra tecnici e politici, avevano spergiurato che i fenomeni alluvionali verificatisi in particolare in Romagna nel maggio 2023 avevano caratteristiche del tutto eccezionali e che capitavano ogni 100-200 anni. Non ho, ovviamente, alcun compiacimento nel vedere come, purtroppo, queste previsioni si sono dimostrate del tutto fallaci, guardando a ciò che è successo in Romagna, in Appennino e anche in altri territori italiani nei giorni scorsi.
Ormai è sempre più evidente come i pesanti fenomeni alluvionali (e poi, ragionamento specifico, ma analogo, si potrebbe fare per quelli sciccitosi) sono il prodotto congiunto del cambiamento climatico, dello sfrenato consumo di suolo e dalla mancata prevenzione e contrasto rispetto al dissesto idrogeologico. Cambiamento climatico che fa sì che si alternino in modo sempre più ravvicinato precipitazioni intense e irregolari e aumento delle temperature dell’aria e dei mari. Consumo di suolo che significa, contemporaneamente, impermeabilizzazione dello stesso ed edificazione diffusa e in aree improprie. Mancato contrasto al dissesto idrogeologico, che comporta l’amplificazione dei rischi in territori già di per sé fragili.

A questo riguardo, per stare all’Emilia-Romagna, i dati sono impietosi: solo per esemplificare, secondo l’ultimo rapporto di Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione la Ricerca Ambientale, lEmilia-Romagna risulta essere la quarta regione in Italia per consumo di suolo netto nel 2022 rispetto al 2021: 635,44 ettari di suolo perso e il valore relativo al 2022 è superiore dell’8% alla media delle ultime sei annualità.
Tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione del Paese per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale. L’80% di questa superficie riguarda aree a pericolosità idraulica,
dove è alto il rischio di esondazioni. Inoltre si consuma suolo nelle aree protette (+2,1 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità di frana (+11,8 ettari nel 2020-2021) e nelle aree alluvionali, dove l’Emilia-Romagna registra purtroppo un record nazionale.

A fronte di questa situazione, si rimane costernati, per usare un eufemismo, dalla volgare strumentalizzazione elettorale messa in campo dal governo, ad alluvione ancora in corso, rispetto all’individuazione delle responsabilità addossate unicamente alla Regione Emilia-Romagna. Come, d’altro canto, è debole e insufficiente la risposta data da quest’ultima, nel momento in cui si è sostanzialmente limitata a denunciare quest’atteggiamento governativo.

Chi ha responsabilità di governo nazionale e regionale dovrebbe sentirsi in dovere di dare un riscontro preciso alle popolazioni colpite ben 3 volte in quest’ultimo anno e mezzo, offrire un resoconto preciso delle risorse stanziate e degli interventi realizzati, ciascuno per la propria parte di competenza.

In ogni caso, non si può continuare a stare a guardare e chiedere semplicemente ai governi nazionali e regionali di chiarire le azioni da loro messe in campo.

E’ a partire da qui che numerose realtà ambientaliste e sociali della nostra regione, iniziando da RECA ER (Rete Emergenza e Climatica e Ambientale ER), insieme a Comitato Besta BO, Comitato contro ogni autonomia differenziata ER, Confederazione Cobas BO, Legambiente ER, Parents for future BO, Un altro Appennino è possibile, USI CIT BO, PR. MO e RE, hanno deciso di promuovere un’importante manifestazione regionale sulle questioni ambientali a Bologna per il pomeriggio di sabato 26 ottobre.

Ci ripromettiamo di rendere evidente, oltre all’inaccettabile negazionismo del governo, che fa il paio con le volontà repressive di colpire qualunque forma di dissenso, come fa il disegno di legge 1660 sulla “sicurezza”, anche la forte assenza e le politiche sbagliate prodotte dalla Regione Emilia-Romagna su questo terreno.

Esemplificativo, prima di tutto, è il magnificato Patto per il lavoro e il clima del 2020, che ha visto l’opposizione di RECA ER sin dall’inizio e, poi, anche il ritiro della firma da parte di Legambiente ER poco più di un anno fa. A distanza di pochi anni non si può non vedere come esso sia andato incontro ad un deciso fallimento, rivelandosi, da una parte, come un “ libro dei sogni” senza essere supportato da iniziative concrete e, dall’altra, come foglia di fico che ha legittimato scelte che hanno continuato a procedere in direzione contraria rispetto al contrasto al cambiamento climatico e alla necessità della transizione ecologica.

Basta pensare, ad esempio, al fatto che, rispetto ad uno degli obiettivi più importanti definiti a parole nel Patto per il lavoro e il clima, e cioè il raggiungimento del 100% sui consumi finali di energia da fonti rinnovabili, nel 2023 siamo solo al 23%, oppure all’aver assecondato le politiche governative basate sul rilancio dell’utilizzo del gas, con la realizzazione del rigassificatore di Ravenna, continuato con un’idea di mobilità fondata sul trasporto privato su gomma (vedi il Passante di mezzo a Bologna), proseguito nella privatizzazione dei beni comuni, a partire dal ciclo dei rifiuti e dall’acqua, prorogando tutte le gestioni esistenti fino alla fine del 2027, che si è risolto, nella sostanza, nel fare un grande favore alle multiutilities Hera e Iren.

Potrei continuare su questo piano, ma, a riprova, è sufficiente vedere come vengono presentati i risultati del predetto Patto per il lavoro e il clima nella pagina web della Regione ad esso dedicata. Lì campeggiano, prima di ogni altro dato, tutte le buone prestazioni dell’Emilia-Romagna in termini di sviluppo quantitativo (PIL + 4,7% rispetto al 2019, export + 8,1% sempre rispetto al 2019, apertura internazionale + 4,1%), indicatori che, com’è noto, non significano nulla, se non persino possono essere peggiorativi, in relazione all’approntamento di politiche efficaci dal punto di vista ecologico, orientate a perseguire un miglioramento della qualità della vita e dell’ambiente in cui siamo immersi. E, infatti, quando si arriva alla presentazione dei dati più specifici alla transizione ecologica, si vedono, accanto a omissioni, quanto i risultati siano modesti.

La manifestazione regionale del 26 ottobre, peraltro, non vuole semplicemente indicare la necessità di una svolta radicale per invertire le politiche sbagliate sinora condotte dalla Regione sui temi ambientali, ma intende prefigurare anche le scelte alternative che si tratta di mettere in campo e che, appunto, investono l’insieme del modello produttivo e sociale dominante, visto la connessione stretta esistente con lo stesso.
Parliamo
di avviare l’uscita dall’economia del fossile, a partire dalla messa in discussione del rigassificatore di Ravenna, del CCS e del gasdotto, per realizzare più rapidamente possibile il passaggio al 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili; di difesa, ripubblicizzazione ed estensione dei beni comuni, iniziando dall’acqua e dal ciclo dei rifiuti; di una moratoria su tutte le opere che prevedono ulteriore consumo di suolo, con particolare riferimento ai poli logistici, e invece della messa a punto di un programma serio di rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, di riassetto idrogeologico e di tutela del verde; di radicale rivisitazione della legge regionale in materia di consumo di suolo e uso del territorio; della ridiscussione delle grandi opere stradali in rapporto ad un’idea alternativa di mobilità, fondata sul rilancio del trasporto collettivo e di quella ciclabile e pedonale.

E altro ancora che va nella medesima direzione, dal fermare nuovi impianti a fune volti a sostenere lo sci da discesa e nuove piste da sci alla ridiscussione degli assetti aeroportuali e allo stop definitivo all’espansione degli allevamenti intensivi.

Infine, ovviamente, facciamo riferimento alla necessità di approvare le 4 leggi di iniziativa popolare regionale promosse da RECA ER e Legambiente ER e sottoscritte da più di 7000 cittadini emiliano romagnoli in tema di acqua, rifiuti, energia e stop al consumo di suolo che, nonostante siano state presentate alla fine del 2022 e siano trascorsi più dei 18 mesi entro i quali esse dovevano essere discusse dall’Assemblea regionale, sono state praticamente ignorate dalla discussione politica regionale.

Un momento di riflessione e confronto: Bologna, 5 ottobre, ore  9,00 – 17,00

Questo fa emergere anche un problema di democrazia, e, in particolare, di quelle forme che prevedono l’attivazione diretta delle persone e dei soggetti sociali operanti nel territorio e che ha spinto le realtà che, in questi anni, si sono cimentate in questi percorsi a promuovere un importante momento di riflessione e proposte il 5 ottobre a Bologna (vedi sotto programma definitivo)

Ho ben chiaro che la manifestazione del 26 ottobre si svolgerà nel pieno della campagna elettorale delle prossime elezioni regionali – ed è una scelta voluta di collocarla in questo contesto. Ancora una volta, a parte l’impegno della lista di sinistra Emilia-Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro, sembra emergere che le forze politiche maggiori, di centrosinistra e di destra, siano animati più da logiche di collocazione e schieramento politico piuttosto che da una discussione reale sui contenuti e sulle scelte che si intendono compiere per il futuro, su cui, in particolare per quanto riguarda le politiche regionali, non sembrano portatrici di visioni realmente alternative. Persino il tema che finora sembra essere maggiormente al centro della discussione, quello relativo alla sanità, non presenta queste caratteristiche, visto che sia il centrosinistra che la destra, al di là dei tatticismi del voto parlamentare in Europa, si ritrovano nel condividere il nuovo Patto di stabilità dell’UE, che prevede per i prossimi 7 anni austerità e taglio alle spese sociali.

Ma, proprio per questo, serve far sentire la voce delle persone, dei soggetti sociali e politici che propongono il tema di costruire un modello produttivo e sociale alternativo a quello dominante anche in Emilia-Romagna, a partire dall’esplicitazione dei contenuti su cui esso si può costruire. Da questo punto di vista, l’affermazione di un nuovo paradigma sulle scelte da compiere sui temi ambientali ( e non solo) diventa un banco di prova importante e una forte partecipazione alla manifestazione regionale del 26 ottobre può utilmente rafforzarla.

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In copertina: Il Senio esondato allagando le campagne di Cotignola (RA), settembre 2024 (foto Condifesa Ravenna)

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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