Skip to main content

Ho passato poco più dei miei sessant’anni a rincorrere quella chimera che è l’equità sociale, ho frequentato la politica attiva, dapprima come semplice simpatizzante, e poi come militante attivo, ho letto migliaia di pagine per la mia fame di conoscere.

Ho frequentato ambienti di estrema sinistra per poi accorgermi che le utopie sono, si, affascinanti da teorizzare, ma si scontrano, quasi sempre, con la realtà, che ci procura bruschi risvegli.

Come tutti i romantici, però, gli anni di militanza e un’analisi spietata della mia personalità, mi hanno fatto comprendere che quella non era la strada giusta per provare, non dico a cambiare il mondo, ma, quantomeno, a dare il mio, seppur minimo, contributo al cambiamento.

Non pretendevo di essere un protagonista della vita pubblica, non ho né il fisico, né le propensioni a mettere in mostra il mio ego, ma mi sarei accontentato di accorgermi che le ore passate a leggere e ad occuparsi degli altri, potessero darmi il segno di essere stato utile.

Tutto ciò, le mie delusioni, le mie illusioni crollate di fronte alla vita reale, hanno avuto una vera svolta, il giorno in cui mi sono approcciato con il mondo della protezione civile.

Confesso che, forse, mi ci sono avvicinato in un momento difficile della mia vita professionale, forse per noia o, forse, per mera curiosità, ma, anche solo la minuscola opportunità di rendere il mio operato utile alle persone, mi ha fatto decidere di iscrivermi ad un’associazione di Protezione Civile (PC).

Come in ogni cosa che ha camminato al mio fianco, ci ho messo tutto l’impegno, dapprima leggendo le leggi che regolamentano la PC, e poi intervenendo attivamente con le mie idee all’interno delle riunioni o delle assemblee. Ciò mi ha dato l’opportunità di mettere in gioco tutto quello che, per una vita, è stata la mia filosofia, la mia, prepotente, voglia di provare nuove strade e di tentare di percorrerle per dire a me stesso, il giorno in cui dovrò abbandonare la vita terrena, che essa non è stata inutile e che ha aiutato buone pratiche di cambiamento.

Durante questi anni in PC, tutti noi abbiamo avuto l’opportunità di scontrarci con una problematica di natura sociale molto pesante, che la pandemia ha solo messo in forte evidenza, ovverosia la solitudine, il senso di abbandono di una parte della società che fatica a fare le faccende più semplici ed ovvie, quali recarsi dal medico, all’ospedale per una visita od anche, semplicemente andare in farmacia o a fare la spesa.

Ed eccola, quindi, l’occasione di aprire la mia propensione al cambiamento e alle innovazioni, coadiuvato da un bel gruppo di volontari che, come me, volevano rendersi utili alle persone meno fortunate, abbiamo organizzato un servizio di trasporto sociale, servizio che non avviene attraverso un listino, che non sarebbe né equo né, tanto meno, solidale, ma attraverso le donazioni volontarie delle persone che trasportiamo.

Ecco, quindi e finalmente, che mi si è aperta l’alba dei miei sogni, finalmente ho avuto, netta, l’impressione che se ci si crede, se ci si lavora con impegno e devozione, si può, davvero cambiare i paradigmi che regolano le convivenze civili, si può vedere l’altro con il nostro stesso sguardo e non da altezze diverse, si può tendere la mano a chi, anche solo temporaneamente, vive in solitudine ed in difficoltà.

Non è facile, scrivendolo, raccontare le emozioni che si possono provare nello svolgimento delle attività sociali e di protezione civile, le parole possono sembrare vuote e fredde, ma il sorriso, i piccoli gesti di ringraziamento delle persone sono in grado di riempire, nel profondo, il cuore di chi ha deciso, come me, come noi, di dedicare un po’ del proprio tempo libero per occuparsi delle persone.
Per semplicità posso provare a raccontare una giornata tipo del volontario che, come me, si dedica a quelli che mi sento di definire bisogni primari delle persone.

Prima di tutto perché li definisco bisogni primari?
Perché in caso di qualsiasi emergenza, soprattutto ambientale, il sistema di protezione civile interviene per soccorrere chi ha subito danni personali o alle proprie cose, ma, poi, chi si occuperà dei loro bisogni, quali reperire le medicine o il vestiario, irrimediabilmente perso nell’emergenza, chi ascolterà i bisogni, che possono sembrare, di poca importanza, ma fondamentali per la sopravvivenza di chi subisce l’emergenza, se non i volontari?

Allora ci si affianca a coloro che stanno, materialmente, occupandosi di rimettere il sistema in attuazione, e si ascoltano le esigenze, cercando di trovare la giusta strada per risolverle.
Lo so, sono consapevole che quanto siamo facendo, io ed i volontari della nostra associazione di PC, è una piccola goccia che rischia di perdersi in mezzo ad un mare fatto di egoismi, personalismi e conflitti sociali, ma le risposte morali, i gesti di affetto e di riconoscimento delle persone che trasportiamo, sono l’evidenza che, ancora una volta, attraverso le piccole cose ed i piccoli gesti di solidarietà, si possono interpretare grandi rivoluzioni pacifiche, che, davvero possono dare l’abbrivio al cambiamento del mondo.

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Stefano Peverin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *



Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it