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Navalny ucciso, Assange in bilico

Quattro giorni fa l’omicidio di Stato di Alexei Navalny. Era un uomo segnato, perseguitato, condannato e incarcerato più volte. Doveva finire così, lo Zar l’aveva deciso da tempo, aspettava solo il momento buono, si stava divertendo a giocare al gatto col topo, ma ora il topo era catturato, chiuso in una gabbia piccola piccola, lontana lontana, ora era arrivato il tempo di ammazzare quel topo, di spegnere anche quella luce. Mentre il corpo pieno di lividi non viene ancora restituito alla madre e alla moglie – una fonte racconta che ci vorranno almeno due settimane – è già tremenda l’immagine della sua ultima prigione, un fabbricato basso assalito dal vento e dalla neve. Un inferno di ghiaccio.

La Siberia, l’abbiamo tutti nella memoria, è un simbolo dell’era zarista e staliniana, un luogo abbandonato, spoglio di uomini e di cose, esposto a una natura matrigna. Penso a Navalny, il blogger provocatorio e creativo, lo rivedo sorridere e ammiccare in tanti video che bypassavano i controlli e la censura e arrivavano in Occidente. Allora mi era sembrato quasi un uomo allegro, divertito dal tiro che era riuscito a mettere a segno contro lo Zar.

Ma Alexei Navalny non era un personaggio in grado in nessun modo di contendere il potere di Vladimir Putin, probabilmente nemmeno ci pensava. Era diventato famoso in Occidente, seguito e apprezzato tra i giovani di Mosca e San Pietroburgo, ma era sconosciuto nella sterminata provincia russa. Era un oppositore, non un rivale.

A meno di un mese dalle prossime (finte) elezioni presidenziali, Putin gode di oltre l’80 per cento dei consensi. Perché allora tanta crudeltà? Perché annientare e poi eliminare fisicamente un uomo come Alexej Navalny? Per quale ragione, perché era necessario rinchiuderlo in una gelida trappola per topi e dargli il colpo di grazia? In realtà, la verità, è che Navalny, come tutti gli altri “nemici” di Putin (oligarchi, militari, ministri, giornalisti) negli ultimi dieci anni non sono stati eliminati perché rappresentavano un pericolo, ma solo per ribadire l’onnipotenza del Lider Maximo e rispondere alla sua ansia paranoica ormai fuori controllo.

Così in Oriente, nell’ex superpotenza, nell’impero del male dove i diritti, tutti i diritti, sono sospesi. In Occidente è invece passata la Rivoluzione Francese, in Occidente tutte le Costituzioni proclamano i diritti fondamentali, la libertà di associazione e di espressione. Avrebbe quindi tutte le ragioni l’Occidente a condannare l’Oriente: in effetti lo fa tutti i giorni, tre volte al giorno. Peccato che in Occidente, negli Stati Uniti in primis, ma anche nella vecchia Europa, assistiamo a una progressiva compressione dei diritti costituzionali. La lunga scia del nazionalismo, dell’integralismo, del populismo, la crescita e l’avvento al governo delle destre, il successo elettorale dei partiti fascisti e postfascisti, sono tutti fattori di quella che è ormai diventata una vera e propria “crisi della democrazia”. 

Il calvario umano e giudiziario di Julian Assange, fondatore Wikileaks e campione del giornalismo libero, è una macchia nera nell’anima dell’Occidente. È rinchiuso da anni in un carcere di sicurezza britannico, senza nessuna condanna e senza una imputazione precisa, il suo fisico è allo stremo.
Oggi 21 febbraio è un giorno decisivo. L’Alta Corte di Londra deciderà con sentenza definitiva sulla sua estradizione negli Stati Uniti, dove lo aspetta un processo che lo vede imputato per la pubblicazione di 700mila documenti secretati con la prospettiva di 170 anni di carcere. Sarebbe una condanna a morte, ha dichiarato la moglie di Assange.

A Londra e in oltre 60 città, in tutto il mondo, ma soprattutto in Europa, si scende in piazza per la libertà di Julian Assange e per la libertà di espressione e di informazione. Chi manifesta? Le solite minoranze, i piantagrane, i pacifisti, i nonviolenti… Silenzio assoluto dai governi e dai capi di stato. Due righe non di più sui giornali mainstream.

Hanno ucciso Navalny. Ora stanno uccidendo Assange. Per noi di Periscopio due uomini hanno lo stesso peso. Lo stesso peso sulla bilancia dell’Oriente cattivo e dell’Occidente che crede di esser buono..

Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi per Periscopio.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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